La dura vita delle prime gemelle siamesi dell’Urss

Legion Media
Le sorelle Krivoshljapov, Dasha e Masha, hanno vissuto a lungo, ma è toccato loro un destino ingrato, essendo state trasformate, da piccole, in cavie da laboratorio, per crudeli esperimenti scientifici

Era circa mezzanotte, un giorno d’aprile del 2003, quando il cuore di Masha si fermò. Gli ultimi quattordici anni, lei e sua sorella li avevano vissuti in una stanza della Residenza per anziani №6 di Mosca. Quando Dasha si svegliò, la mattina dopo, pensava che sua sorella fosse “profondamente addormentata”. Chiamò il personale sanitario per chiedere aiuto: si sentiva male. Era tormentata da una strana debolezza e dal mal di testa. “Per favore, non lasciateci sole. abbiamo molta paura”, disse Dasha ai medici.

In realtà, una delle sorelle Krivoshljapov aveva avuto un attacco cardiaco. Non stava dormendo profondamente; era morta. I medici lo capirono subito. “Tutti intorno a noi ci hanno sempre mentito”, avevano detto un sacco di volte le due sorelle. E anche questa volta i medici mentirono: a Dasha non fu mai detto cosa fosse successo alla sua “metà”. Le sue condizioni peggiorarono rapidamente. Morì anche lei 17 ore dopo, nel sonno, per intossicazione. Lei e Masha avevano 53 anni.

A quel punto, tutti nella nuova Russia si erano già dimenticati delle sorelle Krivoshljapov. Eppure in Unione Sovietica la loro storia aveva fatto molto scalpore: erano le prime gemelle siamesi nate e sopravvissute in Urss! Le bambine erano nate con due teste, quattro braccia e tre gambe (la terza era perpendicolare alla schiena e aveva due piedi uniti con nove dita). Ciascuna delle sorelle aveva i propri polmoni, cuore, stomaco, reni e intestino tenue. Ma avevano in comune l’intestino crasso e la vescica.

Erano convinte che se non fossero nate in Unione Sovietica a metà del XX secolo, tutto sarebbe stato diverso. Ma toccò loro venire al mondo in un momento sfavorevole: le sorelle divennero “soggetti sperimentali” fin dai primi giorni della loro vita.

Un parto difficile

Erano i primi giorni del 1950 e si trasformarono in un vero inferno per una sarta sovietica, Ekaterina Krivoshljapova: il suo parto andò avanti per due giorni e due notti e alla fine si rese necessario il taglio cesareo. La prima macchina ad ultrasuoni per l’ecografia sarebbe apparsa in Unione Sovietica solo otto anni dopo la nascita di Masha e Dasha, quindi non si sapeva nulla della patologia delle ragazze fino all’ultimo momento. “Gemelle!”, fece in tempo a gridare la giovane ostetrica, e svenne.

Visto che mamma Ekaterina era in uno stato di semi coscienza, decisero di nasconderle le bambine. E quando si svegliò le dissero che purtroppo le gemelline erano morte al momento del parto. Questa decisione venne presa assieme al padre, Mikhail Krivoshljapov, che durante il parto era in ospedale. A quel tempo, l’uomo lavorava come autista personale di Lavrentij Berija, lo spietato braccio destro di Stalin. Lo stesso giorno venne redatto il certificato di morte delle gemelle.

Ekaterina si alzò dal letto d’ospedale solo due settimane dopo, ma non credeva alla morte delle bambine. “Ho sentito il loro pianto!”, insisteva, e le cercava. Mossa a pietà, un’infermiera tirocinante la condusse nella stanza dell’incubatrice dove si trovavano le bimbe. Ekaterina rimase talmente scioccata che iniziò ad avere problemi mentali seri e passò i due anni successivi chiusa in una clinica psichiatrica.

Masha e Dasha vennero mantenute dallo Stato e trascorsero i primi sette anni della loro vita tra le mura dell’Istituto di Pediatria dell’Accademia delle scienze mediche dell’Urss, sotto la supervisione del famoso fisiologo Pjotr Anokhin (1898-1974), dove venne studiata questa rara forma di gemelli siamesi, detti “Ischiopagi” (uniti a livello del bacino).

