Il lato oscuro dei Romanov: Pietro e Caterina sovrani sanguinari

Il mattino dell'esecuzione degli Streltsy

Il mattino dell'esecuzione degli Streltsy

Wasilij Surikov/Wikipedia
Sono passati entrambi alla storia con l’appellativo di Grande, ma per conquistarselo furono spietati, e non guardarono in faccia agli affetti. Lui torturò e uccise il figlio, lei fece fuori il marito e un altro zar, Ivan VI, che aveva passato tutta la vita in carcere

Pietro il Grande: torturò e uccise persino suo figlio

Pietro il Grande (1672-1725) era un imperatore appassionato, a dir poco. Applicò lo stesso fervore con cui si dedicò a modernizzare il Paese, nel combattere i suoi nemici, e il modo in cui schiacciò la rivolta degli Strelizi o Strelzi (dal russo “streltsy”, tiratori) nel 1698 scioccò i suoi contemporanei.

Gli Strelizi erano truppe d’élite, paragonabili ai pretoriani dell’Antica Roma. Alla fine del XVII secolo erano circa cinquantamila e Pietro il Grande non li vedeva di buon occhio, perché erano stati fiancheggiatori dei suoi nemici politici, che si erano opposti alla sua politica di modernizzazione forzata.

Il ricordo del ruolo da loro avuto nel corso di un’altra rivolta, quella del 1682, era ancora troppo vivo per lo zar. Allora aveva solo dieci anni, e il reggimento degli Strelizi prese parte a un cruento colpo di Stato, che rimosse lui e sua madre, Natalja Kirillovna Naryshkina, che faceva da reggente, dal potere per molti anni, a favore della sorella di lui, Sofia. Il giovane monarca assistette a terribili scene, e alcuni parenti da parte di madre furono probabilmente uccisi davanti ai suoi occhi all’interno del Cremlino.

Forse questo può in parte spiegare la crudeltà con cui punì, 16 anni dopo, nel 1698, chi riteneva collegato alla rivolta. Circa 4.000 persone furono arrestate e torturate atrocemente. Almeno mille uomini furono messi a morte. La maggioranza venne decapitata sulla Piazza Rossa.

Alcune testimonianze dell’epoca sostengono che Pietro abbia personalmente tagliato le teste di alcuni condannati, prima di ordinare a dei nobili di proseguire l’opera. I soldati che non furono decapitati vennero impiccati di fronte alle finestre del monastero dove Sofia fu rinchiusa e costretta a prendere i voti. I cadaveri vennero lasciati lì a putrefarsi per mesi e mesi, un atto deliberato per terrorizzare la sorella, che Pietro riteneva coinvolta nella rivolta.

“Il soffocamento della rivolta degli Strelizi del 1698 è considerata l’ultimo grande avvenimento della storia della Rus’ di Mosca prima della sua violenta trasformazione nell’Impero russo [sotto Pietro il Grande]” ha scritto lo storico Lev Gumilev.

Sofia non fu l’unica parente di Pietro a cadere in preda al suo furente temperamento. Lo zar uccise il suo stesso figlio, Aleksej, per un presunto tradimento, vent’anni dopo la seconda rivolta degli Strelizi, nel 1718, dopo averlo convinto a rientrare dal suo autoesilio (viveva a Napoli, a Castel Sant’Elmo). Aleksej non era interessato al governo del Paese, voleva rinunciare al trono e farsi monaco, ma Pietro era convinto che fosse parte di una cospirazione che coinvolgeva potenze straniere e i contrari alle sue riforme. Durante gli interrogatori, si ritiene che Pietro abbia personalmente voluto torturare il figlio, anche piantandogli aghi sotto le unghie, tanto da estorcergli alla fine una confessione. 

Caterina la Grande: due zar sulla coscienza

Caterina II (1729-1796) salì al trono durante l’epoca che più tardi è stata soprannominata l’Era delle Congiure di Palazzo. Come il suo predecessore, prese il potere con l’aiuto delle guardie d’élite. Con l’appoggio del suo amante Grigorij Orlov depose suo marito, l’imperatore Pietro III, nel 1762, e lo rinchiuse in carcere dove, pochi giorni dopo, morì. Non è noto con certezza se Caterina lo fece uccidere, ma ci sono sempre state forti teorie in proposito. Secondo la versione ufficiale, Pietro III morì di colite emorragica, ma alcuni storici sostengono che sia stato ucciso dai sostenitori della moglie. Anche molti contemporanei dubitarono della versione ufficiale. Quegli eventi non giovarono molto all’immagine di Caterina II come monarca progressista, che teneva una corrispondenza con Voltaire e Diderot e giustamente si considerava parte dell’Illuminismo europeo.

Gli storici russi tendono a simpatizzare con l’Imperatrice e con il colpo di Stato da lei guidato. Sotto il suo regno, s’inaugurò l’era d’oro dell’Impero russo, mentre Pietro II, il marito spodestato, continua a essere considerato un debole, manipolato dal re prussiano Federico il Grande. Il famoso storico russo Sergej Solovjev ha definito Pietro III “uno zar estero” e “un nemico giurato” del Paese. Vasilij Kljuchevskij, un altro storico storico russo del periodo imperiale, ha scritto che il governo illegale di Caterina II servì meglio l’interesse nazionale russo rispetto al gabinetto di Pietro III.

Anche un altro monarca russo fu ucciso durante il regno di Caterina: lo zar Ivan VI. Governò, se così si può dire, visto che era un infante, solo per un anno, dall’età di due mesi (era nato il 23 agosto del 1740 e fu messo sul trono il 28 ottobre; con Anna Leopoldovna come reggente), fino al 6 dicembre del 1741, quando con il colpo di Stato di Elisabetta fu incarcerato. Crebbe in regime di detenzione durissima, ma Pietro III, che aveva simpatia per lui, nel 1762 impose un miglioramento delle sue condizioni di prigionia. Ma il regno di Pietro III durò solo sei mesi, e quando venne spodestato dalla moglie Caterina, la situazione di Ivan VI peggiorarono di nuovo e due anni dopo, il 16 luglio del 1764, fu ucciso dalle guardie durante un tentativo di fuga, dopo aver passato tutta la vita dietro le sbarre.

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