Nel 1884, il conte Lev Tolstoj (1828-1910) chiese ironicamente a sua zia di considerarlo un musulmano. Non si era certo convertito all’Islam; era un modo per sottolineare la sua solitudine intellettuale e i suoi interminabili conflitti con la società russa. “I liberali mi considerano un pazzo, i radicali un chiacchierone misticheggiante, il governo mi considera un pericoloso rivoluzionario e la Chiesa pensa che io sia il diavolo in persona”, scrisse Tolstoj.
Sicuramente, quella era solo una parte della verità. Nel 1880, Tolstoj, che aveva già scritto i suoi capolavori “Guerra e pace” (1869) e “Anna Karenina” (1877), era ormai concentrato sugli scritti filosofici ed estremamente popolare in Russia con migliaia di persone che lo adoravano (a partire dall’imperatore Alessandro III che lo chiamava “il mio Tolstoj”).
Tuttavia, scatenava serie controversie nella società poiché le sue opinioni erano radicali e contraddicevano la linea ufficiale del governo e della Chiesa. Ecco tre guerre sante in cui si scagliò Lev Tolstoj, il “re delle polemiche”.
Tolstoj contro lo Stato
Lev Tolstoj non amava il governo. Non solo quello russo, ma l’idea in generale. Come scrisse su The North American Review nel 1904, mentre era in corso la Guerra russo-giapponese, “Io non sono per la Russia né per il Giappone, ma per le classi lavoratrici di entrambi i Paesi, che sono state costrette alla guerra”.
In altre parole, l’autore era un anarchico. Come ha sottolineato il filologo Andrei Zorin, fin dall’infanzia, Tolstoj considerava l’idea di sopprimere l’individuo (e il potere, anche se equilibrato e limitato, lo fa) violenta e inaccettabile.
Il suo umanesimo si opponeva a qualsiasi potere, e ciò lo rendeva pericoloso per le autorità. Tolstoj credeva che il salire ai vertici della società richiedesse astuzia e trucchi sporchi, e quindi che fosse solo la gente peggiore a governare il mondo.
Allo stesso tempo, Tolstoj non fu mai un rivoluzionario, poiché non condivideva il ricorso alla violenza. Anche se Lenin, il futuro leader sovietico, definì Tolstoj “lo specchio della rivoluzione russa” per la sua descrizione delle profonde disparità nella società, criticò l’autore per le opinioni “incoerenti” e le critiche insufficienti al governo. A Tolstoj non importava: preferiva la vita spirituale a quella politica. Ma nel campo spirituale ebbe conflitti ancora più gravi.
Tolstoj contro la Chiesa ortodossa
Credente lungo tutto il corso della sua vita, da un certo punto in poi Tolstoj si allontanò dall’Ortodossia ufficiale. Già nel 1855 (ventenne), nel suo diario scriveva che il suo scopo era creare una nuova religione: un cristianesimo “purificato” dal misticismo. Lui e i suoi sostenitori, credevano in Cristo e si consideravano cristiani, ma chiedevano di concentrarsi sul vivere saggiamente e rettamente in questa vita, senza aspettare l’aldilà.
Tolstoj sosteneva le rigide norme morali dalla Chiesa, ma negava i miracoli. Ad esempio, per lui Cristo non era risorto dopo essere stato crocifisso a Gerusalemme: era solo un uomo giusto, non un Figlio di Dio. Un simile approccio, “il cristianesimo senza meraviglie”, innescò l’indignazione nella Chiesa.
Come se non bastasse, Tolstoj amava criticare il clero duramente, definendo i preti russi “sicuri di sé, ma confusi e scarsamente istruiti, vestiti di seta e velluto”. Per lui, una Chiesa corrotta dal potere e dal denaro, non poteva essere un’autorità morale, e stava solo schiavizzando i contadini.
I vertici della Chiesa non risparmiarono critiche nei confronti di Tolstoj. Il presbitero Giovanni di Kronstadt, uno dei più popolari predicatori cristiani di quei giorni (successivamente canonizzato), descrisse Tolstoj in questo modo: “Ha pervertito tutto il senso del cristianesimo… ride in chiesa con le risate di Satana”. Nel 1908 prego persino affinché Tolstoj morisse.
Le sue visioni anarco-pacifiste, insieme alla sua enorme popolarità e critica dei preti, portarono alla scomunica di Tolstoj dalla Chiesa ortodossa russa nel 1901. Tolstoj riconobbe l’atto, accettando il fatto che non credendo nei dogmi della Chiesa, sarebbe stato ipocrita farne parte. La sua scomunica rimane tuttora valida per la Chiesa Ortodossa, e sulla sua tomba non ci sono croci.
Tolstoj contro Shakespeare
A differenza della Chiesa e dello Stato, William Shakespeare non ha potuto rispondere alle dure critiche di Tolstoj perché era morto nel 1616. Questo, comunque, non ha impedito a uno dei più grandi scrittori russi di distruggere (o, piuttosto, di provare distruggere) uno dei più famosi scrittori britannici.
“Non c’è un solo vero discorso umano nelle sue opere”, ha scritto Tolstoj in un grande saggio dedicato all’eredità di Shakespeare. E ha a anche affermato di provare “una repulsione irresistibile e tanto tedio” quando affrontava le sue opere teatrali, a prescindere dalla lingua in cui si cimentava nella lettura: russo, inglese o persino tedesco.
È improbabile che Tolstoj pensasse che le sue critiche potessero minare l’influenza di Shakespeare, ma non poteva fare a meno di scrivere tutto ciò in cui credeva. Anche nell’attaccare i drammi di Anton Chekhov, il conte Tolstoj usò Shakespeare come esempio: “Anton Pavlovich, Shakespeare era un cattivo scrittore, e considero le tue opere ancora peggiori.” La storia gli ha dato torto: sia Chekhov che Shakespeare sono ancora in scena in tutto il mondo.
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