Tre grandi anarchici russi che fecero di tutto per cancellare lo Stato

Storia
ALEKSEJ TIMOFEJCHEV
Avevano biografie diverse ma un unico obiettivo, e si impegnarono allo stremo per il loro ideale, perché, come è scritto sulla tomba di uno di loro, “sforzandosi di fare l’impossibile, l’uomo ha sempre raggiunto ciò che è possibile”

1. Nestor Makhnò (1888-1934)

“Noi, cinque fratelli orfani, uno più piccolo dell’altro, siamo stati lasciati nelle mani della nostra povera madre, che non aveva niente. Ricordo vagamente la mia prima infanzia, privata dei giochi e del divertimento che dovrebbero avere i bambini, rovinata dall’orribile stato di necessità e dalla povertà che la nostra famiglia doveva sopportare, finché i ragazzi non sono cresciuti abbastanza da guadagnarsi da vivere”, scrisse nelle sue memorie Nestor Makhno, il più famoso anarchico del periodo della Rivoluzione e della Guerra civile in Russia, all’inizio del XX secolo. Da quella spaventosa povertà e disperazione venne fuori un leader che ebbe il coraggio di opporsi alle principali forze politiche che all’epoca erano in lotta per il potere: i Rossi e i Bianchi.

Makhno divenne il rappresentante e, per un certo periodo, il leader, della terza forza nella rivoluzione russa (sebbene agisse sul territorio dell’Ucraina contemporanea): il movimento contadino che intervenne potentemente nell’ultima fase della Guerra Civile; i Verdi. I bolscevichi vittoriosi lo schiacciarono, ma dovettero fare concessioni ai contadini.

Tuttavia, Makhno non era sempre stato un avversario dei bolscevichi. Avevano molte cose in comune in termini di ideologia, poiché Makhno sosteneva le idee anarco-comuniste. Strinse alleanze con i Rossi diverse volte, creando un fronte comune per combattere i Bianchi.

Makhno e decine di migliaia di combattenti anarchici contadini sotto il suo comando contribuirono alla sconfitta dei sostenitori del vecchio regime. Ma era anche abile nel combattere i bolscevichi. È infatti considerato uno dei migliori professionisti della tattica partigiana. I suoi enormi reggimenti spesso scomparivano dopo le battaglie, solo per riaffiorare più tardi nel posto meno atteso, e colpire duramente.

Makhno cercò di realizzare i suoi ideali politici anarchici, i “soviet liberi”, consigli autogovernati che gestivano il potere. Tuttavia, “i soviet liberi di Makhno potevano esistere solo con autorità statali deboli… Chiunque avesse vinto, i rossi (come poi fu) o i bianchi, sarebbe comunque emerso un forte Stato centralizzato”, ha scritto lo storico Vasilij Tsvetkov. Makhno emigrò e finì i suoi giorni in Francia alla metà degli anni Trenta.

2. Pjotr Kropotkin (1842-1921)

Pjotr Kropotkin, a volte soprannominato il padre dell’anarchismo russo, incarna un contesto di vita agli antipodi da quello di Makhno. Era nato in una famiglia di proprietari terrieri aristocratici e aveva il titolo di un principe. Servì come aiutante dell’imperatore Alessandro II ed era un riconosciuto scienziato, un geografo di punta. Tuttavia, scelse un percorso completamente diverso per la sua vita: la rivoluzione.

Fu coinvolto nell’attività rivoluzionaria che investì la Russia nella seconda metà del XIX secolo, venne imprigionato, ma riuscì a sfuggire e per decenni visse all’estero, sviluppando i principi teorici della sua idea anarchica. Nel 1910, dette la seguente definizione di anarchismo per l’enciclopedia Britannica: È “il nome dato a un principio, o teoria della vita e condotta, in base al quale la società è concepita senza governo; l’armonia in tale società è ottenuta, non dalla sottomissione alla legge o per obbedienza a qualsiasi autorità, ma per accordi liberi conclusi tra i vari gruppi sociali…”.

Era insoddisfatto dei bolscevichi dopo la Rivoluzione del 1917, anche se volevano appropriarsi del suo nome e della sua esperienza. “Non posso riconciliarmi con nessun governo”, era solito dire.

3. Mikhail Bakunin (1814-1876)

Come Pjotr Kropotkin, Mikhail Bakunin era un altro anarchico con un passato aristocratico. Nacque nel 1814 in una famiglia di nobili ereditari. Come Kropotkin, prestò servizio nell’esercito, da ufficiale di artiglieria, ma presto ne ebbe a noia e andò in congedo.

Dalla metà degli anni Trenta dell’Ottocento, Bakunin si immerse nello studio della filosofia contemporanea, principalmente degli scritti di Georg Hegel. La dialettica di Hegel sarebbe stata definita proprio in quel periodo “l’algebra della rivoluzione” da un altro grande pensatore russo, Aleksandr Herzen (1812-1870). Per continuare ad approfondire la filosofia hegeliana, Bakunin andò a Berlino.

Partecipò agli eventi rivoluzionari del 1848-49 in Europa, prendendo parte alla rivolta di Dresda, in Sassonia. Suo fratello d’armi fu il compositore Richard Wagner. “A Dresda, la battaglia per le strade andò avanti per quattro giorni. Quasi tutti i ribelli erano operai delle fabbriche circostanti. Nel profugo russo Mikhail Bakunin trovarono un leader capace e sereno”. Così descrisse quegli eventi Karl Marx (1818-1883), con il quale Bakunin avrebbe litigato con veemenza più tardi, nel corso della Prima Internazionale (da cui fu espulso dopo quattro anni di partecipazione, nel 1872). Per la rivolta di Dresda, e per i suoi precedenti tentativi di unire le nazioni slave contro il dominio austriaco nell’Impero asburgico, fu condannato due volte a morte – sia in Sassonia che in Austria – ma in entrambi i casi la sentenza fu commutata in ergastolo, e il rivoluzionario fu infine estradato in Russia.

Lì fu nuovamente imprigionato e trascorse diversi anni dietro le sbarre, prima di essere deportato in Siberia. Nel carcere austriaco fu incatenato mani e piedi e in quello russo perse i denti. Nei primi anni Sessanta dell’Ottocento lasciò la Russia per la seconda volta per organizzare una rivoluzione dall’estero. Nel 1863 cercò di facilitare la rivolta dei polacchi contro l’Impero russo, ma il tentativo fallì rapidamente. Si trasferì in Italia, dove incontrò Garibaldi e fondò la Fratellanza Internazionale, un’organizzazione segreta di rivoluzionari che aveva cellule in molti Paesi europei.

In Italia elaborò il suo insegnamento anarchico. La spinta dei suoi argomenti era diretta contro lo Stato: “Se c’è uno Stato, c’è il dominio di una classe su un’altra e, di conseguenza, c’è la schiavitù; lo Stato senza schiavitù è impensabile, ed è per questo che siamo i nemici dello Stato”. In questo non era d’accordo con i marxisti. Disse che “quando le persone vengono picchiate con un bastone, non sono molto più contente se si chiama ‘bastone del popolo’”. “Sforzandosi di fare l’impossibile, l’uomo ha sempre raggiunto ciò che è possibile”, dice la citazione di Bakunin posta sulla sua lapide in un cimitero di Berna.

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