Il Presidente russo Vladimir Putin (in questa foto ad Ankara, in Turchia, nel dicembre 2014) ha firmato un decreto con il quale impone forti sanzioni economiche nei confronti della Turchia.
ReutersLa Conferenza internazionale sul clima dell’Onu, che si è aperta a Parigi il 30 novembre, è stata fitta di dichiarazioni politiche che esulano dall’agenda del summit. Una delle questioni più intriganti del vertice è stato capire se il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e del suo collega turco Recep Tayyip Erdogan si sarebbero incontrati per discutere dell’incidente del jet russo abbattuto in prossimità del confine siriano-turco. Malgrado i numerosi colloqui bilaterali sostenuti dal Presidente russo (Putin ha incontrato i Presidenti degli Stati Uniti e della Repubblica popolare cinese, la cancelliera tedesca, il leader coreano e il premier israeliano), l’incontro con Erdogan non ha avuto luogo. “Non ci siamo incontrati” ha confermato Vladimir Putin, precisando poi che la Russia è in possesso di dati più dettagliati sull’incidente del caccia russo Su-24, e che la difesa dei turkmeni siriani non è che un pretesto.
“Vi sono tutti i presupposti per ritenere che la decisione di abbattere il nostro jet sia stata dettata dalla necessità di difendere queste vie di transito del petrolio in Turchia” ha dichiarato Putin nel corso di una conferenza stampa sugli esiti del summit. A suo avviso, Ankara non avrebbe reagito alla preoccupazione di Mosca riguardo la libera circolazione dei terroristi grazie al regime senza visti in vigore tra la Federazione Russa e la Turchia: “Stiamo chiedendo da tempo di allertare l’attenzione sui rappresentanti di organizzazioni terroristiche che hanno combattuto e cercano di combatterci con i fucili in mano in alcune regioni della Russia […] che “sconfinano” nel territorio della Turchia”.
Erdogan non ha esitato a rispondere e quella sera stessa ha promesso che si sarebbe dimesso se fossero state dimostrate le accuse riguardo l’acquisto del petrolio dai combattenti dello Stato islamico da parte della Turchia.
Finché non cambierà il regime
Ripristinare il livello di cooperazione che esisteva prima dell’incidente del Su-24 tra la Turchia e la Russia e che era stato costruito con “non pochi sforzi” dall’inizio degli anni Duemila, sarà un’ardua impresa”, spiega a Rbth Leonid Isaev, titolare della cattedra di Politologia dell’Alta Scuola di Economia di Mosca, arabista ed esperto di monitoraggio e gestione dei conflitti. “L’aspra dichiarazione di Putin che ha provocato reazioni alquanto dure da parte dei turchi, con gli anni potrebbe distruggere i ponti che si erano riusciti a creare”, ritiene l’esperto. E oggi le relazioni russo-turche potrebbero azzerarsi. Certo, questo clima di scontro in ultima analisi non sarà vantaggioso né per la Russia, né per la Turchia, né per la Nato, di cui la Turchia è membro, ma al di là della retorica risuonata dietro le quinte del summit sul clima, ora c’è bisogno “come minimo di un cambio di regime”: dichiarazioni del genere vengono recepite come attacchi personali in entrambi i Paesi.
Vladimir Avatkov, turcologo e direttore del Centro di Studi orientali e diplomazia pubblica concorda sul fatto che solo un cambio di regime potrebbe costituire una via d’uscita dalla crisi. La verità e che non conviene identificare il regime turco con il popolo turco, avverte l’esperto. “Sì, il regime turco simpatizzava per i terroristi quando ha abbattuto il nostro caccia, ma noi dobbiamo guardare avanti”. È poco probabile che ci si possa dimenticare della Turchia come partner per il futuro.
L’intervento della Nato
La rottura delle relazioni tra Russia e Turchia avrà delle ripercussioni sul processo di cooperazione tra gli attori presenti in territorio siriano? A tale interrogativo ha risposto efficacemente lo stesso Putin a Parigi, rileva Viktor Nadein-Raevsky, direttore dell’Istituto di Economia mondiale e relazioni internazionali dell’Accademia delle Scienze russa: “Come si fa a parlare di un’ampia coalizione quando ti pugnalano alle spalle?”. Ciò nonostante, la Russia ha interesse a lottare contro l’Is e non rifiuta di cooperare coi francesi.
Perdipiù su questo sfondo è poco probabile che si debba prefigurare un peggioramento nella lotta contro il terrorismo in Siria. In realtà la situazione sarebbe solo migliorata, a detta di Nadein-Raevsky. La comparsa in Siria dei complessi antimissile S-400 ha cambiato lo scenario: il raggio d’azione dei sistemi radar copre praticamente tutti i segmenti del fronte, gli aerei turchi preferiscono non penetrare nell’area d’azione dei rilevatori e hanno paura di bombardare le aree dove sono dislocate le forze di difesa popolare dei curdi siriani. “I turchi li hanno praticamente bombardati ogni giorno, ma questi reparti sono di fatto gli unici a combattere contro gli islamisti nel loro territorio”, sostiene Nadein-Raevsky.
Inoltre, a suo avviso, se le azioni della Turchia dovessero ostacolare seriamente in Siria la lotta coordinata dei Paesi partner contro lo Stato islamico, la Nato, probabilmente, cercherà di escludere Ankara da tale processo. “In Siria la situazione è già tesa e se si intensificherà il conflitto sul versante russo-turco a guadagnarci sarà solo lo Stato islamico. L’alleanza, anche se sosterrà la parte turca, come ha dimostrato di fare nel caso del jet russo abbattuto, farà tutto il possibile perché non si inasprisca il clima di scontro”, afferma Isaev.
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