Esperimenti crudeli

Come risulterà chiaro in seguito, le ragazze erano inestricabilmente legate tra loro sia a livello fisico che sensoriale. Facevano gli stessi sogni; se una beveva alcol, l’altra si ubriacava; se una mangiava, anche l’altra si sentiva sazia; e quando a una curarono un dente, l’altra, quando l’effetto dell’anestesia passò, sentì dolore e nausea. Quando una dava inizio a un discorso, poi, l’altra poteva continuare il pensiero. A quell’epoca, all’Istituto di Pediatria i fisiologi stavano solo cercando di identificare i confini della loro sensibilità reciproca, con esperimenti rigorosi.

Gli scienziati volevano capire il ruolo dei loro sistemi nervoso e circolatorio divisi, così come la loro capacità di adattarsi a condizioni estreme come privazione del sonno, sbalzi di temperatura improvvisi o fame. A tre anni furono tenute a lungo al freddo estremo. Una delle bimbe si ammalò di polmonite, la temperatura corporea raggiunse i quaranta gradi. Mentre l’altra non ebbe niente. Juliet Butler, giornalista britannica e biografa di Masha, ha parlato con le gemelle per 15 anni mentre viveva in Russia con il marito, e ha raccontato: “Sono state iniettate loro varie sostanze, tra cui lo iodio radioattivo, per vedere quanto velocemente una sostanza iniettata a una arrivava all’altra sorella. Poi misuravano l’effetto con i contatori Geiger”.

“Erano i tempi di Stalin”. Così, di solito, si spiega la disumanità della ricerca scientifica. Con l’arrivo di Nikita Khrushchev e del Disgelo le cose cambiarono, sulla stampa iniziarono a uscire articoli molto empatici nei confronti delle prime gemelle siamesi sovietiche, e fu posta fine agli esperimenti su di loro. Dopo la morte del professor Anokhin, gli scienziati americani volevano “acquistare” le gemelle, e offrirono di dare alle ragazze istruzione, riabilitazione e, successivamente, lavoro. Ma i medici sovietici rifiutarono, nonostante il fatto che all’età di sette anni le sorelle non potessero camminare e avessero anche difficoltà a stare sedute.

“Abbiamo iniziato a bere a 12 anni”

Con la fine della fase scientifica della ricerca, l’interesse per le gemelle Krivoshljapov iniziò a svanire. Grazie agli scienziati, furono brevemente assegnate alle cure dell’Istituto centrale di ricerca scientifica di traumatologia e ortopedia. Lì fu loro amputata la terza gamba, “in modo che non attirasse così tanta attenzione”, e ricevettero l’istruzione primaria.

L’atteggiamento delle gemelle nei confronti dell’amputazione era negativo: “Dopo che ci fu tolta la gamba, impiegammo molto tempo a riprenderci. È come quando una persona normale perde una gamba. Soprattutto avevamo paura che tutti avrebbero riso di noi. Siamo molto timide, e tutto è fortemente complicato dal nostro aspetto. E quando siamo rimaste senza la gamba, abbiamo avuto paura di mostrarci alla gente per circa sei mesi”.

Ma il momento in cui hanno imparato a camminare con le stampelle (ciascuna delle sorelle poteva controllare solo una gamba) le Krivoshljapov lo definirono “il più felice della nostra vita”.

“È stata la prova più spaventosa della vita”, diranno subito dopo, all’età di 12 anni, quando andranno in un altro posto: il collegio di Novocherkassk per bambini con malattie muscolo-scheletriche.

