Cosa significa essere uno slavo? La domanda è complicata perché questo concetto raggruppa varie etnie (e da 300 a 350 milioni di persone). Dai confini tedeschi fino al Kazakistan e all’Estremo Oriente russo, gli slavi vivono dappertutto. Aggiungendo poi gli emigrati, si possono trovare slavi praticamente in ogni angolo della Terra. Difficile mantenere qualcosa di comune se sei così disperso.
Tuttavia, ci sono alcuni denominatori comuni. Ad esempio, la pagina Facebook satirica “Slavorum”, dedicata alle peculiarità dell’essere slavo, riassume l’essenza slava in dei meme di grande successo in rete. I segni particolari degli slavi vanno dall’avere dei parenti ossessionati dal cibo (“Tua mamma ti dice che sei troppo magra anche quando sei 15 chili in sovrappeso”) alla tolleranza alcolica (“La tua sorellina di 15 anni può reggere l’alcol meglio di qualsiasi uomo americano”). E, “Se sei slavo, ti togli SEMPRE le scarpe quando sei a casa di qualcuno.”
Ma c’è una caratteristica che non può essere applicata agli slavi: l’idea che siano tutti uguali e si amino tra di loro. Infatti, in tutta la storia slava, purtroppo, è vero il contrario. Perché?
Innanzitutto, è importante ricordare quanto siano diffusi gli slavi. Mentre, secondo gli storici, originariamente provenivano dalla zona relativamente piccola tra i fiumi Elba e Oder a ovest e Dnepr e Dnestr ad est, ora gli slavi sono diffusi in tutta l’Europa orientale e, per quanto riguarda i russi, nell’Asia settentrionale.
Ci sono tre sottogruppi in cui gli slavi possono essere suddivisi: gli slavi occidentali (casciubi, cechi moravi, polacchi, slesiani, slovacchi e sorbi), gli slavi meridionali (bosniaci, bulgari, croati, macedoni, montenegrini, serbi e sloveni) e gli slavi orientali (bielorussi, russi e ucraini).
Condividono la stessa eredità, linguisticamente parlando. E, come sottolinea Oleg Balanovskij, ricercatore dell’Istituto di Genetica Generale Vavilov, “gli slavi sono coloro che parlano lingue che hanno una stessa radice, la lingua proto-slava”. Ecco qua: radici linguistiche comuni, e niente di più.
“Una volta gli slavi erano un’etnia, ma da molti secoli sono solo una famiglia linguistica”, concorda l’archeologo Leo Klejn in un articolo che critica le teorie dello “speciale Dna slavo”. “Non esiste una etnia slava, né l’unità politica slava, e neanche una specifica cultura slava. Ora non abbiamo nemmeno una lingua slava; solo lingue diverse più o meno simili l’una all’altra”.
Parlando di unità politica, è difficile anche solo immaginarla, se si pensa che le nazioni slave hanno avuto molti conflitti e si sono scontrate militarmente più volte nei secoli. Le relazioni russo-polacche, per esempio, sono macchiate dalle spartizione della Confederazione polacco-lituana tra Russia, Austria-Ungheria e Prussia, avvenuta nel XVIII secolo, ponendo fine all’esistenza della Polonia sovrana per 123 anni.
Aggiungete a ciò la Guerra sovietico-polacca del 1919-1921 e i fatti del 1939, quando l’Urss si spartì di fatto la Polonia con la Germania nazista, e capirete perché i polacchi si arrabbino molto quando vengono scambiati per dei russi. “Anche se sono molto vicini in termini di aspetto fisico e di genetica”, afferma Balanovskij: “Solo i bielorussi e gli ucraini sono più vicini ai russi quanto a patrimonio genetico”.
Certo, la Russia non è l’unico Paese slavo con relazioni complicate con i suoi vicini slavi. Non corre buon sangue tra le ex nazioni jugoslave (specialmente tra bosniaci, croati e serbi), anche perché sono trascorsi soli vent’anni dalla fine delle guerre etniche degli anni Novanta, seguite alla dissoluzione della Jugoslavia. Sembra che le nazioni tendano ad avere più problemi con gli stati vicini, e non importa quanto siano vicini geneticamente e linguisticamente.
D’altra parte, c’è stato però nella storia chi ha cercato di convincere gli slavi a superare le loro divergenze e a mettersi insieme. Il Panslavismo fu un movimento ideologico diffusosi tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX secolo, quando gli slavi del Sud cercavano l’indipendenza dall’Austria-Ungheria e dall’Impero Ottomano e propugnavano l’idea di un mondo slavo unito.
Nella Russia del XIX secolo, molti sostennero questa causa, tra cui il celeberrimo scrittore Fjodor Dostoevskij. “La Russia non può tradire la grande idea… che ha perseguito costantemente. Questa idea è l’unità di tutti gli slavi… non come una conquista o una violenza, ma come un servizio per l’umanità”, scrisse Dostoevskij nel suo diario nel 1877, quando la Russia stava combattendo contro l’Impero Ottomano insieme agli slavi balcanici. La guerra di fatto dette l’indipendenza alla Bulgaria e portò la Serbia ad ampliare il suo territorio.
A quel tempo, il movimento slavo era già qualcosa di molto concreto: dal 1848, quando Praga ospitò il primo Congresso slavo, ebbe una bandiera (blu-bianco-rosso; questi colori possono ora essere visti nelle bandiere di molti Paesi slavi) e un inno (“Hej Slaveni”), che fu poi usato come inno nazionale dalla Jugoslavia. Nella Russia imperiale, la dottrina slavofila fu un elemento importante del pensiero politico: gli slavofili negavano le opinioni filo-occidentali e, come Dostoevskij, credevano che la Russia dovesse guidare il mondo slavo, sede della vera cristianità, al contrario di un’Europa moralmente degenerata.
Come possiamo vedere, ciò non è accaduto: i disaccordi politici hanno prevalso. La Prima guerra mondiale e le rivoluzioni del 1917, in particolare quella d’Ottobre che trasformò la Russia in uno Stato socialista, portarono il fattore slavo a non giocare più un ruolo cruciale. Per ora, gli slavi restano divisi, e a livello politico non mancano tensioni, anche se ciò non impedisce loro di essere spesso amichevoli e ospitali l’un l’altro a livello personale.
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