Gli inizi del XX secolo si rivelarono un periodo drammatico per gli ebrei russi, ai quali era consentito vivere solo entro i “certá osedlosti”, una “Zona di residenza” speciale, nell’Ovest dell’Impero (in gran parte corrispondente ai territori dell’attuale Polonia, Bielorussia e Ucraina) ed erano spesso vittima di pogrom. Nel 1905, per esempio, circa 800 ebrei vennero uccisi in attacchi legati ai disordini politici.
La “Zona di residenza” venne abolita solo nel 1917, dopo la Rivoluzione di Febbraio, con il decreto “Sull’abolizione delle restrizioni confessionali e nazionali” del 20 aprile. Ma, come tutti gli altri, anche i membri della comunità ebraica sarebbero presto andati incontro alle orrende sofferenze della Guerra civile, scoppiata subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre, subendo esecuzioni sommarie e saccheggi. Secondo le statistiche, almeno 200 mila ebrei persero la vita nel corso della Guerra Civile, che infuriò fino al 1921 (e in alcune sacche di resistenza, oltre). Quando tornò la pace e il potere sovietico iniziò a consolidarsi, il governò cominciò a chiedersi come gestire la “Questione ebraica”.
Le scelte di Stalin
Si diceva che Stalin - che accentrò il potere nelle sue mani nel 1924 - avesse forti pregiudizi nei confronti degli ebrei, sebbene lui lo negasse con forza e dicesse che “l’antisemitismo è un avanzo di cannibalismo”. In ogni caso sentiva che fosse necessario fare qualcosa con gli ebrei sovietici. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il commercio e l’artigianato (le principali occupazioni della popolazione ebraica) erano malviste per ragioni di classe e ideologiche. Così il governò progettò di trasformarli in contadini.
Stalin era intenzionato a far vivere gli ebrei tutti assieme, in un ben definito territorio e a dar loro un'autonomia nazionale, come a molti altri popoli dell’Unione Sovietica.
Oltre ad aiutare a risolvere alcune questioni politiche interne, la creazione di un “sionismo socialista” avrebbe permesso a Mosca di entrare in concorrenza con il progetto sionista di un ritorno in Palestina, che era molto vivo in quell’epoca. Ma dove piazzare la Terra Promessa socialista?
Una California in Crimea
La prima opzione emerse nel 1926 quando Mosca annunciò di supportare l’idea di una regione autonoma ebraica in Crimea, per creare la quale sarebbero state spostate in zona circa 96 mila famiglie.
Il progetto assunse una dimensione internazionale quando nel 1929 l’Urss firmò un accordo con l’American Jewish Joint Distribution Committee, un’organizzazione umanitaria con sede a New York, che finanziò l’operazione con 1,5 milioni di dollari all’anno per la creazione della “California di Crimea” e il trasferimento degli ebrei.
L’Unione Sovietica iniziò a mettere in piedi delle fattorie collettive ebraiche che iniziarono a lavorare con le prime semine e l’organizzazione dell’allevamento bovino. Ma i problemi cominciarono presto: le comunità locali, invidiose delle migliori condizioni di vita degli ebrei, ben finanziati dal progetto internazionale, dettero vita a pogrom e a seri disordini in tutta la Penisola.
Il Piano B
Deluso, Stalin mise fine al progetto di una Crimea ebraica e ideò un nuovo piano: spostare gli ebrei nelle remote aree del Lontano Oriente dove c’era terra in abbondanza e non ci sarebbero state ragioni di tensione con la scarsa popolazione locale.
Nel 1928 le prime famiglie ebraiche iniziarono a trasferirsi nel bacino del fiume Amur e ad accamparsi nelle vicinanze del piccolo villaggio di Tikhonkaja (alla lettera “Posto quieto”). Gradualmente trasformarono quel posto in Birobidzhan (nome assunto il 10 ottobre del 1831), città 8.200 chilometri ad est di Mosca, che diventò il capoluogo della Regione autonoma ebrea (e lo è ancora oggi, con i suoi 74 mila abitanti).
Il giornale ebraico ufficiale sovietico pubblicò poesie e storie dedicate a questa regione, che sarebbe diventata nell’immaginario collettivo “La Palestina sovietica”, la patria tanto agognata per un popolo senza terra.
Cosa andò storto?
Il progetto di dare una terra agli ebrei dell’Unione Sovietica non andò però molto oltre il fatto di mettere cartelli e insegne bilingui, in russo e in yiddish. Il viaggio per raggiungere Birobidzhan era estremamente lungo e arduo e il reinsediamento fu male organizzato. Anche lo status della regione era poco chiaro: non era una repubblica ma solo una “regione autonoma” con certi privilegi, inserita all’interno della Regione di Chabarovsk. E nel 1935 Stalin decise di non dare piena autonomia alla regione, lasciando gli ebrei sovietici senza entità statale.
Inoltre a Stalin non piaceva l’idea di far immigrare qui ebrei da altri Paesi, anche quando negli anni Trenta cercavano di mettersi al riparo dalla crescente minaccia nazista. E, per di più, il leader georgiano fece fucilare gran parte della classe dirigente della regione subito prima e subito dopo la Seconda Guerra mondiale.
La situazione attuale
Con la fondazione dello Stato di Israele nel 1948, gli ebrei ebbero a disposizione un posto molto più attraente dove spostarsi, rispetto a una sperduta e gelida landa della Russia asiatica. Presto Israele divenne avversaria dell’Urss e, per questo, fino alla sua morte Stalin rimase scettico sull’aiutare in qualche modo gli ebrei.
“Fu lo stesso Stalin a decretare la rovina della Regione autonoma come focolare nazionale del popolo ebraico”, sostiene Valerij Gurevich nel suo libro sulla storia di Birobidzhan.
Ancora oggi esiste la Regione (oblast) autonoma ebraica di Birobidzhan, con una popolazione di 164.000 persone. Ma secondo i dati dell’ultimo censimento (2010), gli ebrei non raggiungono neanche l’1 per cento (sono circa 1.600). A quasi 90 anni dal lancio dell’idea di una “Palestina nel lontano oriente russo” appare chiaro che il progetto è fallito.