1. Pietro il Grande e le sue imprese da ubriaco
Alzare il gomito era il vizio maggiore di Pietro il Grande. In gioventù, frequentava il quartiere tedesco di Mosca e beveva con i tedeschi e i britannici che erano al servizio del trono russo. Il principe Kurakin, un contemporaneo, ricordò che a volte bevevano senza sosta per giorni interi, e molte persone morivano (compreso l’amico di Pietro, Frantz Lefort), e ci fu un tempo in cui nessun matrimonio nel quartiere tedesco avveniva senza che lo zar fosse presente al banchetto.
Negli anni Novanta del Seicento, il giovane Pietro creò il “Sinodo di tutti i pazzi e buffoni ubriachi”, che includeva i suoi amici forti bevitori, i più alti funzionari e nobili russi, e fu attivo fino agli ultimi giorni di Pietro. Tutti i membri di questo club avevano soprannomi osceni e durante le loro abbuffate, parodiavano la gerarchia della Chiesa ortodossa: invece del Vangelo, il club aveva una scatola contenente calici di vodka che assomigliava alla Bibbia.
È giusto dire che Pietro era un po’ un teppista. Durante la sua visita in Inghilterra, iniziò una giornata con una pinta di brandy e una di sherry.
Nel 1698, Pietro notò che il principe Menshikov arrivava a un ballo con lo stocco alla cintura, e gli mollò uno schiaffo tanto forte da fargli sanguinare il naso. Lo stesso anno, lo zar, che allora aveva 26 anni, si arrabbiò con Frantz Lefort a una festa, lo afferrò, “lo buttò sul pavimento e lo calpestò con i piedi…” Quando il boiardo Golovin rifiutò di mangiare insalata con aceto (i boiardi russi consideravano le insalate europee “cibo per cavalli”), Pietro fece in modo che un colonnello tenesse Golovin a testa in giù e gli riempì la bocca di insalata e aceto, tanto da ingozzarlo finché non iniziò a “starnutire e perdere sangue dal naso”.
Tutti i cortigiani che si presentavano in ritardo alle “assemblee” di Pietro (i balli ufficiali) venivano obbligati a bere un intero “Calice dell’Aquila Reale” (1,5 litri di vodka). Dopo che diverse persone morirono per questo trattamento, nessuno osò più presentarsi in ritardo ai balli. Bevendo forte, Pietro il Grande uccise molte persone: la nipote di Pietro, Anna Ioannovna (in seguito Anna di Russia (1693 - 1740) sposò Federico Guglielmo, duca di Curlandia, che venne a San Pietroburgo per festeggiare, ma morì in due mesi e mezzo, perché Pietro lo costrinse a bere senza sosta.
Perfino gli ultimi giorni di Pietro furono contrassegnati da abbuffate. Nel gennaio 1725 l’ambasciatore francese Jacques de Campredon progettò di tenere negoziati con lo zar su un’alleanza militare, ma il tutto si interruppe improvvisamente. Come il cancelliere russo Osterman disse segretamente a Campredon: “È impossibile parlare allo zar di questioni urgenti in questo momento. È completamente immerso nei divertimenti: per tutto il giorno vaga di casa in casa, visitando le famiglie nobili della capitale insieme a 200 musicisti e giullari, cantando tutti i tipi di canzoni e mangiando e bevendo a spese di quelli di casa”.
Poco dopo Campredon lasciò la Russia. I suoi negoziati non continuarono mai: Pietro il Grande morì nel gennaio successivo.
2. Il futuro imperatore porta un funzionario al suicidio
Nelle sue memorie, il principe Pietro Kropotkin, un famoso rivoluzionario e filosofo russo, descrisse una storia sconvolgente che accadde nel 1869 al granduca Aleksandr Aleksandrovich, il futuro imperatore Alessandro III. Karl Gunius, un ufficiale finlandese, lavorava nell’esercito russo come ingegnere specializzato in armi da fuoco. Era famoso per aver migliorato il fucile Berdan, uno dei più usati in Russia nella seconda metà del XIX secolo. Dopo uno dei suoi viaggi di lavoro negli Stati Uniti, ricevette un’udienza con il Granduca Alessandro, all’epoca aiutante generale dell’imperatore Alessandro II, suo padre.
“Durante l’udienza, il Granduca iniziò a parlare sgarbatamente con l’ufficiale [Gunius]. Questi rispose con dignità. Il Granduca si infuriò e imprecò contro il funzionario senza pietà… L’ufficiale se ne andò subito e inviò una lettera al Granduca, chiedendo ad Alessandro di scusarsi e aggiungendo che se le scuse non fossero state fatte entro 24 ore, si sarebbe sparato… Alessandro non si scusò e l’ufficiale mantenne la parola. Lo vidi a casa del mio migliore amico quella sera, mentre aspettava che le scuse arrivassero. Il giorno dopo, era morto. Alessandro II era furioso con suo figlio e gli ordinò di seguire la bara dell’ufficiale fino alla tomba [il che era un disonore per un granduca, ndr], ma anche questa orribile lezione non guarì il giovane dall’arroganza e dall’impetuosità dei Romanov.”
3. Il Granduca che sparò a un generale dell’esercito
Il Granduca Boris Vladimirovich (1877 - 1943), nipote dello zar Alessandro II e cugino di primo grado dello zar Nicola II, fu avviato alla carriera militare, com’era tradizione per i Romanov maschi. Aveva un’educazione brillante ed era un anglofilo devoto. Il che non lo rese però un gentiluomo: fin dalla sua giovinezza, Boris era un noto bevitore e un indefesso donnaiolo. Non si tirava mai indietro: all’incoronazione di Nicola II flirtò con la principessa Marie della Romania (sua cugina e già sposata). I suoi corteggiamenti mandarono a monte parecchi matrimoni prestabiliti negli alti ambienti europei. Quando Boris ebbe un figlio da una donna francese fuori dal matrimonio, i suoi genitori lo mandarono in giro per il mondo, dove cacciava le tigri con i Maharaja e beveva champagne dalle pantofole delle attrici americane. Anche la sua più infame impresa iniziò come un’avventura.
Durante la guerra russo-giapponese del 1904-1905, Boris prestò servizio nella sede del generale Aleksej Kuropatkin. Mentre era a Liaoyang, Boris infastidì un’infermiera, che risultò essere la principessa Gagarina (membro cioè una famiglia nobile molo importante). Schiaffeggiò Boris in faccia e scrisse una lettera di protesta al generale Kuropatkin.
Il generale chiamò Boris Vladimirovich e lo rimproverò. Offeso, Boris ricordò al generale che era un granduca, e Kuropatkin, ministro della guerra russo, perse la pazienza e gridò: “Silenzio! Mani ai fianchi!”, al che il Granduca tirò fuori la pistola e sparò a Kuropatkin, ferendolo al braccio. Timoroso, Kuropatkin scrisse a Nicola II chiedendo cosa avrebbe dovuto fare e ricevette una risposta spaventosa: “Segui la legge”. La legge diceva che qualsiasi militare che sparava al suo generale doveva essere… giustiziato. Nessuno poteva osare farlo con un granduca, quindi fu dichiarato pazzo da una commissione di medici e rimandato a San Pietroburgo (il che era il suo desiderio da sempre: non voleva servire nell’esercito e rischiare la sua vita). E forse i dottori avevano ragione, dopotutto.
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