Come esplose (e poi implose) la rivoluzione sessuale in Russia negli anni Venti

Storia
GEORGY MANAEV, DANIEL CHALYAN
Feste di travestiti, un Lenin che lanciava appelli per le libertà sessuali, anarchici nudisti che scorrazzavano sui tram, una spiaggia di nudisti vicino alla cattedrale del Cristo Salvatore. Questa era la vita russa all’inizio dello stato sovietico. Ma poi tutto cambiò

“Poco tempo fa sono apparse a Mosca alcune persone completamente nude con un nastro legato al braccio che recitava “Abbasso la vergogna!”. Un gruppetto è stato visto salire su un tram. Il tram si è fermato e i passeggeri erano scandalizzati”, così scrisse nel suo diario, nel 1924, Mikhail Bulgakov, il celebre scrittore russo. Solo 15 anni prima, le donne non potevano nemmeno pensare di andare in giro con gonne lunghe solo fino al ginocchio. Ma questi cambiamenti avvennero dall’oggi al domani?
La società della Russia prerivoluzionaria, soprattutto nelle capitali, non aveva una natura puritana. Come ricorda un soldato anonimo nato alla fine del diciannovesimo secolo: “Alle 10, avevo già assistito a ogni tipo di atteggiamento osceno possibile. Le immagini pornografiche non erano proprio una rarità”.

Il cross-dressing (ossia indossare abiti dell’altro sesso), feste di travestiti e omosessuali erano piuttosto diffuse nei circoli artistici, alcuni nobili poi erano noti per essere gay. I festeggiamenti, a volte anche con la compagnia di molteplici partner, erano un passatempo classico per alcune persone. Tuttavia l’omosessualità maschile era un considerata un reato, almeno fino a quando non arrivarono in scena i bolscevichi.

La teoria del “bicchiere d’acqua”: un falso?

Dal punto di vista ideologico, la liberazione sessuale costituiva una delle armi chiave per combattere l’ortodossia e, in generale, il vecchio ordine costituito. Tra i primi bolscevichi, la principale fautrice di un nuovo ordine familiare era Aleksandra Kollontaj, una rivoluzionaria russa e, in seguito, anche diplomatica. C’è una teoria popolare chiamata del “bicchiere d’acqua” che è spesso attribuita a lei. Sostiene che l’amore (e di conseguenza il sesso) dovrebbe essere a disposizione di tutti con la stessa facilità con cui si può chiedere un bicchiere d’acqua. Questa, però, è solo una banale ipersemplificazione delle vere idee della Kollontaj.

La donna, al contrario, promuoveva il concetto di “nuova donna”, liberata dall’oppressione del matrimonio, dei lavori di casa e della necessità di crescere i figli. Tutti questi compiti sarebbero dovuti essere assunti dalla società e dallo Stato. Si sarebbero occupati loro dell’istruzione dei bambini (compresa quella sessuale), incoraggiando il Paese a dotarsi di un sistema di fornitura di cibo di ampiezza nazionale, edilizia popolare, affidamento e così via. Anche l’amore andava liberato, poi: le unioni civili avrebbero preso il posto del matrimonio tradizionale.

Come è evidente, i bolscevichi cercavano di costruire una loro politica per la famiglia seguendo ideali progressisti, una cosa che in Occidente si sarebbe vista solo dopo decenni. Tuttavia il peso, in questo modo, andava a ricadere sull’individuo: una libertà così totale e completa risultava, semplicemente, eccessiva per una società ancora agricola e poco urbanizzata come era quella della Russia degli anni Venti.
Gli angoli oscuri del nuovo mondo

“Sull’abolizione del matrimonio” e “Sulle unioni civili, i figli e la proprietà” furono tra i primi decreti dei sovietici del 1918. Furono aboliti i matrimoni in chiesa e vennero introdotte le relazioni civili. Il divorzio fu reso possibile e gli aborti legali. Tutto questo ebbe come conseguenza una liberazione totale della famiglia e delle relazioni sessuali. Si proclamava l’inizio dell’epoca più osé della storia russa.

L’atteggiamento rilassato nei confronti del nudismo era uno dei segni più vividi dei nuovi tempi: sulla riva del fiume Moscova, vicino alla Cattedrale di Cristo Salvatore, si creò una spiaggia per nudisti, cosa che l’Europa occidentale, ai tempi, non si sarebbe nemmeno potuta sognare. La società (già menzionata) “Abbasso la vergogna!” aveva già tenuto diverse marce e una di queste aveva contato ben 10mila partecipanti. Aleksandr Trushnovich, un sostenitore della monarchia, ricorda uno di questi raduni: “Abbasso gli ipocriti! Abbasso quegli imbroglioni dei preti! Non ci servono vestiti: siamo figli del sole e dell’aria. Questo era ciò che gridava un portavoce, del tutto nudo, da un palco nella piazza centrale di Krasnodar. Passando vicino a questo luogo, la sera, ho visto poi quel palco smontato e qualcuno che pestava i ’figli del sole e dell’aria’”.

