Il gioco è una via di mezzo tra il poker e il preferans (versione russa del préférence di origine austriaca): i giocatori, che non sanno fino alla fine chi sono i mafiosi tra di loro, devono “tenere la faccia” e calcolare allo stesso tempo le loro mosse. Lo scenario iniziale del gioco è il seguente: i cittadini dichiarano guerra alla mafia, e la mafia risponde con una vendetta. In altre parole, una minoranza informata si oppone a una maggioranza non organizzata.
All’inizio, il narratore (o moderatore) distribuisce a tutti delle carte: in questo modo i giocatori scoprono a quale gruppo appartengono, ma non lo dicono a nessuno. Il tempo di gioco è diviso in due parti. La “notte”, quando i “mafiosi” si conoscono in silenzio e si accordano a gesti sulle azioni successive: gli “omicidi”. E il “giorno”: in questa fase gli “onesti cittadini della città” cercano di capire nelle discussioni chi è “mafioso” e votando scelgono il più sospetto, che lascerà il gioco. Si continua così fino a quando una delle due parti non distrugge l’altra: o uccidendo la “mafia” o eliminando tutti i “civili”.
Sull’onda della popolarità dei film sulla mafia (proprio in quel periodo in Russia era di gran moda “La piovra” con il commissario Cattani protagonista, che combatteva con la mafia siciliana) l’invenzione del 1986 dello studente Dmitrij Davydov divenne un vero successo. Il suo fascino particolare era dato dalla “parentela” con “Il Padrino”. Le parole di Don Vito Corleone potrebbero essere usate come motto: “Mai dire a una persona estranea alla famiglia quello che hai nella testa”.
In pochi anni, l’idea di Davydov faceva già notizia in Europa e negli Stati Uniti: gli ex studenti che lasciavano la Russia per l’estero insegnavano il gioco ai loro colleghi nei nuovi Paesi. E lì i nuovi adepti locali trasmettevano le loro conoscenze ai nuovi arrivati. Lo stesso inventore ha raccontato che già nel 1991 negli Stati Uniti si incontravano persone che giocavano a “Mafia” e che ne erano state informate da persone sconosciute.
Una dopo l’altra, cominciarono a comparire nuove varietà del gioco. Per esempio, nello “sport” si gioca rigorosamente in dieci, i mafiosi si accordano solo una volta a partita su chi saranno le loro vittime, e lo status del giocatore non viene rivelato, nemmeno se viene “ucciso”.
Nella versione “urbana” si può avere un numero qualsiasi di partecipanti, e chi viene eliminato dal gioco deve dichiarare il proprio status.
Si può giocare con bende o maschere, con colori nazionali o fiabeschi (con elfi, ghoul o lupi mannari), con personaggi aggiuntivi: le varianti sono molte.
A un certo punto il gioco era ovunque: nei club tematici e su computer, nei giochi da tavolo e online. Sono persino apparse federazioni e campionati di “Mafia”.
E si è anche scoperto che “Mafia” può essere un ottimo simulatore per chi svolge professioni in cui è necessario tenere traccia dei dettagli e calcolare la strategia. Ad esempio, per le forze dell’ordine o per i futuri magistrati. Alla fine degli anni Novanta, la Scuola Superiore di Kaliningrad del Ministero degli Affari Interni ha sviluppato un manuale per gli studenti di un corso di psicodiagnostica visiva per migliorare le loro capacità di lettura del linguaggio del corpo basato su “Mafia” e su un gioco simile chiamato “Killer”.
L’invenzione di Davydov si è rivelata utile anche per gli uomini d’affari, che hanno iniziato a utilizzarla come simulatore per negoziare con successo e lavorare in situazioni di stress.
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