Il poeta Boris Ryzhy (Foto: Wikipedia)
La storia del poeta Boris Ryzhy è la storia dei destini umani e della fatalità. Della fragilità della vita, dell'amore e della solitudine, propria delle personalità straordinarie e geniali. Di una realtà non facile in una città industriale del Nord della Russia (Ekaterinburg) dove il poeta vive a contatto con la delinquenza locale e con quella che vi si trova costretta a scontare la pena, lavorando nelle miniere. Tali frequentazioni lasciano il segno nella poesia di Ryzhy. L'uso delle parole gergali e la presenza di queste persone sono una costante nella vita e nella poesia di Boris. Inventa così un nuovo linguaggio poetico, contaminato dal gergo della malavita, misto all'espressioni di folclore, dove spesso spezza l'ultima parola alla fine di un verso per fare rima con l'ultima parola del verso precedente. Il tutto con un ritmo puro e lieve. Creando un irripetibile incanto e forte emozione.
I suoi amici sono gli amici di sempre, i ragazzi con cui era cresciuto nei cortili della città, molti dei quali divenuti "i ragazzi della mala". E anche se Boris sapeva bene che da loro non ci si poteva aspettare nulla di buono li amava lo stesso, di un amore fraterno, come dovrebbero amarsi gli esseri umani. Ma l'amore e il cruccio più grande di Boris era la poesia. In un'intervista disse che non c'era bisogno di andare in cerca di chissà quali tragedie nella vita di un poeta, poiché la più grande tragedia della vita di un poeta è la poesia stessa. Durante la sua breve permanenza su questa terra scrisse 1.300 poesie, non tutte ancora pubblicate. La madre di Boris racconta che spesso egli, non essendo soddisfatto di quello che scriveva, gettava i versi nella spazzatura e suo padre, all'insaputa del figlio, recuperava i fogli stropicciati, conservandoli con cura; ne andava fiero, in cuor suo, che il figlio fosse un poeta, mentre Boris pensava che il padre non ammirasse affatto la sua dote poetica. Così non seppe mai di quelle sue poesie "minori", salvate dal padre.
"Boris Ryzhy era il più grande talento poetico della sua generazione" (Evghenij Rejn, famoso critico e poeta russo). Visionario, autentico, intenso, spontaneo. Cantava amore e morte, cantava l'eterno. Le parole gergali, che spesso usava nei suoi versi, le coniugava magicamente con la musicalità e la straordinaria purezza della lingua russa, assurgendo attraverso questa alchimia poetica ai più alti concetti e al mistero stesso della vita con struggente, luminosa e dolente dolcezza. La sua poesia narra di gente semplice, di vita e morte. Racconta la Russia e l'amore dei russi per la propria terra; racconta lo smarrimento, il dolore e lo stupore di essere uomini in una terra splendida, mistica e severa, una terra che i suoi abitanti chiamano la Santa Madre Russia. Boris ci ha lasciati, congedandosi con l'ultimo verso della sua poesia d'addio: "Vi ho amati tutti. E sul serio".
Nel 2001 gli verrà assegnato, postumo, il più prestigioso e ambito premio di poesia russa "Palmira del Nord". Tradotto nelle diverse lingue del mondo, declamato e cantato nei teatri, edito in Russia e all'estero, rimane tra i più grandi poeti russi. Nel 2014, a Chelyabinsk, città dove nacque, gli fu dedicata una targa commemorativa, affissa alla parete della casa natia del poeta. E a noi per sempre rimane la sua poesia. Amata dalla gente essa tocca i cuori dei vivi, perché parla della vita e dei sentimenti, della fragilità e del mistero dell'animo umano. A volte, leggendo i suoi versi, ho la netta impressione che egli venne tra noi già sapendo di dover andarsene presto. Dopo averci dettato i versi d'amore. Dopo averci narrato la fulgida e dolorosa bellezza del sentimento umano più nobile. Boris Ryzhy, 1974 - 2001.
La vita
Boris Ryzhy nasce a Chelyabinsk, in Russia, l'8 settembre del 1974, in una famiglia dell'intellighenzia locale. Inizia a scrivere versi all'età di 14 anni e nello stesso periodo si aggiudica il titolo del campione regionale di boxe. Nel 1992 appaiono le sue prime pubblicazioni su Rossiyskaya Gazeta, il più importante quotidiano nazionale. Dotato di grande talento, fascino e dolcezza, si sposa all'età di 17 anni con la sua compagna di studi, Irina Kniazheva. Nel 1997 si laurea alla facoltà di Geofisica e Geoecologia dell'Accademia mineraria degli Urali. Pubblica diciotto articoli di ricerca scientifica sulla struttura della crosta terrestre e sulla sismicità degli Urali e della Russia. Nel 1999 riceve il Premio letterario Anti - Booker. Vive a Ekaterinburg, lavorando come assistente alla ricerca scientifica all'Istituto di Geofisica e collabora con il giornale "Ural". Nel 2000 la Fondazione Pushkin pubblica una sua raccolta dal titolo "E cose così". Il 7 maggio del 2001 si toglie la vita, impiccandosi sul balcone di casa. Lascia moglie e un figlio.
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