Tutti questi sviluppi incontrollati ebbero luogo in un periodo in cui la Russia era nel mezzo della Guerra Mondiale e nella Guerra Civile. Le amnistie rivoluzionarie del 1917, 1919 e 1920 avevano liberato numerosi criminali in un Paese dove il potere statale aveva solo cominciato a formarsi. Questi gruppi di delinquenti furono raggiunti da soldati renitenti alla leva e congedati.
Negli anni Venti gli stupri divennero una piaga sociale. Ma la cosa strana è che la violenza sessuale, se esercitata contro delle signore un tempo nobili e borghesi era considerata, per un certo periodo, una forma di “giustizia di classe” tra i proletari. Nel frattempo, circa il 20% della popolazione maschile del Paese aveva contratto malattie di tipo sessuale (anche se nella Russia degli zar, all’inizio del secolo, i numeri erano intorno al 25%, 27%). Le nuove regole sul matrimonio e l’atmosfera generale di rottura con il passato incoraggiavano la promiscuità e un approccio noncurante con il sesso, impensabile pochi anni prima.

La società sovietica stava allevando una generazione, pericolosa, di orfani senzatetto: i registri ufficiali indicano che, intorno al 1923, metà dei figli nati a Mosca era stata concepita fuori dal matrimonio e molti di loro furono abbandonati fin dall’infanzia. Il pendolo della rivoluzione sessuale doveva tornare indietro. E se non lo avesse fatto da solo, sarebbe stato costretto con la forza.

“Eroi alati” dell’oppressione sovietica

Già nella prima metà degli anni Venti, quando la liberazione sessuale era ancora in pieno svolgimento, i sovietici avevano deciso di portare avanti la promozione dei valori tradizionali. Di nuovo.
Nel 1924, lo psichiatra Aron Salkind pubblica i “12 comandamenti del sesso per il proletariato rivoluzionario”, che recitavano cose come “l’amore deve essere monogamo”, o “i rapporti sessuali devono essere solo l’ultimo anello della catena di sentimenti, profondi e complicati, che uniscono due persone con l’amore”.

Anche se quelli di “Abbasso la vergogna!” continuavano a fare marce nude nelle strade di Mosca, il Commissario del Popolo per la Salute Pubblica Nikolaj Semashko scriveva che questo comportamento “doveva essere condannato nel modo più categorico possibile. in un’epoca in cui mostruosità del capitalismo come la prostituzione e il vandalismo non sono ancora state sradicate, la nudità alimenta l’immoralità. Questo è il motivo per cui ritengo assolutamente necessario bloccare subito questa disgrazia e, se necessario, agire con metodi repressivi”.
I capi sovietici non volevano che la popolazione sprecasse energie per cercare gratificazioni personali. Furono introdotti tagli e misure severe di austerità. I gruppi per i diritti delle donne erano sempre di meno. Inoltre, le donne stesse non avevano più nessun motivo di cercare il tipo di istruzione che le femministe avevano voluto, combattendo, fornire loro. Non appena la donna era stata liberata dalla società patriarcale e tradizionale che i bolscevichi dicevano di voler eliminare, subito fu riportata in cucina, con il dovere di far da mangiare per il marito lavoratore. Nel frattempo, le razioni delle fabbriche erano già state redistribuite – e questo rese la cucina da casa una necessità. La “nuova donna” della Kollontaj fu nuova solo per dieci anni.

Ora la famiglia era tornata a essere, una volta di più, l’unità base della società. I vecchi decreti furono ribaltati uno dopo l’altro. Alla fine, nel 1934, l’omosessualità venne considerata di nuovo un crimine e fu rimesso il divieto di aborto nel 1936. Questo non portò, in realtà, a una riduzione del valore della donna libera – almeno nella propaganda. Ora la donna “poteva fare tutto”, cioè partecipare all’obiettivo comunista di creare la rivoluzione e, al tempo stesso, essere una madre, una moglie, una cuoca e una signora delle pulizie.
Per i decenni successivi la sessualità e l’eros sarebbero stati del tutto evitati dalla cultura e dalla società sovietica. Per questo non c’è da stupirsi che ora la società russa sia diventata così ipocrita sul tema. La rivoluzione sessuale successiva sarebbe avvenuta solo negli anni Novanta.

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