“Ok, mancano ancora diversi giorni alla consegna del pezzo. Ho abbastanza tempo per farlo bene e senza fretta”. Questo è quello che la mia mente mi ha suggerito mentre stavo iniziando a lavorare a questo articolo. Tutto ciò che ho fatto effettivamente è stato poi solo pensare e leggere qualcosa sull’argomento, ma soltanto alla vigilia della deadline ho effettivamente iniziato a scrivere.
Vi suona familiare? L’abitudine di fare tutto all’ultimo momento, quando il tempo ormai stringe, cioè la procrastinazione, è qualcosa che attraversa i confini, ma noi russi lo consideriamo uno dei nostri tratti nazionali.
Certo, è una semplificazione eccessiva, e potrebbe non essere vero per ogni persona del Paese, ma termini come “pigrizia”, “mancanza di disciplina” e “procrastinazione” vengono regolarmente fuori nelle discussioni sulla mentalità russa. E anche se questi non sono sinonimi, sono strettamente correlati.
Ad esempio, date un’occhiata ai nostri articoli “I sette pilastri culturali alla base della russità”, o “Invito all’ozio: la pigrizia nella cultura russa”.
Le persone raramente cercano di scavare più a fondo e scoprire cosa c’è dietro a questi tratti psicologici. E se vi dicessimo che, in questo caso, c’è una spiegazione?
Come suggeriscono gli esperti, la peculiare mentalità russa si è formata sotto l’influenza di condizioni uniche. Secondo Leonid Milov (1929-2007), storico russo e sovietico, i contadini della parte europea della Russia per secoli hanno dovuto adattarsi ai lunghi inverni e alle brevi estati, con un tempo molto limitato a disposizione per il lavoro agricolo, il che ha svolto un ruolo cruciale nella formazione delle abitudini loavorative russe.
“La stagione lavorativa durava da metà aprile a metà settembre (da metà maggio a metà ottobre, secondo il nuovo calendario)… In Europa occidentale, invece, i contadini lavoravano praticamente tutto l’anno, tranne a dicembre e a gennaio. Questa differenza negli sforzi di produzione ha avuto un profondo effetto sullo sviluppo economico, politico e culturale dell’Europa occidentale e orientale”, scrive.
Questa situazione già sfavorevole per natura, scrive poi Milov, è stata esacerbata dalla mancanza di correlazione tra la quantità di lavoro investito dai contadini e le dimensioni del raccolto finale. Per quanto duro avessero lavorato, il meteo imprevedibile di questa parte del globo poteva improvvisamente rovinare tutti i loro sforzi.
“I contadini russi per secoli sono stati ostaggio della natura, che li metteva con le spalle al muro. Un contadino non poteva espandere il suo campo di semina, scegliere un’alternativa o aumentare la produttività della terra, investendo sia lavoro che capitale”.
Da un lato, come dice Milov, “questo ha insegnato ai contadini russi a lavorare sodo. Ma, dall’altro, li ha resi più scettici nei confronti dei propri sforzi e più fatalisti, portandoli a credere che tutto risieda nella volontà di Dio e nell’avos”.
Uno degli storici più noti della tarda Russia imperiale, Vasilij Kljuchevskij (1841-1911), aveva una visione simile. “C’è una cosa di cui un russo è certo: bisogna apprezzare e sfruttare ogni momento di una luminosa giornata di lavoro estiva, che raramente viene offerta dalla natura per l’agricoltura: nella breve estate russa può spesso trasformarsi in inaspettato maltempo”, scrisse.
In questo modo, la natura stessa ha insegnato ai russi a lavorare sodo in breve tempo. Quindi, attraverso le generazioni, si sono abituati a lavorare in questo modo, sotto pressione, e poi ad “andare in letargo” per un po’, fino alla stagione successiva, con un lungo tempo che era tradizionalmente usato per lavori molto meno pesanti, di solito artigianali.
“Non c’è nessun altro in Europa che sia in grado di lavorare così duramente in un tempo così concentrato e limitato. Ma non c’è nemmeno nessun altro popolo in Europa che sia meno abituato dei russi al lavoro regolare”, ha affermato Kljuchevskij.
Un tale modus operandi significava anche che, a un certo punto, i contadini dovevano smettere di poltrire, raccogliere le loro energie e, ancora una volta, lavorare sodo. I periodi di “bassa attività” (che alcuni stranieri potrebbero aver scambiato per pigrizia) sfociavano in periodi di “piena mobilitazione”, il che non significava solo l’inizio della stagione agricola, ma anche oltre: guerre, rivoluzioni, conflitti politici. In tali situazioni di crisi, i russi hanno rivelato il loro lato migliore: qualità come eroismo, leadership, sacrificio di sé e perseveranza.
Ovviamente, i russi di oggi non devono lavorare un sacco durante l’estate per garantirsi la sopravvivenza durante l’inverno, ma potremmo comunque seguire lo stesso schema a livello microscopico. Lavorando ora senza sosta durante tutto l’anno, è come se inconsciamente creassimo sfide per il nostro eroismo. E qual è il modo migliore per farlo se non rimandare l’inizio della piena attività fino a ridosso della deadline? È solo in queste condizioni di pressione che sembriamo davvero saper dare il massimo!
Tempo e lavoro: i russi sanno rispettare le scadenze?
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