Il trucco di Kutuzov: come Mosca divenne una trappola per Napoleone

Storia
OLEG EGOROV
Con una decisione non semplice, il grande generale decise di subire lo smacco di veder cadere in mano francese la vecchia capitale, pur di ottenere un risultato più grande: la vittoria finale russa e la disfatta completa della Grande Armata

Il 13 settembre del 1812 (secondo il calendario moderno, gregoriano) fu un giorno estremamente teso nel villaggio di Fili, nei pressi di Mosca. Dieci alti generali russi erano riuniti in una capanna di legno, impegnati in una discussione di cruciale importanza. Dovevano decidere se lasciar entrare il nemico, Napoleone Bonaparte, a Mosca, la ex capitale russa (esattamente un secolo prima la capitale era stata spostata a San Pietroburgo).

La decisione fu dura: lasciare Mosca ai francesi era un disonore. Ma difendere la città sarebbe stato ancor peggio. Già durante la battaglia di Borodino, che si era tenuta appena una settimana prima, il 7 settembre, l’esercito russo aveva pagato un durissimo tributo di sangue (oltre 45 mila soldati caduti), ed era allo stremo. 

Abbandonare la città

Un altro scontro diretto con Napoleone avrebbe potuto condurre alla catastrofe. Per questa ragione il generale Michail Kutuzov (1745-1813), comandante in capo dei russi, ordinò una ritirata strategica, senza badare alle obiezioni. Kutuzov era sicuro che salvare l’esercito e riprendere in mano l’iniziativa fosse più importante che resistere per cercare di non far cadere Mosca nelle mani del nemico. “Sua Maestà, il fatto che Napoleone entri a Mosca non significa che abbia conquistato la Russia”, scrisse all’imperatore Alessandro I. 

La Grand Armée napoleonica entrò in città il 14 settembre senza colpo ferire. Era la prima volta che la vecchia capitale veniva conquistata da un esercito nemico da 200 anni (nel 1612 la città era stata invasa dai polacchi). Ma quando Napoleone e i suoi entrarono, trovarono una città praticamente vuota: erano rimaste solo circa 6.000 persone sui 275 mila abitanti della Mosca di quei tempi. 

Nessun rispetto, solo fiamme

Per diverse ore Napoleone attese alle porte di Mosca per la capitolazione ufficiale e la consegna simbolica delle chiavi della città. Ma nessuno gli portò niente. Fu invece informato che sia l’esercito che la cittadinanza se ne erano andati.

Scoraggiato e infastidito, Napoleone entrò comunque a Mosca e si stabilì nella residenza dell’Imperatore Alessandro al Cremlino.

La mancanza di rispetto da parte dei russi, comunque non fu la cosa peggiore. Quando i francesi iniziarono il loro ingresso in città, un po’ ovunque si scatenarono degli incendi. È ancora un mistero chi li appiccasse. Napoleone accusò il governatore generale di Mosca Fëdor Rostopchin di aver organizzato il sabotaggio prima di lasciare la città. Ma ci sono anche storici russi che pensano che il tutto non fosse pianificato, ma dovuto al caos, e in gran parte alla imperizia degli invasori.

In ogni caso, il fuoco rese ancora più difficile per Napoleone godersi il suo atipico trionfo. Fu addirittura costretto dalle fiamme ad abbandonare il Cremlino appena un giorno dopo averlo occupato, per spostarsi in un luogo più sicuro. L’Imperatore dei francesi fu scioccato da come i russi fossero capaci di dare alle fiamme la loro stessa città. “Che spettacolo orribile! Che gente! Questi sono dei barbari!”, avrebbe esclamato, secondo quanto riportò il suo diplomatico Louis Philippe de Ségur. 

La vita dei francesi a Mosca

L’incendio proseguì fino al 18 settembre e Mosca, in gran parte formata allora da edifici in legno, fu distrutta per tre quarti. Infuriato, Napoleone, permise ai suoi uomini di spadroneggiare in città, ma la cosa uscì fuori controllo, trasformando centomila soldati in una gigante folla di predoni. Come reazione, i pochi russi che erano rimasti in città iniziarono a organizzare la resistenza partigiana e uccisero migliaia di francesi. La vita per gli invasori peggiorava continuamente. Giorno dopo giorno faceva sempre più freddo e le derrate cominciavano a scarseggiare. I contadini delle campagne attorno a Mosca resistevano al nemico e nascondevano il cibo. Avendo ben presente il quadro, Napoleone dovette ripensare i suoi piani e rinunciare al progetto di puntare a Nord e di conquistare San Pietroburgo. Per di più, il suo esercito non sarebbe stato probabilmente in grado di farlo, ora che i soldati di Kutuzov erano ammassati là e ben assestati nelle retrovie. 

Una ritirata ingloriosa

Bonaparte, abituato ai trionfi, non poteva accettare questo finale. Da Mosca scrisse tre volte ad Alessandro I, proponendo una dichiarazione di pace. Esigeva lo stesso che chiedeva anche prima dell’invasione: che la Russia entrasse a far parte del Blocco continentale (contro l’Inghilterra), e si alleasse militarmente con la Francia. Alessandro ignorò tutte e tre le lettere.

In questo scenario, Napoleone dovette ritirarsi da Mosca a metà ottobre del 1812, per cercare di passare l’inverno nei territori tra il Dnepr e la Dvina. Lasciando la città, ordinò di radere al suolo il Cremlino. Ma fu un altro fiasco. Gli ingegneri francesi, poco preparati, riuscirono ad abbattere solo una torre. Il resto del Cremlino fu danneggiato ma rimase in piedi. Proprio come la Russia.

L’esercito di Kutuzov, intanto, con manovre intelligenti e con l’aiuto dei partigiani, rese la ritirata napoleonica un vero inferno. Ormai a corto di viveri e non preparata per il gelido inverso russo la Grand Armée cessò di fatto di esistere, decimata dalle morti e allo sbando. Napoleone fu costretto ad abbandonare i pochi soldati superstiti e a rientrare precipitosamente a Parigi nel dicembre del 1812.