“Fu lì che, per la prima volta nella nostra vita, ci colse il pensiero del suicidio. Per qualche ragione, ai ragazzi stavamo antipatiche. Iniziarono frequenti litigi con varie ragazze. Masha faceva a botte costantemente. Mentre eravamo a scuola, abbiamo dovuto sopportare costantemente umiliazioni e insulti. Ad esempio, in cambio di una bottiglia di vodka, i ragazzi della classe ci hanno mostrate ai bambini del villaggio locale. Spesso i compagni di classe ci versavano acqua nel letto, noi stendevamo la tela cerata e rimanevamo in silenzio, e questo li faceva arrabbiare… In collegio abbiamo cominciato a balbettare fortemente. La dirigente scolastica un po’ ci sosteneva, ma era comunque molto difficile. Riuscite a immaginare quando nessuno vi parla?”, raccontarono. In quel momento, all’età di dodici anni, iniziarono ad alzare il gomito.

Conosciute e infelici

I problemi con l’alcol peggiorarono con il tempo. Solo Dasha però aveva il problema dell’alcolismo, mentre Masha fumava molto. Entrambe non accettavano le cattive abitudini dell’altra e, con sorpresa di molti, erano persone radicalmente diverse quanto a psicologia. “Siamo assolutamente due persone diverse, intrappolate in un unico corpo”, dissero.

Dasha era più concentrata, calma e responsabile. Masha si distingueva per la scarsa attenzione e i frequenti sbalzi d’umore. Era disobbediente e fisicamente più forte (quando le sorelle si muovevano, era lei che portava quasi tutto il peso del loro corpo comune). Se a scuola Dasha fino al nono anno prendeva solo “cinque” e “quattro” (i voti più alti, nel sistema sovietico e russo, ndr), Masha riusciva a malapena a passare dal “due” al “tre” e tutto il tempo copiava da sua sorella. “Gli insegnanti non potevano certo farci sedere in due banchi lontani”, hanno scherzato.

Fino all’età adulta, le sorelle si sono spesso scontrate. Non erano nemmeno d’accordo sulla questione di trovare chi fosse la loro madre e andare a conoscerla. Masha era contraria. Alla fine, però, la rintracciarono, e trovarono anche due loro fratelli. “Invece di un gioioso abbraccio, siamo state accolte dallo sguardo torvo di una donna completamente estranea. Fin da quando siamo entrate in casa, ce ne ha dette di tutte i colori, chiedendoci dove fossimo prima, e perché non l’avessimo cercata subito”, ricordò Masha. Quanto ai fratelli, perfettamente sani, negarono completamente di essere parenti con le gemelle. Il padre era già morto a quel tempo. Era scomparso nel 1980 per un cancro al cervello.

Nel 1989 le gemelle si trasferirono a Mosca, dove venne loro assegnata una stanza in una casa di cura. Ma neanche a quel punto trovarono pace. Negli anni Novanta, i giornalisti occidentali si interessarono alle Krivoshljapov (le gemelle quasi sempre si rifiutavano di comunicare con quelli russi). Nel 1993, le sorelle furono portate in Germania, dove venne girato un film su di loro, e poi visitarono Parigi. L’autobiografia di Masha, curata da Juliet Butler, portò loro alla fine un grosso compenso, circa 10 mila sterline, con cui le gemelli si comprarono all’estero, prima di tornare in Russia, cibo vario, un computer, e sigarette. Quanto rimase fu messo in contanti nella cassaforte che era nella stanza (e scomparve subito dopo la loro morte). 

“Nel dicembre 1997, ho appreso delle gravi condizioni di Masha e Dasha”, ha raccontato Sergej Fedorchenko, primario del Centro di Narcologia di Perm. “Bevevano in modo terribile. Tutti i tentativi di sbarazzarsi della dipendenza dall’alcol non avevano successo”.

Alle gemelle fu diagnosticata la cirrosi epatica e un edema polmonare, dopo di che si unirono agli Alcolisti Anonimi. Tuttavia, gli effetti positivi della terapia non durarono molto.

In occasione del loro cinquantesimo compleanno, dissero: “Beviamo perché capiamo quanto siamo mostruose. Nella vita, abbiamo dovuto ottenere tutto da sole, attraverso lacrime e preghiere. Anche se a ogni angolo ci gridavano: ‘Siete uniche! Avete diritto a tutto! Utilizzate le vostre chance!’… Ma cosa utilizzare, la mostruosità? Abbiamo vissuto fino a 50 anni solo grazie al fatto che abbiamo un carattere forte”.


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