Abitualmente si pensa che Lenin, probabilmente il più grande rivoluzionario della storia, abbia sempre riposato nel mausoleo costruito appositamente per lui sulla Piazza Rossa dopo la sua morte, il 21 gennaio del 1924. Quasi vero, ma non del tutto. Per circa quattro anni, mentre i combattimenti della Seconda guerra mondiale imperversavano in tutta la Russia europea, fu “fuori sede”.
Durante la Grande Guerra Patriottica, il corpo di Lenin fu inviato segretamente da Mosca in Siberia, dove rimase per quasi tutto il conflitto.
Evacuazione di emergenza
Le prime settimane della guerra contro la Germania nazista furono un disastro per l’Urss. La Wehrmacht sfondò il fronte occidentale sovietico in pochissimo tempo, occupando gran parte della regione baltica, nonché l’Ucraina occidentale e la Bielorussia. Anche se Mosca non fu immediatamente minacciata, la leadership sovietica, mostrando finalmente lungimiranza, cominciò a pensare di spostare gli oggetti di valore della capitale, uno dei quali era senza dubbio il corpo del “leader della rivoluzione russa”.
Una commissione speciale istituita per valutare il potenziale danno che i bombardamenti aerei tedeschi avrebbero potuto causare al mausoleo concluse che anche piccole bombe lo avrebbero ridotto in polvere con il suo prezioso contenuto.
La decisione di spostare il corpo fu debitamente presa, e il 3 luglio fu emesso un ordine dal Commissariato popolare per la sicurezza dello Stato (Nkgb), che in seguito abbandonò la sua prima lettera per diventare il Kgb. Dichiarò che il corpo di Lenin doveva essere inviato con un treno speciale in Siberia, nella città di Tjumen (2.125 chilometri a est di Mosca), senza indugio. La città fu scelta da Stalin perché non era un centro strategico e, quindi, non era un obiettivo primario per gli invasori.
L’evacuazione avvenne giusto in tempo: nel giro di poche settimane, il 22 luglio 1941, le prime bombe tedesche iniziarono a piovere sulla capitale sovietica.
Treno segreto
Il vagone che ospitava il corpo di Lenin per il viaggio era dotato di speciali ammortizzatori e apparecchiature per garantire il microclima necessario, e il tutto era supervisionato da un intero team di specialisti. Allora l’Unione Sovietica era assolutamente all’avanguardia nelle tecniche di imbalsamazione, tanto che divenne un know-how da esportazione nel dopoguerra, con tanti altri leader socialisti del mondo che ebbero lo stesso destino.
La sicurezza era fornita dagli ufficiali dell’Nkgb, sia a bordo del treno che alle fermate lungo il percorso. La tratta ferroviaria fu attentamente verificata in anticipo.
Il viaggio verso Tjumen, fu prolungato da una grande deviazione verso nord, attraverso Jaroslavl. I territori disabitati della regione di Jaroslavl erano stati scelti per evitare indesiderati interessie per la missione segreta.
Arrivato sano e salvo a Tjumen il 7 luglio, il treno fu raggiunto dai leader locali che solo allora scoprirono la natura del convoglio segreto che aspettavano. Il cadavere imbalsamato di Lenin fece il viaggio insieme al suo cuore, parte del suo cervello e una pallottola di un tentativo fallito di omicidio.
Esilio siberiano
Il sarcofago contenente il corpo di Lenin venne collocato nell’edificio vuoto di una ex scuola. Il team di specialisti di imbalsamazione viveva nelle stanze vicine. Il perimetro esterno era protetto da uomini di Tjumen dell’Nkgb, mentre i locali interni erano sorvegliati dagli agenti di sicurezza del Cremlino venuti appositamente da Mosca.
Nonostante il nuovo scenario, il cambio della guardia d’onore continuò. La tradizione continuava anche a Mosca, in modo che nessuno sospettasse che il mausoleo fosse ormai vuoto.
Il corpo di Lenin rimase a Tjumen per tre anni e nove mesi, finché, all’inizio del 1945, la dirigenza sovietica decise di riportarlo indietro.
Questa volta, non c’era fretta: l’operazione di ritorno impiegò un mese per essere pianificata. Il 26 marzo, il corpo del leader bolscevico fu restituito alla sua teca di vetro all’interno del mausoleo, dove rimane fino a oggi.
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