La musicoterapia: quelle note che aiutano a guarire

Cortesia di "Vivi adesso"
La musica ha il potere di agire su varie parti del cervello in contemporanea, e può essere di grande aiuto per chi soffre di autismo o delle conseguenze di un ictus, e in molti altri casi clinici. Ecco l’esperienza in materia fatta in Russia

Una ragazza suona l’oboe in una istituto per bambini diversamente abili. Un ragazzino di circa 7 anni è seduto in poltrona, fissa il pavimento e non reagisce in alcun modo ai suoni. Allora la ragazza cambia tonalità e comincia ad andare al ritmo di una melodia accelerata. E qui il bimbo cambia gradualmente espressione del volto e inizia persino a oscillare un piccolo strumento musicale che ha in mano, uno shaker, al ritmo della melodia.

Ecco come appare una sessione di musicoterapia. Il bambino ha una grave forma di autismo e un tale dialogo musicale per lui è uno dei pochi modi per interagire con il mondo. La musica aiuta i bambini con una diagnosi simile a iniziare a esprimersi, a sviluppare il linguaggio e altre funzioni cognitive.

Di cosa si tratta?

“Anche uscendo da un concerto di musica classica, ci sentiamo rinnovati, riposati, pieni di nuova energia. Ma tutto ciò non è ancora musicoterapia”, spiega la musicoterapeuta, fondatrice del progetto educativo MuzTerapevt.ru Alisa Apreleva. La differenza tra quest’ultima e l’ascolto ordinario è l’uso focalizzato a scopi curativi della musica.

L’efficacia della musicoterapia è legata al fatto che la musica è così poliedrica che nel nostro cervello non esiste una singola area responsabile della sua percezione. “La capacità della musica di essere un forte incentivo ha spinto i ricercatori a pensare che attraverso la musica si potesse trovare un nuovo modo per rimettere in moto delle funzioni cerebrali perse. Sarà il cervello stesso a trovare questo nuovo percorso. Questo è esattamente ciò che accade, ad esempio, con il recupero del linguaggio dopo un ictus”, afferma la musicoterapeuta della fondazione “Zhivì sejchas” (“Vivi adesso”), e curatrice dell’indirizzo di uso terapeutico della musica negli istituti per anziani “Senior Group” Maria Pakosh (Ilchenko).

Inoltre, la musica dà un senso di sicurezza grazie alla possibilità di essere iniziata e terminata, grazie alla prevedibilità intuitiva. L’improvvisazione musicale nel suo insieme è associata al momento in cui una persona entra nello stato infantile di libertà, quando “tutto è possibile”.

Il neurologo e neuropsicologo americano Oliver Sachs ha affermato che “anche se una persona non può camminare, può ballare, anche se una persona non può ancora parlare, può cantare”. “A volte nient’altro che la musica può raggiungere una persona che vive nel suo piccolo mondo con una perdita di memoria o pensieri alterati. E non sappiamo come stia”, è convinta Maria Pakosh (Ilchenko).

I due principi fondamentali della musicoterapia

Innanzitutto, si tratta di musica con compiti non musicali. “A differenza di un musicista, il terapeuta ha altri obiettivi: la musica non è per il bene della musica in sé, ma per il bene dell’interazione”, afferma Maria Pakosh (Ilchenko). E poi c’è una differenza importante rispetto a un concerto: in una sessione di musicoterapia non c’è un palcoscenico fisico, non ci sono confini. Ad esempio, se una anziana con demenza si siede su una sedia, mi sederò sulle ginocchia di fronte a lei per mantenere il contatto visivo e una stessa posizione.”

Un musicoterapeuta è uno specchio del paziente. Nella sessione utilizza sempre la musica preferita dalle persone che ha davanti. Non ci sono regole predefinite e una ricetta universale, gli “ingredienti” sono sempre determinati in base alla storia e ai desideri del paziente. 

Ad esempio, più grave è la demenza, meno parole usa il terapeuta. Inoltre, si possono utilizzare diverse tecniche: improvvisazione, rilassamento, disegno con accompagnamento musicale, esercizi musicali, ecc.

Come lavora un musicoterapeuta?

Qualsiasi sessione, e anche il processo di trattamento in generale, inizia con la dichiarazione di intenti: ad esempio, il recupero verbale dopo un ictus. Ma uno degli obiettivi universali e globali della terapia è di far prendere coscienza, di far sentire alla persona che esiste “qui e ora”. Con molte malattie, le funzioni cognitive sono compromesse; per il paziente è persino difficile fare una scelta. La musicoterapia lo riporta alla realtà quando gli viene proposto, ad esempio, di scegliere uno strumento musicale.

Un musicoterapeuta raccoglie una “anamnesi musicale”. Se il paziente è una persona anziana, il terapeuta studia quali canzoni gli erano popolari nella sua giovinezza (16-30 anni, nel picco di attività emotiva).

È possibile che in futuro tale “anamnesi” e dati sulle condizioni del paziente vengano raccolti mediante algoritmi e che un robot sostituirà il musicoterapeuta. Secondo Maria, questo, da un lato, contribuirà alla disponibilità della musicoterapia: i terapeuti 2.0 appariranno sullo smartphone di ognuno di noi. D’altra parte, non bisogna parlare di sostituzione completa dell’uomo: i robot dovranno essere comunque impostati e coordinati.

In che modo la musica etnica agisce sui pazienti

Il musicoterapeuta tiene sempre conto non solo della diagnosi e degli obiettivi del paziente, ma anche del suo background, nazionale ed etnico.

In Asia, hanno persino condotto ricerche su quale musica sia più efficace per la terapia delle generazioni più anziane: la musica della loro giovinezza o la musica, pur se loro sconosciuta, del loro gruppo etnico. Si è scoperto che la musica etnica non è meno efficace. “Ogni persona fa parte di un sistema a suo modo tribale e le melodie etniche sono il nostro ritorno alle radici. In qualche modo ricordiamo ciò che abbiamo sentito nell’utero, ciò che i nostri nonni hanno ascoltato prima di noi”, dice Maria.

Non è un caso che il popolo russo sia considerato musicale: i russi sono cresciuti a suon di ninne nanne, girotondi, canti attorno ai falò e canti alle tavole delle feste. In Russia si è persino sviluppato il concetto di campanoterapia (kolokoloterapija) perché i suoni bassi e rintoccanti della campana hanno un effetto calmante sul sistema nervoso umano. I pazienti in cura campanoterapica sono invitati a suonare su un campanile.

“L’uso della campana nel trattamento è un’opzione per la terapia del suono. Il suono della campana viene ‘registrato’ a livello subconscio e provoca quantomeno emozioni positive”, ha dichiarato il professor Sergej Shushardzhan, presidente dell’Associazione nazionale russa di Musicoterapia.

Esperienze simili esistono in molti Paesi: ad esempio, in India e in Tibet fin dall’antichità sono state utilizzate le campane tibetane.

Chi sono i pazienti?

L’uso consapevole della musica consente di risolvere problemi terapeutici in vari campi. Ma se parliamo di ciò che è già stato studiato, la musicoterapia viene utilizzata con successo durante la gravidanza e il parto, nella prima infanzia, in psichiatria, in difettologia (una scienza diffusa soprattutto in Russia, il cui padre è lo psicologo sovietico Lev Vygotskij), quando si lavora con bambini che presentano ritardo di sviluppo o autismo. La musicoterapia viene spesso utilizzata anche per alleviare le condizioni delle persone in cura oncologica, nonché per coloro che si trovano in situazioni di emergenza.

Parlando di adulti, viene utilizzata per trattare innanzitutto persone con il morbo di Parkinson, demenza, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), affaticamento cronico, soggetti che si riprendono da un ictus e tossicodipendenti.

La musicoterapia, per esempio, ha aiutato Denis a ritrovare la parola dopo un ictus. “Durante le sessioni, usavamo strumenti diversi, ricordo meglio la chitarra, perché prima dell’ictus la suonavo. Posso definirmi una persona dalla natura musicale, quindi non è stato difficile per me prendere anche uno strumento sconosciuto e iniziare a suonare composizioni note. Penso che per chi ha problemi con la parola, insieme alle lezioni con un logopedista, valga la pena usare la musicoterapia. Queste lezioni mi hanno aiutato molto: il mio modo di parlare è diventato più fluido e ricco. E non lo dico solo io, questa è l’opinione di mia moglie, che mi ascolta sempre!”

La musicoterapia può essere efficace anche in psicoterapia. A quanto racconta Maria, parlando di canzoni importanti nella loro vita e attraverso la musica, due pazienti sono riusciti ad affrontare il tema della loro diagnosi e prognosi. Cosa che non si riusciva a fare nel corso di una normale sessione di terapia.

Musicoterapeuta: esiste una professione del genere?

L’influenza positiva della musica era nota anche nell’Antico Egitto, dove si partoriva al ritmo di musica. Dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale, musicisti professionisti e dilettanti hanno visitato gli ospedali per alleviare la sofferenza dei feriti.

Ma anche adesso si discute se esista una tale professione e cosa si debba studiare per dirsi musicoterapeuti. Nel 1985, la World Federation of Music Therapy (Wfmt) è ufficialmente stata fondata durante un congresso che si tenne a Genova.

In Italia c’è una distinzione non sempre chiara a tutti e dappertutto: musicoterapista o musicoterapeuta? Secondo la versione più condivisa, il musicoterapista sarebbe l’esecutore, il tecnico che attua il programma deciso dal musicoterapeuta, che fa la diagnosi e decide la terapia.

In Russia, non esiste ancora un’unica struttura ufficiale che autorizzi la professione di musicoterapeuta. Tuttavia, è possibile ottenere un certificato in vari corsi di formazione continua. L’Istituto statale di cultura di Kazan ha già un indirizzo di musicoterapia, in cui agli studenti viene insegnato il metodo. Tuttavia, nella sanità statale, i musicoterapeuti sono spesso assunti in base alla loro professione principale, ad esempio psicologo clinico o insegnante di musica.

Si ritiene che un musicoterapeuta dovrebbe avere competenze universali: essere in grado di lavorare con una donna incinta e con un paziente in ospedale. Ma in Russia, i terapisti spesso scelgono una specializzazione più ristretta: ad esempio, la maggior parte di loro lavora con bambini con autismo. Anche se, dopo 5-7 anni, la maggior parte dei professionisti inizia a lavorare con pazienti di altre età e con altre diagnosi.


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