Quali armi avrebbe usato l’Unione Sovietica nel caso di una guerra spaziale?

Star Wars Episode IV A New Hope, George Lucas, 1977
Per decenni Usa e Urss si prepararono per una possibile guerra nello spazio. Vennero sviluppati decine e decine di incredibili progetti per stazioni di combattimento e soldati cosmici, anche se quasi nessuno di questi vide mai la luce

Aerei spaziali da combattimento

Quando, alla fine degli anni Cinquanta, gli Stati Uniti lanciarono un programma per creare il Boeing X-20 Dyna-Soar, uno spazioplano (un velivolo, cioè, in grado di volare oltre la linea di Kármán, che individua convenzionalmente il confine tra l'atmosfera terrestre e lo spazio, alla quota di 100 km sul livello del mare), i sovietici pensarono che toccasse anche a loro creare un velivolo militare pensato per possibili guerre nello spazio. E fu così che nacque il progetto Spiral.

Secondo i piani, l’aereo spaziale sarebbe entrato in orbita dopo essere stato lanciato lanciato da una portaerei. Qui, diverse modifiche gli avrebbero permesso di eseguire compiti molto diversi.
Dopo aver raggiunto un’altezza di circa 130 chilometri sul livello del mare, secondo una delle proposte, l’aereo spaziale di ricognizione avrebbe monitorato gli oggetti che incontrava sia in orbita che sulla Terra. Tra i suoi compiti figurava anche il trasferimento delle coordinate degli obiettivi per altri aerei spaziali da bombardamento. Questi, una volta ricevute le informazioni, avrebbero cominciato l’attacco, lanciando missili “spazio-terra” che avrebbero distrutto gli obiettivi sul pianeta. Il loro obiettivo principale, secondo le previsioni, sarebbero state le portaerei. Anche se il missile avesse sbagliato di 200 metri, l’obiettivo sarebbe stato distrutto comunque.
Altre modifiche lo avrebbero reso in grado di intercettare oggetti spaziali. In questa versione da combattimento ravvicinato, l’aereo avrebbe attaccato gli obiettivi in orbita lanciando missili auto-guidati da una distanza di 30 chilometri, mentre l’intercettore a lunga distanza avrebbe colpito le navi spaziali nemiche da una distanza di 350 chilometri. Come alternativa, gli aerei spaziali del progetto Spiral potevano essere trasportati dalla nave spaziale Buran-B, che era riutilizzabile e che era l’analogo sovietico degli shuttle spaziali americani.
Oggi, uno solo dei primi prototipi dell’aereo spaziale, il MiG-105-11, può essere ancora visto al Museo Centrale dell’Aviazione di Monino, nella Regione di Mosca.

Stazioni di combattimento spaziale
Il primo progetto sovietico di stazione spaziale ebbe il nome in codice di “Diamante”, cui seguì quello di “Scythian” e “Cascade”. Dopo essere entrate in orbita, le stazioni di combattimento dovevano svolgere mansioni pacifiche, fino a quando non fossero servite per motivi militari.
Tra i compiti delle delle stazioni spaziali sovietiche era compreso quello di distruggere le astronavi nemiche e i missili balistici intercontinentali, oltre che le principali portaerei e gli obiettivi primari al suolo e in aria.

La differenza principale tra le stazioni sarebbe stata nel tipo di armi che avrebbero adoperato. Se una stazione Cascade avrebbe, in teoria, impiegato missili per colpire obiettivi nelle orbite basse della Terra (a 2000 chilometri sopra l’equatore, o anche meno), una stazione Scythian avrebbe dovuto distruggere, con un’arma al laser, gli obiettivi che si trovavano nell’orbita terrestre media (sopra i 2000 chilometri) e nell’orbita geostazionaria (a 35.786 chilometri).

Inoltre, le stazioni “pacifiche” erano protette con un autocannone sovietico Nudelman-Rikhter NR-23, installato su ognuna di loro, che a sua volta sarebbe stato sostituito da una serie di missili futuristici “spazio-spazio” che però non videro mai la luce.

Combattimenti da satellite
Durante la Guerra Fredda, la distruzione dei satelliti nemici era considerata uno degli elementi più importanti di una eventuale guerra nei cieli. Uno dei modi per colpirli sarebbe stato l’impiego di missili balistici lanciati da installazioni a terra, navi da guerra e aerei. Perciò, gli ingegneri sovietici lavorarono allo sviluppo del sistema di protezione spaziale Narjad e ai missili antisatelliti per velivoli MiG-31, entrambi progetti che rimasero non finiti.

Un’altra soluzione, che ricevette allora la priorità, era di colpire i satelliti utilizzando degli speciali “satelliti da combattimento”, delle piccole macchine che, lanciate in orbita, avrebbero individuato il satellite nemico e lanciato una testata esplosiva a schegge. Questa esplosione avrebbe avuto effetto fino a un chilometro di distanza dall’obiettivo.
A differenza di gran parte di altri progetti di combattimento nello spazio, questo programma ebbe successo e fu completato. Venne messo in servizio nel 1979 e poi abbandonato nel 1993.

Armi per cosmonauti
L’Unione Sovietica non progettò solo velivoli da combattimento, ma anche armi personali per i cosmonauti. Uno degli esempi più famosi consiste nella pistola TP-82, a tre canne. Dal momento che non era consentito utilizzare nello spazio armi da fuoco, la pistola avrebbe aiutato i cosmonauti dopo l’atterraggio, per difendersi da animali feroci (non si sa mai).

Invece, per la guerra nello spazio, gli ingegneri sovietici pensarono a una pistola laser, più sicura per lo scafo di un’astronave. Sarebbe stata un’arma con caricatore, che avrebbe utilizzato una tecnologia lampeggiante e pirotecnica per proiettare un raggio in grado di disabilitare i sensori ottici di una nave spaziale nemica. Avrebbe anche potuto rendere cieco un essere umano a una distanza di 20 metri. L’unico prototipo è in mostra al museo dell’Accademia delle Grandi forze missilistiche strategiche intitolata a Pietro il Grande che si trova nella Regione di Mosca.

Che destino ebbe il celebre shuttle sovietico Buran? Scoprilo qui

Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale

Leggi di più

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie