L’Italia produrrà lo Sputnik V, Trani (CCIR): “Altre aziende europee vogliono il vaccino russo”

Scienza & tech
LUCIA BELLINELLO
Il presidente della Camera di Commercio italo-russa che ha promosso l'accordo per la produzione del preparato russo anti-covid in Italia racconta i retroscena delle trattative. E aggiunge: “Nella valutazione dei vaccini pesa la russofobia. Io stesso mi sono vaccinato con lo Sputnik quattro mesi fa e gli anticorpi sono ancora alti”. E se non dovesse arrivare l’approvazione dell’EMA, si penserebbe all’export

In molti lo hanno definito un accordo “storico” quello firmato dall'azienda farmaceutica Adienne Pharma&Biotech e il Russian Direct Investment Fund (RDIF) finalizzato a produrre in Italia 10 milioni di dosi di vaccino russo Sputnik V tra luglio 2021 e l’inizio del 2022 (ne abbiamo parlato qui). Una prima assoluta in Europa, che, se da un lato ha causato qualche mal di pancia a Bruxelles, dall’altro sta alimentando le speranze di chi intravede la fine dell’emergenza proprio in una maggior diffusione dei vaccini, indipendentemente dalla bandiera che portano. A promuovere le trattative, la Camera di Commercio italo-russa, trainata dal suo presidente Vincenzo Trani.

Come sono avvenute le trattative che hanno portato alla sottoscrizione dell’accordo per la produzione del vaccino russo in Italia? 

Quando ad agosto è stata pubblicata la notizia dell’esistenza dello Sputnik V mi sono immediatamente attivato per cercare di sviluppare, attraverso la Camera di Commercio italo-russa, un ponte tra i nostri due paesi: d’altronde la CCIR punta a incentivare non solo la logica della produzione italiana in Russia e dell’esportazione, ma anche della produzione russa in Italia e della relativa esportazione. E così abbiamo mosso i primi passi.

Io stesso, appena ho avuto la possibilità di vaccinarmi con lo Sputnik, l’ho fatto: quindi non racconto favole, ma cose provate personalmente. Dopodiché ho parlato con tantissime società farmaceutiche italiane per proporre loro l’opportunità - secondo me unica - messa a disposizione dal Russian Direct Investment Fund, di proporre lo Sputnik sul mercato italiano per la produzione, non per la vendita. L’idea del Fondo sovrano russo di dare mandato di produzione in Italia è secondo me un approccio molto interessante per le aziende, che tra l’altro si trovano in una situazione di crisi molto forte. L’unica medicina è il vaccino, ma bisogna muoversi per produrlo. 

E così abbiamo organizzato una serie di attività di scouting per scegliere le società produttrici più adatte fra quelle interessate. Alla fine è stata scelta Adienne. 

Quante aziende si sono proposte? 

Tre, due delle quali non sono andate avanti con le trattative; una sola - Adienne - ha avuto il placito del Fondo sovrano russo.

L’Agenzia europea del farmaco (EMA) non ha ancora dato l’ok allo Sputnik V.  Cosa succederebbe se per ipotesi l’EMA dovesse bocciare il preparato russo? Salterebbe l’accordo?

Che io sappia, l’accordo non è necessariamente collegato alla distribuzione del prodotto in Europa. E se l’Europa non lo vuole, il vaccino sarà disponibile per qualsiasi altro paese del mondo. Quindi non credo che ci sia un problema legato all’eventuale mancata autorizzazione dell’EMA. Certo, sarebbe un peccato… Ma è chiaro che ognuno deve fare il proprio lavoro, e l’EMA deve fare il suo. 

Quindi, se l’EMA dovesse confermare il proprio scetticismo, si penserebbe alla produzione interna finalizzata all’export?

Purtroppo le dosi realizzate da tutte le società produttrici di vaccini non sono neanche lontanamente sufficienti a soddisfare il 14% delle esigenze di vaccino al mondo. Figuriamoci se ci si pone il problema di dove destinarlo: in questo momento i vaccini sono una merce pregiata e la richiesta è molto alta. 

Come commenta le dichiarazioni della presidente del Cda di EMA, Christa Wirthumer-Hoche, che ha paragonato lo Sputnik V a una “roulette russa”, suscitando la reazione indignata di Mosca e l’immediata richiesta di scuse pubbliche? 

Io non sono uno scienziato... Detto ciò, piuttosto che parlare di cose che non conosco, ho preferito provare lo Sputnik personalmente. E penso che tutti dovrebbero fare lo stesso: parlare solo di cose che conoscono. 

Lei è stato uno dei primi italiani a sottoporsi al vaccino russo (come abbiamo scritto qui). Come è andata la somministrazione della seconda dose? Ha avuto effetti collaterali?

Nessun effetto collaterale, né dopo la prima, né dopo la seconda dose. Tra l’altro monitoro costantemente la presenza di anticorpi e devo dire che resiste: sono passati già quattro mesi e la resistenza è inalterata: la quantità di anticorpi risulta costante.

Che tipo di prospettive si aprirebbero con la produzione in Italia del vaccino russo e come cambierebbe il ruolo del nostro paese in Europa? Cambierebbero gli equilibri?

È difficile dirlo, ma credo che se l’EMA approvasse il vaccino russo l’Italia non sarebbe più l’unica a produrlo: il costo di produzione del preparato russo è più basso, e probabilmente anche altri paesi europei dimostrerebbero interesse. Questa non è una prerogativa assolutamente italiana; ma è sì una prerogativa italiana avere un’unità produttiva come Adienne, società leader nel suo settore, dotata di tutte le attrezzature per partire velocemente. Il vantaggio dell’Italia è questo: poter avviare la produzione in tempi rapidi, già a luglio. 

In tal senso, credo che gli equilibri interni all’Europa non cambierebbero, perché quando arriverà l’autorizzazione l’Italia non sarà l’unica a produrlo: molte altre aziende europee stanno già dialogando con il Russian Direct Investment Fund per avere lo stesso accordo di Adienne. L’Italia è stato il primo paese, ma ne seguiranno altri. D’altra parte stiamo parlando di un vaccino essenziale per la salute del popolo, e il diritto alla salute è sancito nelle Costituzioni di tutti i paesi europei.  

Lei parla di costi di produzione più bassi: quali sarebbero?

Purtroppo i costi di produzione dei vaccini sono secretati, non c’è nessuna informazione. Però i processi sono evidenti, e quello di produzione dello Sputnik è molto più semplice degli altri; anche la logistica è molto semplice: per questo il costo complessivo di una fialetta del vaccino russo sarà sicuramente molto basso. Noi purtroppo non abbiamo avuto accesso ai contratti di nessuno dei produttori, nemmeno di Adienne, perché come Camera di Commercio italo-russa siamo “facilitatori” dell’incontro tra Adienne e il Fondo russo, ma non siamo parte contrattuale, quindi non abbiamo letto i contratti. Perciò non posso darle la cifra precisa, ma analizzando i dettagli di produzione, notiamo procedure più economiche. 

Lo scetticismo di Bruxelles deriva dal fatto che, secondo molti, i dati forniti da Mosca sullo Sputnik sarebbero parziali e poco chiari. Qual è il suo punto di vista? 

La mancanza di dati sui vaccini è stata colossale a livello generale, non solo per lo Sputnik; anche i tempi di approvazione sono stati molti brevi per tutti, non solo per il preparato russo. Secondo me, nella valutazione dei vaccini pesa molto la russofobia. Purtroppo questa “malattia” c’è sempre stata e si cura solo con la conoscenza. La Camera di Commercio italo-russa lavora proprio a questo: ad aumentare la conoscenza della Russia: quando la si conosce meglio, sicuramente se ne avrà meno paura. 

Mentre l’Europa si chiude nuovamente in casa e anche in Italia si annunciano nuovi lockdown, in Russia la vita è tornata quasi alla normalità: buona parte delle attività sono aperte e le restrizioni sono state tolte quasi del tutto; secondo i dati del 9 marzo, nelle 24 ore precedenti in tutto il paese si erano registrati appena 9.945 casi. Come spiega questa differenza di scenari? 

La differenza di scenari è legata a un fattore principale, che si chiama Sputnik. Credo che sia questa la prospettiva che cambia fortemente la situazione. 

Però in Russia la percentuale di persone vaccinate è ancora relativamente bassa (4 milioni di persone, circa il 2,7% dei 146 milioni di cittadini russi, ndr); forse sono più le persone che si sono ammalate e che hanno così creato una sorta di immunità di gregge. Non è forse così?

Io credo che il lockdown sia collegato a vari parametri: il primo è la disponibilità di posti letto negli ospedali; il secondo è il numero delle infezioni registrate al giorno; e sulla base di questi due parametri si modula il lockdown e si decide se applicarlo o meno. In Russia i posti letto disponibili negli ospedali sono tanti, il sistema sanitario ha reagito velocemente e già da marzo dello scorso anno sono stati messi a disposizione costantemente nuovi posti letto. Inoltre le frontiere russe, a differenza di quelle europee, sono rimaste chiuse. Le varianti che girano in Europa continuano a circolare perché la gente nella realtà si sposta, e questo non ha bloccato i contagi. 

In Europa, poi, i vaccini sono stati somministrati soprattutto alle persone anziane, ovvero a coloro che si muovono meno; le persone che circolano di più non hanno ancora avuto accesso al vaccino e quindi diffondono maggiormente il virus. 

In Russia il discorso è stato molto diverso: oggi la vaccinazione è aperta a tutta la popolazione. In conclusione, credo che sia un cocktail di ragioni che si riflette con un dato evidente: in Russia non ci sono lockdown, non ci sono “stop & go”, e la situazione del virus è molto più tranquilla rispetto al passato. 

Si possono avanzare delle ipotesi su quando riapriranno le frontiere con la Russia?

Purtroppo non le so dire nulla in merito, è un grosso limite per il business ma al momento non c’è niente da fare. 

Questo pezzo fa parte della nuova rubrica “Fare affari in Russia”: ogni due settimane analizzeremo un aspetto specifico del business bilaterale attraverso interviste, esperienze dirette, analisi e approfondimenti.