Marco, da Milano a San Pietroburgo: "Ecco come ho aperto il mio ristorante in Russia"

Marco Tagliaferri

Marco Tagliaferri

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Dopo innumerevoli difficoltà, Marco Tagliaferri è riuscito a realizzare il suo sogno. E ora il suo locale “Il Milanese” è stato inserito nella lista dei ristoranti italiani all’estero da provare secondo il Gambero Rosso. Oggi ci racconta la sua esperienza

Camminando lungo il viale che collega uno dei ponti mobili di San Pietroburgo, il Litejnyj (il ponte della Fonderia) alla prospettiva Nevskij, a pochi isolati di distanza dal fiume Neva si incrocia un localino elegante, con le pareti in mattoni faccia vista e le bottiglie di vino esposte. L’insegna sopra l’ingresso non lascia spazio a dubbi: Il Milanese, recita. Milanese come il suo proprietario, Marco Tagliaferri, 49 anni, volato in Russia in una fredda giornata di novembre di cinque anni fa, con il sogno di portare i sapori della cucina italiana nella città di Pietro il Grande. 

Marco Tagliaferri

Marco, cosa ti ha portato in Russia?

L’amore per mia moglie! Lei è di Leningrado, oggi San Pietroburgo. Ci siamo sposati nel 2013 e dopo due anni di “ping pong” mi sono stancato e ho deciso di trasferirmi. Sono arrivato nel novembre 2015. Avevo già fatto varie esperienze lavorative all’estero e ormai da tempo non ero più soddisfatto della vita in Italia.

È stato difficile adattarsi a questo paese? Cosa ti piace e cosa non ti piace della Russia?

La Russia è un paese enorme e molte città le ho visitate solo come turista, perciò non mi permetto di esprimere giudizi: non le conosco abbastanza. Preferisco parlare di San Pietroburgo. Non mi sono ancora adattato del tutto a questa città, o meglio, ai suoi abitanti: hanno una mentalità un po’ strana... E devo ammettere che dopo la pandemia ho iniziato a notare una maggior arroganza e presunzione. Pensa che ci sono clienti che vanno a dire al nostro chef, un grande cuoco di Catania con molta esperienza, che la carbonara va fatta con la panna e l’uovo intero sopra gli spaghetti! O che il cannolo siciliano deve essere molle… Per non parlare degli aspiranti chef che mettono gli spaghetti a cucinare nell’acqua fredda! Il lockdown è durato ufficialmente meno di tre mesi, ma molta gente sembra essere andata via di testa... Ci vuole pazienza, la Russia non è sempre un paese facile. Ma per fortuna le persone che incontro non sono tutte così!

Ad ogni modo, adoro la città in cui vivo: è magica! Adoro como si curano le donne, la loro intraprendenza, l’arte che si respira qui... 

Se dovessi paragonare la città di San Pietroburgo a un animale, che animale sarebbe?

Sicuramente un orso! San Pietroburgo, così come la Russia, è un gigante buono e affascinante... ma se si arrabbia svela tutta la sua potenza e maestosità. 

Parliamo del tuo lavoro: è stato difficile aprire un ristorante in Russia? Quali sfide hai dovuto affrontare?

Sì, è stato difficile, in primis per la lingua e la burocrazia. Ho incontrato parecchie persone che hanno cercato di fregarmi... Al momento della verifica dei documenti sembrava che stesse andando tutto bene, invece mi sono ritrovato con delle multe dovute ai vecchi proprietari del locale. Tante cose qui vengono fatte in nero, o si possono fare solo “pagando” qualcuno… 

Alla fine, siamo riusciti a inaugurare il locale nel gennaio 2017, grazie anche all’aiuto di mia moglie. E l’anno scorso siamo entrati nella lista dei migliori ristoranti italiani all’estero secondo il Gambero Rosso: questo per noi è stato un grande motivo di orgoglio, che ci ha ripagato dei tanti sforzi e delle difficoltà!

Marco Tagliaferri (a sinistra) con lo chef Marco Pennisi

Le sanzioni occidentali imposte alla Russia hanno eliminato dalle tavole molti prodotti italiani che prima venivano importati (formaggi, prosciutti…). Come hai risolto l’assenza di prodotti importati dall’Italia per il tuo ristorante?

