– Compagno Trotskij, il suo compleanno cade di novembre… il 7. Lo stesso giorno della Rivoluzione del 1917, che ha organizzato insieme a Lenin. Cosa ne pensa di questa coincidenza?
– Io stesso ho notato questa strana coincidenza solo tre anni dopo la Rivoluzione di Ottobre [in Russia, prima della riforma del calendario, il 7 novembre era il 26 ottobre, ndr]. Mistici e Pitagorici probabilmente trarranno da ciò le conclusioni che vogliono.
– Prendendo in considerazione la vita che ha condotto, è facile pensare al destino. È stata una bella vita, no?
– Fino all’età di nove anni ho vissuto in un piccolo villaggio remoto. Per otto anni ho studiato a scuola. Sono stato arrestato per la prima volta un anno dopo aver lasciato la scuola. Come università ho avuto la prigione, la Siberia e l’esilio all’estero, come tanti del mio tempo. Nelle prigioni dello zar ho scontato quattro anni in due periodi. Nell’esilio zarista ho passato circa due anni la prima volta, poche settimane il secondo. Sono fuggito due volte dalla Siberia. Come immigrato straniero, ho vissuto per circa dodici anni in vari Paesi europei e in America. Ho preso parte alle rivoluzioni del 1905 e del 1917 e nel 1905 sono stato presidente del Soviet dei delegati di San Pietroburgo, e di nuovo nel 1917. Come Commissario del popolo per gli Affari militari e navali, ho dedicato circa cinque anni all’organizzazione dell’Armata Rossa e della Marina Rossa.
– Wow, è impressionante. È sempre stato un avventuriero fin dalla gioventù?
– Per inclinazione naturale, non ho nulla in comune con gli avventurieri. Sono piuttosto pedante e conservatore nelle mie abitudini. Apprezzo la disciplina e la sistematicità. Non per gusto di paradosso, ma perché è un dato di fatto, devo aggiungere che non posso sopportare il disordine o la distruzione.
– Così parla l’uomo che ha distrutto un Impero con 300 anni di storia!? Cosa l’ha portata al movimento rivoluzionario?
– Avevo un intenso odio per l’ordine esistente, l’ingiustizia, la tirannia. Da dove veniva? Dalle condizioni esistenti durante il regno di Alessandro III; la violenza poliziesca lo sfruttamento praticato dai proprietari terrieri; la corruzione dei funzionari; le restrizioni nazionalistiche; i casi di ingiustizia a scuola e per strada; lo stretto contatto con bambini, servi e operai nel Paese… l’intera atmosfera sociale del tempo
– Subito dopo essersi diplomato, ha organizzato diversi circoli rivoluzionari in Ucraina. Nel 1898, è stato imprigionato per la prima volta. Qual è stata la sua impressione delle prigioni dello zar?
– Nella mia prima prigione, nella città di Kherson, il mio isolamento era assoluto e senza speranza. Non potevo ricevere pacchi dall’esterno. Qualche brodaglia mi veniva data una volta al giorno, per cena. Una razione di pane di segale con sale faceva da colazione e pranzo. Per tre mesi ho dovuto indossare la stessa biancheria intima e non avevo sapone. I pidocchi mi stavano mangiando vivo. Avevo 19 anni. La solitudine era assoluta, peggiore di qualsiasi altra cosa che avrei mai sperimentato in seguito, anche se sono stato in quasi 20 prigioni. Ma, tutto sommato, non posso certo lamentarmi della mia vita in prigione. È stata una buona scuola per me.
– Nel 1905, è fuggito dalla Russia e ha trascorso circa 12 anni all’estero. Quale città ricorda di più?
– New York mi ha colpito enormemente perché, più di ogni altra città al mondo, è l’espressione più completa della nostra epoca moderna. Una città di prosa e fantasia, di automatismo capitalista, le sue strade sono un trionfo del cubismo, la sua filosofia morale è quella del dollaro. Mentre guardo con invidia a New York, penso ancora a me stesso come europeo, e mi chiedo: “L’Europa riuscirà a sopportarlo? Non affonderà nel nulla o in un cimitero? E i centri di gravità economica e culturale non si sposteranno in America?” E nonostante il successo di quella che viene definita “stabilizzazione europea”, questa domanda è altrettanto attuale oggi.
– Poi è tornato in Russia per guidare la rivoluzione con Lenin. Cosa ricorda di più del 1917 e della Guerra Civile?
– La vita era un vortice di incontri di massa. Le riunioni si svolgevano nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università, nei teatri, nei circhi, nelle strade e nelle piazze. Di solito arrivavo a casa esausto dopo mezzanotte… Ogni volta mi sembrava che non sarei mai riuscire a superare questo nuovo incontro, ma qualche riserva nascosta di energia nervosa veniva in superficie, e potevo parlare per un’ora, a volte due.
– Durante la Guerra Civile, lei era a capo dell’esercito e ha ordinato l’esecuzione di decine di migliaia di persone, secondo le stime più modeste…
– Non si può costruire un esercito senza repressione. Non si possono condurre masse umane alla morte se il comando non dispone nel suo arsenale della pena di morte. Finché le scimmie senza coda, che si chiamano «uomini», orgogliose della loro tecnica, costruiranno eserciti e si combatteranno, il comando di questi eserciti dovrà porre i soldati di fronte all’alternativa tra una morte probabile al fronte e una morte sicura nelle retrovie.
– E che dire dell’esecuzione della famiglia imperiale? Perché non lasciò che Nicola II e i suoi parenti fuggissero all’estero?
– La severa punizione ha mostrato al mondo che avemmo combattuto spietatamente e nulla ci avrebbe fermato. L’esecuzione della famiglia imperiale era necessaria non solo per spaventare e scioccare il nemico, ma anche per dire ai nostri soldati che non c’è modo di tornare indietro e che davanti a noi c’è solo la vittoria o la morte.
– E cosa ne pensa di Stalin che l’ha allontanata dal potere dopo la morte di Lenin, costringendola a fuggire dal Paese, ha rovinato la sua reputazione e ordinato di ucciderla?
– Stalin è l’eccezionale mediocrità del partito. Durante i mesi più cruciali della preparazione teorica e politica per la Rivoluzione, Stalin semplicemente non esisteva, in senso politico. Con la sua enorme ambizione carica d’invidia, non poteva fare a meno di sentire la propria debolezza intellettuale e morale.
Come mi è stato detto, Stalin ha ripetutamente ammesso che mandarmi all’esilio invece di fucilarmi era stato “un tremendo errore”. Quindi, non aveva niente da fare se non farmi uccidere all’estero.
– Ci riuscì. Nel 1940 un agente di Stalin la uccise con una piccozza. Ha perso tutto ed è morto da solo, in esilio, inseguito dai nemici. A cosa stava pensando prima di morire?
– A pochi mesi dall’assassinio scrissi nel mio diario: “Morirò da proletariato rivoluzionario, da marxista, il che vuol dire da devoto ateo. La mia fede nel futuro comunista è ora altrettanto fervente e persino più forte rispetto ai tempi della mia gioventù. Questa fede nell’umanità e nel suo futuro mi dà un potere di resistere più forte di qualsiasi religione.”