Perché il bodybuilding era vietato in Unione Sovietica?

Oleg Lastochkin/Sputnik
La passione per i muscoli scolpiti si era diffusa dopo il successo al cinema di un kolossal italiano, ma quello scolpirsi il corpo e rimirarsi allo specchio fu considerato pura estetica senza ideali, e quindi proibito dallo Stato socialista. Però i culturisti si organizzarono di nascosto negli scantinati…

Probabilmente nessuno sportivo ha avuto una vita così dura ai tempi dell’Urss, come i bodybuilder (a parte, probabilmente, gli appassionati di karate, che rischiavano il carcere). Ai culturisti toccava allenarsi negli scantinati dei palazzi, e al posto dei pesi, sollevare pezzi di rotaia o altri oggetti di ferro, oppure farsi saldare di nascosto in qualche fabbrica una specie di rudimentale bilanciere o di ghiria (kettlebell), in cambio di una bottiglia di vodka. Sì, farsi crescere i muscoli in Urss non era facile. E i rapporti tra bodybuilding e comunismo rimasero sempre cattivi.

Tutto iniziò negli anno Sessanta, quando nei cinema dell’Unione Sovietica uscì il film di produzione italo-spagnola del 1958 del regista Pietro Francisci “Le fatiche di Ercole”, con Steve Reeves nei panni dell’eroe. La sua muscolatura probabilmente non direbbe granché ai bodybuilder di oggi, ma l’“ingenuo” pubblico sovietico di allora rimase a bocca aperta. “Le fatiche di Ercole” fu un successo al botteghino, con 36 milioni di biglietti venduti nell’Urss, e tra gli spettatori non furono pochi quelli che iniziarono a voler diventare come Reeves.

Oltre all’Ercole di Cinecittà, un po’ più tardi divenne un’icona dei culturisti l’attore e stuntman jugoslavo Gojko Mitic, che conquistò la fama interpretando il ruolo dell’indiano d’America buono e di nobili intenti nei film western socialisti della Germania dell’Est, i cosiddetti “Ostern”. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta tutti volevano essere come Gojko. E anche i divieti statali non erano abbastanza per frenare questo desiderio.

Il fatto è che il culturismo era fuori dalla legge per questioni ideologiche. “Culturismo? Gonfiarsi i muscoli e posare davanti allo specchio? E perché mai l’uomo sovietico dovrebbe stare a rimirare il suo riflesso?”, disse nella primavera del 1973 uno dei funzionari a una riunione del Goskomsport (il ministero dello Sport sovietico). Questa crescita dei muscoli fine a se stessa e senza spinta ideale, fatta solo per essere più appariscenti, venne dichiarata attività antisovietica e i culturisti finirono ufficialmente fuorilegge.

Gli unici forzuti legali erano gli artisti del circo. Uno di loro, l’acrobata Aleksandr Shiraj era particolarmente famoso perché, fin dagli anni Cinquanta era chiamato a interpretare la parte dell’operaio, del minatore e dello sportivo sovietico in vari film e ritratti di propaganda.

Tutti gli altri che volevano dei bei muscoli erano costretti a esercitarsi di nascosto nelle cantine. “Pulivamo da soli gli scantinati e li trasformavamo in palestre”, ricorda il culturista Aleksandr Sidorkin.

Ovviamente, non si poteva andare a occupare una cantina così con facilità. Tutti i palazzi erano sotto il controllo di qualche organizzazione abitativa collettiva. Ma questi comitati di solito chiudevano un occhio, a differenza della milizia e dei membri del Komsomol, i giovani comunisti, che di tanto in tanto facevano qualche retata anti bodybuilder.

Manubri e pesi erano cari e difficili da trovare, perché non erano certo in vendita libera. Bisognava in qualche modo trovarli al mercato illegale. L’altro problema era l’alimentazione. “L’unico modo era andare al Detskij Mir [Il “Mondo del bambino”, il più grande centro commerciale di beni per l’infanzia di Mosca]. Nel reparto di alimenti per bambini vendevano gli integratori ‘Malysh’ e ‘Maljutka’. Il primo era adatto per chi voleva aumentare la massa corporea; il secondo, ricco di proteine, faceva al caso di chi doveva asciugarsi un po’”, racconta Sidorkin.

E inoltre, racconta, non lontano c’era un sovkhoz, un’azienda agricola statale, nella quale i maiali venivano nutriti con proteine di soia: “Noi ci prendevamo queste balle da 25 chili di proteine di soia e ce le portavamo nei nostri scantinati. Certo, quanto al sapore, era terribile, ma questo non ci fermava. Lo tiravamo giù e i muscoli crescevano, e non sembrava neanche più così male”.

Molte questioni tecniche sul culturismo i bodybuilder sovietici le appresero solo da un recluso dei gulag riabilitato, un compagno di prigionia di Aleksandr Solzhenitsiyn, Georgij Tenno. Nel 1968 uscì il suo libro “Atletismo”, che negli anni successivi divenne “la Bibbia dei culturisti”. Tenno conosceva bene l’inglese e leggeva la letteratura straniera in materia.

Il divieto di praticare il culturismo fu tolto solo con la Perestrojka, nel 1987. In quel periodo iniziarono pure a tenersi campionati ufficiali di bodybuilding e i nuovi miti divennero Arnold Schwarzenegger, Bruce Lee e Sylvester Stallone.

Ma insieme alla libertà di “pompare” i muscoli, dall’Occidente arrivò una pioggia di preparati stereoidei, farmaci vari e iniezioni di synthol. Tutti metodi ancora oggi usati e popolari, tanto che recentemente un giovane russo ha rischiato l’amputazione delle braccia. 

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