Le epoche che seguono i grandi rivolgimenti storici, di regola portano disincanto e perdita delle illusioni. Così accadde anche negli anni Venti del Novecento, subito dopo la Rivoluzione Russa. Un periodo che, come scrive Dmitrij Bykov, non portò né nuovi generi né nuove personalità, ma raccolse solo i frutti della cosiddetta Epoca d’argento in letteratura e delle avanguardie nell’arte. Dopo il feroce rigore del Comunismo di guerra, seguì un periodo di maggiore allentamento dei divieti in campo economico, la Nep, la Nuova politica economica, e in molti si dettero a una vita più dissoluta.
Bykov, noto scrittore, critico e divulgatore ha curato l’antologia ‘‘Marusia otpravilas: seks i smert v 1920e” che cerca di far luce sulla relazione tra sesso e morte dopo la Rivoluzione russa.
“Nell’ambito del matrimonio e delle relazioni sessuali, si avvicina una rivoluzione, corrispondente a quella proletaria”, la famosa comunista tedesca Klara Zetkin ricordò le parole di Lenin. Tuttavia, la triste verità è che la rivoluzione sessuale avvenne al posto, e non insieme, a quella proletaria.
Al tempo della rivoluzione, le relazioni di coppia “nascevano per caso, nel mezzo dei fatti, per soddisfare un bisogno puramente biologico”, scrisse la rivoluzionaria e diplomatica Aleksandra Kollontaj. E entrambe le parti si affrettavano a gestire rapidamente questa necessità, in modo che non interferisse con la cosa più importante, “il lavoro per la rivoluzione”.
Neppure la Nep portò alla restaurazione della famiglia tradizionale, anzi, al contrario, come scrive Bykov, “i bisogni sessuali si appagavano ora senza ipocrisie”.
In seguito, però, la dirigenza sovietica iniziò a mostrarsi più puritana. Il Commissario del popolo per l’istruzione, Anatolij Lunacharskij, scrisse: “Nella nostra società l’unica forma corretta di famiglia è rappresentata da quella stabile di coppia”, e Lev Trotskij affermò che il partito dovesse controllare la purezza dei costumi.
Le idee dell’amore libero divennero di moda e rimasero uno dei simboli di quell’epoca. L’attrazione sessuale fu equiparata a un normale appetito che le persone soddisfano senza problemi morali e rimorsi di coscienza. L’amore veniva liberato dal velo del romanticismo, dalla pudicizia e dal rituale del corteggiamento.
Così, per esempio, Aleksej Tolstoj nel suo racconto “La vipera” (1928) descrive uno degli elementi simbolo di quell’epoca: la semplicità a soddisfare certi bisogni. Il vicedirettore di un consorzio, dove lavorava la protagonista, la porta con sé per un affare importante e le dice che “il desiderio sessuale è un fatto reale e un bisogno naturale”. Propone di lasciare da parte ogni romanticismo e, senza cerimonie, la abbraccia e la stringe a sé. Lei, tuttavia, oppone resistenza.
Nella pratica, l’amore libero si trasformò in una lunga serie di scandali e delusioni. I maschi non erano pronti al fatto che le donne scegliessero da sole i partner; le ragazze erano spesso offese dall’assenza dei rituali di seduzione.
Per quanto riguarda la concezione tradizionale di “famiglia” gli esperimenti proseguirono. Così i teoretici del simbolismo, Dmitrij Merezhkovskij e Zinaida Gippius iniziarono a vivere apertamente una relazione a tre con il critico letterario e redattore Dmitrij Filosov. E il poeta Majakovskij con la sua musa Lilja Brik e il marito di lei, Osip.
Ma il veloce appagamento porta alla noia, alla solitudine e a a rischiosi esperimenti con la propria vita, constata Dmitrij Bykov. Dopo che negli anni giovanili si è provato tutto, si inizia a vedere la morte come l’ultima emozione forte rimasta da sperimentare.
Il racconto di Gleb Alekseev “Il caso del cadavere” (1926), è scritto sotto forma di diario della ragazza Shura Golubjova, che si uccide per un amore infelice. Ma qui il discorso non riguarda né l’amore né la morte, ma la noia e la mancanza di cultura. Shura si suicida non perché ami, ma perché non ha più niente da fare.
“In questo senso la vita russa del dopo rivoluzione sembrava molto peggio di quella di prima della rivoluzione”, scrive Bykov. Gli studenti di inizio secolo avevano speranze, sognavano la rivoluzione; agli studenti rossi degli anni Venti, o agli operai delle fabbriche, non rimaneva che spararsi: “Tutto il resto lo avevano già provato, e le armi nel Paese certo non mancavano”.
Nel racconto “L’inondazione” (1929) Evgenij Zamjatin narra la totale perdita di umanità. Insieme alla follia erotica e al picco di suicidi, la fase finale della Nep defunto vide un crimine dilagante. La protagonista Sophia, che ha già quasi quarant’anni, uccide Ganka semplicemente perché è giovane, bella e fortunata. Solo per il fatto che lei stessa è più matura e ritiene che la sua vita sia finita.
In poche righe di Zamjatin, secondo Bykov, è racchiusa l’atmosfera di quel tempo: “Per tutta la notte il vento dal litorale soffiò dritto sulla finestra, i vetri tintinnavano, l’acqua nella Neva si alzò. E come se fosse legato con la Neva da vene sotterranee, anche il sangue prese a scorrere”.
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