Quando si conobbero nel villaggio di dacie di Nikólina Gorá, non distante da Mosca, nei primi anni Sessanta, Nina Sviridova (1933-2008) già da quattro anni aveva fatto della fotografia la sua professione. Ma dopo che si furono innamorati al primo sguardo, lei insegnò all’uomo con cui avrebbe poi condiviso quarant’anni di vita, Dmitrij Vozdvizhenskij (1942-2005), i rudimenti del mestiere (lui aveva una formazione tecnica nel campo petrolifero), e da lì in poi firmarono sempre a doppio nome le loro foto, pluripremiate e pubblicate sulle principali riviste.
Nina ha detto che amavano più di tutto l’un l’altro e la fotografia. E che era davvero irreale dividere le foto per autore: “Avevamo due macchine fotografiche che ci scambiavamo continuamente. Guardando i negativi discutevamo spesso su chi avesse scattato cosa. Era impossibile riconoscere la mano. Il nostro sguardo era identico”.
Dai primi anni Sessanta alla metà degli anni Duemila hanno lavorato su un tema comune: tutte le manifestazioni della gioia umana; la felicità, espressa in volti e movimenti. E, ovviamente, l’amore ha giocato un ruolo di primo piano nella loro opera.
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