Vasilij Petròv (1922-2003), un ufficiale sovietico che si era visto amputare entrambe le braccia, non accettò di essere congedato e ritornò nel pieno della Seconda guerra mondiale. Continuò a comandare un reggimento di artiglieria e a spingere i suoi all’attacco.
Il 1º ottobre 1943 fu un giorno che cambiò la vita del capitano di artiglieria Vasilij Petrov, al comando di due batterie nel corso della Battaglia del Dnepr. Grazie alla sua volontà di ferro, gli artiglieri erano stati in grado di respingere quattro attacchi nemici, distruggendo quattro carri armati e due mortai.
Un proiettile nemico che colpì il cannone proprio accanto Petrov, lo ferì gravemente ad entrambe le braccia. Portato in ospedale, Vasilij sembrava senza speranze. Solo minacciandoli con le armi, i soldati riuscirono a costringere i medici a tentare di operare il loro amato comandante, che li aveva salvati molte volte nel corso di numerose battaglie.
Gli salvarono la vita, ma entrambe le braccia dovettero essergli amputate. Giunse un momento terribile e difficile per Vasilij Petrov.
“Il primo mese e mezzo trascorso in ospedale èstato terribile. Quando ho ripreso conoscenza, ho sentito un dolore insopportabile in tutto il corpo e ho urlato finchéle forze non mi hanno lasciato. E poi tutto si è ripetuto di nuovo, ogni volta che riacquistavo i sensi. Più tardi, quando il dolore si è placato e ho realizzato quanto fosse tragica mia situazione, mi è sembrato che la vita avesse perso ogni significato. Per affogare la sofferenza spirituale, fumavo molto, a volte fino a cento sigarette al giorno. “Perché è successo? Perchéil destino ècosìcrudele con me?”, mi chiedevo, e non trovavo la risposta.”
Alla fine, Vasilij Stepanovich mise fine alla sua lotta interiore e prese una decisione: aveva sì perso le braccia, ma non certo la sua lucidità mentale e la capacità di comando. Doveva tornare al fronte.
Petrov non accettò di rimanere nelle retrovie, e rifiutò un buon posto di segretario in uno dei comitati distrettuali di Mosca. Dopo aver superato la resistenza della commissione medica e degli ufficiali, tornò alla sua unità, dove venne accolto calorosamente dai commilitoni.
Ora Vasilij non poteva sparare o lanciare granate, ma sentiva che il suo eccellente addestramento militare e l’inestimabile esperienza di combattimento sarebbero state indispensabili per il comando del reparto di artiglieria. E aveva assolutamente ragione.
Dopo aver ricevuto il grado di maggiore, Vasilij Petrov tornò alla guerra come comandante del 248esimo reggimento di artiglieria anticarro. Era sempre in prima linea, guidava le truppe sotto i colpi d’artiglieria e il fuoco dei mortai nemici.
Poco prima della fine del conflitto, in battaglia, il 27 aprile 1945, durante un momento critico, Petrov si lanciò personalmente con un battaglione all’attacco e fu di nuovo gravemente ferito.
Sul maggiore senza braccia impegnato al fronte iniziarono a circolare leggende. C’era chi pensava che fosse una figura immaginaria, inventata dalla propaganda, perché era semplicemente impossibile credere che fosse una persona reale.
Due volte eroe dell’Unione Sovietica, premiato con l’Ordine di Lenin e della Bandiera Rossa, Vasilij Petrov fu personalmente nominato da Stalin membro a vita delle Forze Armate dell’Urss.
Dopo la fine della Grande Guerra Patriottica, le battaglie per Vasilij Petrov non finirono. Mantenne e migliorò costantemente la sua forma fisica. Nonostante le vecchie ferite, faceva molti chilometri di marcia, e centinaia di piegamenti.
Vasilij discusse la sua tesi di dottorato e scrisse a mano (con l’aiuto di una speciale protesi) migliaia di pagine di memorie, che apparvero poi in due volumi intitolati “Proshloe s nami” (“Il passato è con noi”).
Petrov rimase nell’esercito per tutta la vita, occupando varie posizioni nelle divisioni di artiglieria e missilistiche. Anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, venne lasciato in servizio a vita, nell’esercito ucraino. È morto a Kiev nel 2003 all’età di 81 anni.
Negli anni Settanta, il tenente generale Vasilij Petrov ricordava: “Ogni soldato è incline a credere al fato. Ero convinto che nella mia vita fosse stato messo un punto fermo, e avevo deciso di morire. Non sono riuscito a farlo in ospedale. Quindi sono tornato dai miei compagni al fronte per morire sul campo di battaglia. Ma il destino ha decretato il contrario.
Cosa accadde davvero agli invalidi di guerra sovietici?
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