Quando Aleksandra Fjodorovna, moglie di Nicola II e imperatrice consorte di Russia, diede alla luce un figlio maschio (il 30 luglio 1904), ci furono molta gioia e molte celebrazioni. Finalmente, dopo quattro ragazze, nate tra il 1895 e il 1901, Nicola e Aleksandra avevano un erede al trono, Aleksej.
“Non ci sono parole per ringraziare il Signore per questo sollievo che ci ha mandato in questi tempi difficili!”, scrisse con gioia Nicola II nel suo diario. Non sapeva che il ragazzo avrebbe avuto una vita molto difficile e avrebbe affrontato un triste destino.
La malattia
“Era troppo presto per rallegrarsi e ringraziare Dio”, ha scritto nel suo libro, “Vrachebnye tajny doma Romanovykh” (“I segreti medici della Casa Romanov”), lo storico e neurologo Boris Nakhapetov (1928-2017). “Presto, i dottori hanno scoperto che il bambino soffriva della terribile malattia che affliggeva la famiglia dell’imperatrice: l’emofilia.”
Questa malattia congenita è caratterizzata da una lenta coagulazione del sangue, e quindi il più piccolo livido diventa spesso un’emorragia interna prolungata. Le donne “portano” il gene dell’emofilia, ma gli uomini ne soffrono. Aleksandra ereditò il gene da sua nonna, la regina Vittoria della Gran Bretagna.
I sintomi di Aleksej apparvero per la prima volta quando aveva solo pochi mesi e la malattia lo tormentò per tutta la vita. Anna Vyrubova, la damigella d’onore dell’imperatrice, ha ricordato i tempi in cui la malattia peggiorava: “Era una tortura infinita per il ragazzo e per ognuno di noi… urlava dal dolore tutto il tempo, e dovevamo tapparci le orecchie quando ci prendevamo cura di lui.”
I momenti più atroci per il ragazzo erano quando il sangue si infiltrava nelle articolazioni. “Il sangue distruggeva ossa e tendini; Aleksej non poteva piegarsi sulle braccia o sulle gambe”, ha scritto Nakhapetov.
L’unico modo per rimediare alla situazione era attraverso i massaggi e l’esercizio fisico, ma anche questo metteva a rischio di ulteriori lesioni e sanguinamenti. Quindi, di tanto in tanto, Aleksej non poteva camminare per niente, e i domestici dovevano portarlo di peso agli eventi ufficiali.
Il ‘santo’ di fiducia
Una delle poche persone nell’Impero che sembrava in grado di alleviare le sofferenze di Aleksej era Grigorij Rasputin. Un medico famoso? No, un mistico siberiano, autoproclamatosi santo. Quando nel 1905 Rasputin incontrò Nicola e Aleksandra, li convinse di poter essere essere d’aiuto.
“Ci sono molte testimonianze secondo le quali Rasputin avrebbe in molti casi fatto sentire meglio l’erede”, ammette Nakhapetov. “Ma non ci sono dati sicuri e documentati”. Nakhapetov pensa che Rasputin abbia usato l’ipnosi per calmare Aleksej, il che avrebbe migliorato le sue condizioni. Una cosa è chiara: Aleksandra e NicolaII credevano in Rasputin, e così la discutibile figura ottenne un’influenza politica incredibile.
“Lo zarevic sarà vivo finché sono vivo io”, si vantò Rasputin. E non era lontano dal vero: il 30 dicembre 1916 Rasputin fu assassinato da un gruppo di aristocratici che erano preoccupati per la sua enorme influenza alla corte imperiale. Diciotto mesi dopo, nel luglio del 1918, Aleksej e la sua famiglia furono fucilati
Il piccolo principe della Russia
Quando Aleksej non stava troppo male, conduceva la vita tipica di un erede al trono: studiando, prendendo parte a eventi ufficiali e a volte giocando. Sapeva essere anche molto birichino. Georgij Shavelskij, un sacerdote vicino alla corte, ha ricordato: “Mentre era a tavola, il ragazzo spesso lanciava palline di pane ai generali… solo uno sguardo severo dell’Imperatore poteva calmarlo”.
Allo stesso tempo, chi lo incontrò ricordava lo zarevic come una persona gentile. “Era veloce nell’affezionarsi alle persone, e cercava di fare tutto il possibile per loro”, ha scritto Anatolij Mordvinov, aiutante di Nicola II.
D’altra parte, notò che Aleksej poteva essere testardo, e Nicola II era solito dire con orgoglio ai suoi servi e ai suoi consiglieri: “Vi darà più filo da torcere di me”.
Aleksej aveva un ottimo rapporto con entrambi i genitori e con le quattro sorelle, e tra i suoi amici più stretti c’era Andrej Derevenko, il suo servo personale, un ex marinaio. Derevenko era colui che lo portava di peso durante i periodi peggiori della sua malattia. Lo zarevic amava gli animali, e portava il suo gatto, Kotik, e il suo cane, Joy, con sé in classe.
La tragica fine
Lo zarevic aveva 13 anni quando la sua vita ebbe una tragica svolta. Gli sconvolgimenti del 1917 distrussero la monarchia russa; suo padre abdicò, non solo rinunciando al trono per se stesso ma anche per l’erede. Insieme al resto della sua famiglia, Aleksej fu esiliato negli Urali e tenuto agli arresti domiciliari. Ed è lì che incontrò prima un peggioramento di salute e poi la morte.
“All’improvviso, Aleksej non poteva più camminare”, scrisse nelle sue memorie Tatjana Botkina, una dottoressa che aiutò i Romanov a Tobolsk (2.380 km a est di Mosca). “Ha sofferto così tanto per un’emorragia interna…” Dopo un altro livido, Alekseij stava lottando con la sua malattia ma non ebbe il tempo di riprendersi. La notte del 17 luglio 1918, i bolscevichi di Ekaterinburg ordinarono ai Romanov di scendere nel seminterrato, e fu Nicola a dover portare in braccio suo figlio. Non videro mai più la luce.
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