Sì, le sanzioni hanno creato grossi problemi, ma i russi sono riusciti ad acquistare la tecnologia e ad ingaggiare bravi casari - pagati a peso d’oro -, e adesso producono qui i formaggi freschi... e sono davvero buoni! Inoltre molte aziende italiane hanno trovato il modo di far arrivare alcuni cibi dalla Svizzera e San Marino… Curiosamente poi, qui non può arrivare il prodotto intero o semilavorato, ma alcune cose come lo speck si trovano. Quindi basta solo cercare… ed essere disposti a pagare un po’ più di prima. In generale, l’80% dei prodotti che usiamo nel nostro ristorante proviene dall’Italia, il 10% è realizzato qui con tecnologia italiana e il resto è locale.

Com'è lavorare con i clienti russi? Come percepiscono la cucina italiana? 

Non è sempre semplice: spesso arrivano con la convinzione di sapere tutto, ma il più delle volte conoscono solo le cose più popolari, come la carbonara o il pesto alla genovese. È difficile farli uscire dai loro schemi: ordinano solo quello che già conoscono e per far provare loro cose nuove bisogna insistere.

Qual è la richiesta più bizzarra che ti sei sentito rivolgere da un cliente? 

Una volta un cliente ha chiesto delle polpette russe con purè di patate, ragù di verdure e patè di fegato… Ovviamente non avevo questi piatti pronti, ma lui è andato a comprare l’occorrente e ha pagato il servizio affinché glieli cucinassi!

Come hai affrontato l’emergenza Covid? Quanto ha pesato la pandemia sul tuo lavoro?

Per fortuna c’è stato un minimo di aiuto economico da parte del governo. Noi ce la siamo cavata anche grazie al take-away e alle consegne a domicilio. Molti locali hanno lavorato “segretamente” solo su prenotazione, e alla fine la chiusura ufficiale non è durata più di tre mesi, perciò il settore non è crollato come in Italia. 

Adesso siamo aperti normalmente, con obbligo di mascherina e distanziamento.

C’è qualche lezione che hai appreso dal vivere in Russia?

Sono sempre stato un tipo impaziente... e la vita qui ti porta a sviluppare una pazienza fuori dal comune! Qui si vive alla giornata, mentre io sono un milanese che guarda al futuro. Insomma, approcci alla vita diversi, ma che a volte trovano un punto d’incontro.  

Parliamo di stereotipi: quali sono quelli che ti infastidiscono di più?

Innanzitutto bisogna dire che i russi amano in tutto e per tutto l’Italia. Ma ci chiamano “mafiosi”, mentre noi siamo convinti che loro non ridano mai… Ovviamente non è vero.  

Marco Tagliaferri con il direttore d'orchestra Fabio Mastrangelo

Ora le frontiere russe sono chiuse. Che effetto ti fa?

Fortunatamente a livello economico le cose vanno bene: la gente ha voglia di svagarsi, esce di più e va al ristorante. Però è triste non poter viaggiare, ed è molto difficile sapere di non poter andare a trovare i propri cari in Italia… Le videochiamate accorciano un po’ le distanze, ma la nostalgia c’è sempre. 

Parli russo? Come hai affrontato la barriera linguistica?

Il russo è difficile! La grammatica, gli accenti… Credo che sia più facile per un russo imparare l’italiano che viceversa. Quando sono arrivato non conoscevo nemmeno una parola. Ho seguito un corso per tre mesi, dopodiché ho deciso di affrontare la lingua di petto e ho iniziato a uscire, a cercare di fare le cose da solo. Inoltre, da quando ho aperto il ristorante, lo staff parla solo russo, quindi ho imparato a farmi capire.

Marco Tagliaferri (a destra) con Roberto Mancini, commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio, al tempo della foto allenatore dello Zenit

Cosa diresti a una persona che sogna di trasferirsi in Russia?

Gli racconterei che la Russia è un paese affascinante, che i russi stessi sono molto affascinanti! Sono un po’ come i nostri friulani: un po’ chiusi all’inizio, ma poi si rivelano grandi amiconi. Se una persona sogna di trasferirsi qui lo può fare, ma è indispensabile conoscere un minimo di russo e avere le idee chiare su cosa si viene a fare: servono documenti, mezzi economici e la conoscenza della lingua. 

 

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