Chernov, il ministro che non riuscì a dare la terra ai contadini

Victor Chernov

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Nel 1917 Viktor Chernov era il leader del Partito socialista rivoluzionario, il partito che raccoglieva più consensi in Russia. Tuttavia, quando dopo la vittoria alle elezioni dei socialisti rivoluzionari raggiunse l’apogeo della sua carriera , ebbe inizio la fine della sua parabola politica e di quella del suo partito

Viktor Chernov. Foto d'archivioViktor Chernov. Foto d'archivio

Chernov era stato il leader del partito che aveva posto in cima ai suoi programmi gli interessi dei contadini, che all’inizio del secolo scorso costituivano l’80% della popolazione russa. Tuttavia, questo non consentì ai socialisti rivoluzionari di conservare il potere. Del loro programma di partito s’impadronirono senza riguardi i bolscevichi, assicurandosi in tal modo l’appoggio della base della società russa.

Il Partito socialista rivoluzionario era, insieme a quello socialdemocratico che si era scisso tra menscevichi e bolscevichi, uno dei tre principali partiti politici russi. A differenza di questi ultimi i socialisti rivoluzionari avevano puntato sugli agricoltori, battendosi per l’abolizione della proprietà privata della terra per darla ai contadini.

Viktor Chernov era il leader più influente del partito. Teorico socialista, era stato tra i promotori della fondazione del partito già quindici anni prima della rivoluzione. I suoi contemporanei, pur riconoscendo il talento di Chernov come pensatore sociale e politico, non potevano fare a meno di rilevare la sua debolezza come capo del partito e leader politico. Il menscevico Nikolaj Sukhanov, che ci ha lasciato delle testimonianze assai ben documentate sul '17, osservava che “…nella vasta arena rivoluzionaria, nonostante l’enorme prestigio di cui godeva tra i lavoratori socialisti rivoluzionari, Chernov era apparso fragile come capo politico”.

“Il ministro rurale”

La rivoluzione sorprese Chernov mentre era in esilio. Fece ritorno in Russia in aprile dopo il tempestoso rovesciamento dell’autocrazia. Chernov si trovò subito al centro della bufera politica, prodotta dal sistema del “doppio potere” in vigore. Accanto al Governo provvisorio, costituito dai parlamentari liberali, esisteva anche il Soviet dei lavoratori e dei soldati di Pietrogrado (Petrosovet) che era in pratica l’unico vero detentore del potere. La crisi politica fu risolta solo in maggio quando gli attivisti chiave del Petrosovet, tra cui c’era anche Viktor Chernov, entrarono a far parte del governo. Si diede vita al primo governo di coalizione nel quale al teorico socialista rivoluzionario venne assegnata la carica di ministro dell’Agricoltura. Chernov era soprannominato il “ministro rurale”, per sottolineare la sua vicinanza al popolo. 

Una volta diventato ministro, Chernov, ancora prima dell’avvento dell’Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto definitivamente risolvere la questione agraria in Russia, cercò di adottare delle misure di transizione per limitare le transazioni commerciali per la compravendita di terreni. Dopo la rivoluzione i grandi proprietari terrieri, temendo che i loro terreni venissero espropriati, cominciarono a venderli agli stranieri, i cui diritti erano ritenuti più protetti. I contadini cominciarono a mostrare il loro malcontento, vedendo in questo un tentativo di privarli della terra che teoricamente avrebbe dovuto essere concessa a loro dopo le riforme consacrate dall’Assemblea Costituente. Erano in pochi allora in Russia a non credere che la riforma principale sarebbe stata quella della confisca delle terre dei proprietari a vantaggio dei contadini. Nell’arco di due mesi Chernov cercò di ottenere il consenso del gabinetto per far approvare la legge sul divieto delle transazioni commerciali sui terreni. A detta di Sukhanov, “Chernov si era battuto con tutte le sue forze nel governo per conseguire la riforma agraria”. Solo verso la metà di luglio il leader dei socialisti rivoluzionari, dopo essere venuto a un compromesso, riuscì a formalizzare il divieto sulla compravendita dei terreni.

La critica dei liberali e dei socialisti

I modesti risultati ottenuti da Chernov come ministro dell’Agricoltura costrinsero alla fine di agosto il leader dei socialisti rivoluzionari ad abbandonare il suo incarico. Una volta al di fuori del gabinetto Chernov criticò duramente sia gli attivisti liberali al governo che i suoi compagni socialisti. Se i primi venivano da lui accusati di non essersi impegnati a sufficienza sul fronte delle trasformazioni sociali, ai secondi si rimproverava la paura di accaparrarsi da soli tutto il potere.

Chernov non appoggiò la rivoluzione bolscevica di Ottobre, ritenendola un'usurpazione del potere. Non poteva accettare che i bolscevichi, non appena conquistato il potere, avessero immediatamente emanato il famoso Decreto sulla terra, mutuato nella sua essenza dal programma di riforma agraria dei socialisti rivoluzionari. La proprietà privata della terra veniva abolita e la terra veniva concessa senza alcuna forma di riscatto ai contadini.

Era possibile una terza via?

Dopo il rovesciamento del Governo provvisorio da parte dei bolscevichi i socialisti rivoluzionari puntarono sulle elezioni dell’Assemblea Costituente. I bolscevichi non ostacolarono le elezioni e nel mese di gennaio a Pietrogrado s’inaugurò l’Assemblea Costituente, di cui Chernov venne eletto presidente. Tuttavia, il parlamento ebbe vita breve: le nuove autorità lo esautorarono immediatamente dopo la prima seduta.

Mentre divampava la guerra civile, nel 1918, Chernov e i socialisti rivoluzionari cercarono di proporsi come terza forza politica, accanto ai Rossi e ai Bianchi, ma non riuscirono a ottenere il sostegno popolare. Nel 1920 Chernov emigrò dalla Russia e visse per i trent’anni successivi all’estero. Durante il periodo dell’emigrazione il leader dei socialisti rivoluzionari criticò il sistema sovietico per la sua mancanza di democrazia. Come rilevano gli storici, Chernov era convinto dell’incompiutezza del socialismo senza la democrazia. Condivideva pienamente l’asserzione dell’ideologo anarchico Mikhail Bakunin che sosteneva: “il socialismo senza libertà è solo barbarie”.

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