Durante i suoi anni a capo dello Stato sovietico, Lenin non sembrava preoccuparsi molto della sua sicurezza personale, e di solito usciva accompagnato da una sola guardia del corpo. Pensava forse di essere invincibile? La prima volta la sua auto venne raggiunta da colpi d’arma da fuoco nel gennaio del 1918, per un attentato ordito dai monarchici. Pochi mesi dopo, ad agosto, Lenin fu quasi ucciso dai proiettili della terrorista Fanni Kaplan del Partito Socialista Rivoluzionario, ma si rimise in fretta.
Ma fu solo il più bizzarro degli incidenti a convincere Lenin della necessità di avere una decente squadra di guardie del corpo. Nel 1919, l’auto del leader bolscevico venne fermata alla periferia di Mosca da sei uomini armati, banditi, che volevano rubare una macchina, allora mezzo di trasporto molto raro in Russia, per usarla in una rapina in banca. Quando Lenin, sua sorella, l’autista e la guardia del corpo furono costretti a scendere, lui disse “Che c’è? Io sono Lenin!”. I banditi, miracolosamente, non lo sentirono e, a quanto pare, non lo riconobbero. E dopo aver preso la macchina, i soldi e i documenti, se la filarono con la refurtiva. Fu a questo punto che Lenin dette ordine di creare un’unità di sicurezza personale a tempo pieno. Ma questo attacco fu l’ultimo subito, almeno finché fu in vita.
La salma più odiata
Lenin morì il 21 gennaio del 1924 e poco dopo il decesso fu tumulato nel Mausoleo sulla Piazza Rossa (inizialmente ligneo; l’attuale in marmo e granito fu inaugurato nel 1930). Il primo attacco al suo corpo imbalsamato avvenne il 19 marzo del 1934. Un uomo entrò armato e cercò di sparare al cadavere di Lenin. Lo mancò, e usò l’altro proiettile in canna per suicidarsi. Scontento per la corruzione e la carestia che segnavano la vita del nuovo Stato, voleva sfregiare la salma del leader bolscevico, come atto di protesta. Si chiamava Mitrofan Nikitin ed era un agricoltore. Un biglietto con le motivazioni del gesto fu trovato nelle sue tasche e finì nell’archivio personale di Stalin. “Svegliati! Cosa stai facendo? Dove hai portato il Paese? Sta finendo negli abissi”, c’era scritto. I dettagli di questo atto furono desecretati solo negli anni Novanta.
Venticinque anni e un giorno dopo questo attacco, il 20 marzo del 1959, un’altra persona cercò di sfondare la teca di vetro del sarcofago a colpi di martello, senza riuscirci. Ma nel luglio 1960, un uomo di cognome Minibaev, vi saltò sopra e con un possente calcio riuscì a spezzare la lastra. Grosse schegge caddero e si conficcarono sulle mani di Lenin e sulla faccia, danneggiando il sopracciglio destro. Dovettero essere rimosse con l’uso di pinze e speciali liquidi, e il volto necessitò un restauro completo. Nel corso degli interrogatori, Minibaev confessò di aver covato il piano di sfigurare Lenin per anni, fin dal 1949.
Dopo questo attacco, il vetro del sarcofago fu sensibilmente rafforzato, e così, quando nel 1966 un pensionato di 59 anni cercò di spaccarlo con una mazza, non si ruppe.
Un kamikaze sovietico
Stranamente, si sa poco o nulla sulle persone che hanno attaccato il corpo di Lenin. Esse sono come scomparse. Di alcune non è rimasto neanche il nome, in una completa damnatio memoriae. L’ultimo attacco noto, il più grave, costò anche la vita a persone innocenti.
Il 1° settembre del 1973, una classe di una delle scuole di Mosca si presentò per visitare Lenin nel Giorno della Conoscenza (così si chiama in Russia il primo giorno dell’anno scolastico, che viene festeggiato ogni anno). Allora non c’erano misure anti-terroristiche severe: le persone che entravano nel Mausoleo lasciavano all’ingresso le borse, ma non venivano effettuate ispezioni personali. Un uomo camminava insieme al gruppo di ragazzi, e le guardie pensarono che fosse uno dei loro insegnanti. Avvicinandosi al sarcofago, si mise la mano dentro il cappotto e seguì un’esplosione spaventosa. Una vicina coppia, proveniente da Astrakhan, fu uccisa sul colpo; le guardie del sarcofago riportarono danni fisici, e quattro bambini furono gravemente feriti. Quanto al kamikaze, il suo corpo finì talmente a pezzi, che furono ritrovate solo parti della mano e del cranio. Almeno questa è la versione ufficiale. Brandelli di documenti trovati successivamente suggerivano che l’aggressore fosse stato in precedenza condannato a 10 anni di carcere, ma tale informazione non è mai stata dimostrata. Il sarcofago e il corpo di Lenin rimasero intatti.
Questo fu l’ultimo attacco serio al padre della Rivoluzione. Nella Russia post-sovietica, solo alcuni personaggi pittoreschi se la sono presa con il monumento: nel 2010 un uomo si avventò sulla tribuna del mausoleo e gridò appelli per seppellire il corpo e distruggere il mausoleo. Al momento dell’identificazione, si rivelò ricercato dalla polizia per rapine e aggressioni. Più tardi, in quello stesso anno, un uomo lanciò un rotolo di carta igienica e una brochure in direzione del Mausoleo, e finì in un reparto psichiatrico. E nel 2015, alcuni attivisti politici versarono acqua benedetta sul Mausoleo, con il risultato di essere fermati dalle guardie entro pochi secondi. “Alzati e cammina!”, gridavano a Lenin. Ma lui è ancora lì.