La poetessa italiana Gabriella Sica |
Chi non conosce Aleksandr Pushkin, chi, anche tra i più sprovveduti non abbia mai sentito questo nome? Ebbene, di lui si è detto e si è scritto tanto, e per il giorno del suo compleanno che cade il 6 giugno (stando al calendario gregoriano) anche noi vorremmo spendere due parole in ricordo del fondatore della lingua letteraria russa contemporanea.
Una lingua tutto sommato giovane, come disse Ennio Cavalli durante un’intervista, e a mio avviso, una lingua in continua evoluzione, grazie anche ai giovani poeti russi come Nata Suchkova e Boris Ryzhy.
Per ricordare Pushkin, io e la poetessa italiana Gabriella Sica abbiamo scelto uno dei luoghi più belli di Roma: Villa Borghese. C’incontriamo al caffè del Cinema sotto lo sguardo malinconico di una bellissima fotografia di Marcello Mastroianni. Gabriella ha portato con sé “Le piccole tragedie” di Pushkin. Parliamo di poesia…
“Vi ho amato così teneramente, così dolcemente, come Dio vi conceda di essere amata da un altro…”.
Non è facile tradurre Pushkin: la scintillante effervescenza, la leggerezza soave del suo essere sono pressoché intraducibili. Persino quando dice: “Triste mi sento e leggero, la mia mestizia splende”.
Aleksandr Pushkin nacque a Mosca il 6 giugno 1799. Poeta, scrittore, saggista, drammaturgo, durante la sua breve vita scrisse moltissimo. Morì a San Pietroburgo il 10 febbraio 1837, ferito a morte in duello, dopo una vita avventurosa, spesa tra parola scritta, esilio, amori, feste, balli e matrimonio con la bellissima Natalia Gonciarova, ammiratissima a corte dallo stesso zar. E proprio la bellezza della moglie sarà la causa del fatale duello. A seguito di una lettera anonima che insinuava l’infedeltà della consorte, Pushkin si batterà con il presunto amante di lei: il barone francese George d’Antès…
“Ma sarà vera questa storia dell’infedeltà della moglie?”, mi chiede Gabriella, mentre lungo un viale di lecci che formano un corridoio di arcate, degno del migliore Vignola, c’addentriamo nel parco.
“Verde famiglia, gli alberi si stringono”, scriveva Pushkin e proprio in mezzo agli alberi secolari di Villa Borghese troviamo il sommo poeta russo, seduto su di un piedistallo, con la sua tuba, appoggiata accanto. Di fronte a lui, dall’altra parte della strada, si erge un monumentale Gogol di Zeritelli. Erano amici anche in vita loro due e mentre l’amore di Gogol per Roma è noto a tutti, sotto la statua di Pushkin leggiamo una dedica:
Chi conosce la terra dove il cielo
Risplende d’ineffabile azzurro...?
Italia terra incantata,
Contrada di elevate ispirazioni.
L’aria è mite, il silenzio culla il ricordo, tutt’intorno è un tripudio di foglie, erbe, colori e profumi. Il pensiero di Gabriella va a Landolfi e a Vitale: i traduttori di Pushkin. Inevitabilmente si torna a parlare della moglie del poeta. A Mosca, in via Arbat, Pushkin e Gonciarova sono stati immortalati insieme in una scultura: giovani e belli. Impetuosi. Sono così entrati nella storia: lui per la bellezza sublime dei suoi versi, lei per la sua leggendaria avvenenza.
“Ho eretto un monumento non da mano creato,
Esso si alza con la cima altera più su che la colonna di Alessandro”
Villa Borghese non è solo un luogo di alberi, fontane e musei, ma è anche un luogo di statue. Poeti, scrittori, patrioti. Dopo il calar del sole, quando sul parco scende la notte, immaginiamo le statue dei grandi uomini animarsi, prendere vita…
Voi alberi e statue che a passi felpati
vi muovete a Villa Borghese
voi vivi sul punto di impietrirvi
voi morti che riprendete vita
apparizioni amichevoli di notte
nel bel festino di pietre e foglie
scambi trasformazioni e presagi,
il mio soprassalto davanti a Pushkin
tra le ali carezzevoli dei tigli
e i pini infiniti verso l’azzurro
(tu sai che cosa è la gloria
e come può la passione finire),
voi statue e alberi nel sempreverde
insieme tacete a Villa Borghese
Così Gabriella Sica della notte delle statue a Villa Borghese e, tornando al poeta, fa una considerazione: “C’era forse in Pushkin il sentimento tragico, tipicamente greco, della statua come fantasma mobile e come idea in movimento…”.
Noncuranti della nostra presenza, due giovani si avvicinano al monumento. Lui le scatta una foto. Chiedo loro se conoscono Pushkin. Lei sorride e dice: “Oh Pushkin, Tolstoj, Dostoevskij!”. Ci spieghiamo a gesti. Sono turchi e non capiscono il nostro inglese e noi non comprendiamo il loro! Ma “Pushkin, Tolstoj, Dostoevskij” è più che sufficiente per capirci. Come disse il poeta: “Io avrò gloria finché sotto la luna anche un solo poeta rimarrà”.
Ma, come dicevano gli antichi, tempus fugit, e per noi giunge l’ora di andare. Lasciamo il poeta in mezzo alla quiete degli alberi di Villa Borghese, pensandolo nella pace di Boldino… “Ciò che passa, sarà amato…”, scriveva Pushkin. E mi piace salutarvi con un altro verso del grande poeta russo: “Solo io, cantore del mistero dall’onda alla riva sbattuto, io gli inni di una volta canto…”.
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