La storia della Fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione (Fivet) in Unione Sovietica iniziò nel 1955 presso l’Istituto medico di Crimea. E se il partito non avesse vietato agli scienziati sovietici di continuare a lavorare in questo campo, il primo “bambino in provetta” al mondo sarebbe potuto nascere nell’Urss ben 25 anni prima che Louise Joy Brown venisse alla luce con questo metodo in Gran Bretagna, il 25 luglio 1978 (la prima italiana fu invece Alessandra Abbisogno, nata a Napoli, l’11 gennaio 1983).
Il dipartimento di istologia ed embriologia dell’Istituto medico di Crimea, con sede a Sinferopoli, era a quel tempo diretto dallo scienziato Boris Khvatov (1902-1975), che aveva espresso l’idea dell’inseminazione artificiale degli esseri umani già nel 1939. Dal 1940 la teoria di Khvatov venne approfondita dai suoi studenti e da vari ricercatori dell’istituto. Uno dei suoi allievi più talentuosi, lo studente post-laurea Grigorij Petrov, condusse esperimenti sull’inseminazione artificiale degli animali dal 1954. Il 10 novembre 1955, Petrov per la prima volta eseguì la fecondazione artificiale di ovuli umani con il consenso di una famiglia senza figli che voleva un bambino.
La gravidanza “ebbe luogo”, e andò avanti per 13 settimane, ma purtroppo si concluse con un aborto spontaneo. Uno degli scienziati locali lo riferì al comitato regionale della Crimea del Partito comunista e Khvatov fu convocato per un colloquio.
“Khvatov è tornato all’istituto più nero di una nuvola. Ha riunito la sua squadra e ha detto: ‘Io ormai non ho più molto da perdere, ma voi avete ancora tutta la carriera davanti. Non voglio rovinarvi. Forse è meglio lasciar perdere questa ricerca’. Tutti tacquero. Ma come? In qui giorni arrivavano al dipartimento sacchi interi di lettere, anche dall’estero, di coppie senza figli che chiedevano aiuto”, ricorda Boris Trotsenko, uno degli studenti di Khvatov, professore del Dipartimento di istologia dell’Università medica di Crimea.
Il comitato regionale del Pcus proibì all’istituto di “condurre simili esperimenti sulle donne sovietiche”. Khvatov continuò a lavorare all’università fino alla fine della sua vita e partecipò a varie conferenze a Mosca e San Pietroburgo dove difese la fecondazione in vitro come metodo di trattamento dell’infertilità. Morì nel 1975.
Quanto a Grigorij Petrov, ha pubblicato 9 articoli scientifici sulla fecondazione in vitro, dopo di che ha lasciato l’istituto in cerca di un nuovo lavoro. Dopo diversi tentativi falliti, è tornato all’istituto e ha iniziato a insegnare anatomia e ha anche creato un museo di anatomia sul territorio dell’università di medicina. All’età di 60 anni fu mandato in pensione, fino alla fine della sua vita si dedicò al giardinaggio. È morto nel 1997 in povertà.
Nel 1969, il biologo britannico Robert Edwards (1925-2013), annunciò di aver sviluppato la tecnologia Fivet. Nel 2010, per questo suo apporto alla scienza medica vinse il Premio Nobel. Quando Trotsenko apprese la notizia, andò al cimitero “Abdal” di Sinferopoli e mise quattro rose sulle tombe di Khvatov e Petrov: due gialle per Khvatov e due rosse per Petrov. “Quattro rose al posto del premio Nobel”, chiosa.
La prima ragazza sovietica nata in vitro
Dopo il divieto di ulteriori esperimenti in materia dato a Khvatov, nel 1965 fu creato un gruppo di Embriologia umana, che includeva medici che studiavano l’infertilità.
La prima inseminazione artificiale riuscita nell’Urss dopo 21 anni di esperimenti fu poi effettuata dall’ostetrica-ginecologa Elena Kalinina e dall’embriologo Valentin Lukin.
Il 7 febbraio 1986 nacque la prima bambina in Unione Sovietica concepita con l’aiuto della fecondazione in vitro, Elena Dontsova (in seguito ha cambiato il suo nome in Alena).
“A quel tempo, solo quattro cliniche lavoravano allo sviluppo di un metodo di fecondazione in vitro: due a Mosca, una a Leningrado e una a Kharkov. Noi siamo stati i primi a ottenere il risultato, anche se nello stesso anno i primi bambini concepiti con fecondazione in vitro sono nati anche nelle altre cliniche sovietiche”, ha ricordato la dottoressa Elena Kalinina. Successivamente, lei e altri medici che avevano partecipato alla prima procedura di fecondazione in vitro hanno ricevuto premi governativi.
Secondo lei, le prime procedure richiedevano attrezzature costose e medici altamente qualificati. Per questo motivo, i bambini nati con la Fivet erano soprannominati bambini “di brillante”. Inoltre era diffusa la convinzione che quei bambini nascessero deboli e malaticci, e che il metodo non sarebbe mai stato disponibile su grande scala. Oggi, invece, una procedura di fecondazione in vitro in Russia costa circa 200 mila rubli (2.230 euro), e, nell’ambito dei progetti nazionali di sostegno alle nascite, la procedura viene eseguita gratuitamente (nel 2019 sono state eseguite 80 mila Fivet gratuite in Russia).
“Le cliniche russe non sono peggio, e anzi, spesso sono persino meglio di molte cliniche straniere”, si dice sicura la Kalinina.
Il destino della prima bambina “di brillante”
Elena Dontsova, la prima bambina in Urss concepita con la fecondazione in vitro, ha trascorso la sua infanzia in Ucraina, e dopo la scuola è entrata all’Università di Sebastopoli. Lì ha conosciuto suo marito e nel 2007 ha dato alla luce un figlio con un parto naturale. La gravidanza di Elena Dontsova è stata guidata dalla stessa Kalinina, che aveva aiutato la ragazza a nascere.
Nel 2009 Elena e suo marito si sono trasferiti a Mosca, dove lei dirige un’agenzia pubblicitaria. Elena ha poi divorziato dal primo marito, si è risposata, e sogna altri figli.
“Sogno di avere due gemelli. Nella famiglia di mio marito, sia da parte di madre che di padre, ci sono gemelli. Spero davvero che avremo due gemelli”, ha detto Dontsova in un’intervista a Ria Novosti.
A volte Dontsova partecipa a programmi tv dedicati al tema della Fivet. In un talk show si è trovata di fronte un rappresentante della Chiesa ortodossa russa, che è contraria alla fecondazione in vitro, in quanto “contraddice la volontà di Dio”.
“Io ho obiettato: ‘Lei dice che tutto accade per volontà di Dio, ma se l’umanità è arrivata alla tecnica della fecondazione artificiale, allora anche questo è avvenuto per volontà di Dio’. Non ha saputo cosa rispondermi”, ha raccontato la Dontsova.
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