Come fronteggiano l’ondata del coronavirus i medici russi?

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Al pari dei colleghi di tanti altri Paesi, si trovano di fronte a una situazione a cui non erano abituati: con turni massacranti e ansia diffusa. Ma reggono il colpo, sperando che dopo l’emergenza tutti si ricordino dell’importanza dei dottori e della sanità

Al 6 di aprile i contagiati da coronavirus in Russia sono 6.343 (su oltre 758 mila tamponi effettuati), con casi rilevati in 80 delle 85 entità federali del Paese, anche se è a Mosca che si registra la concentrazione maggiore: 4.484 (il 71% del totale). Nelle ultime ventiquattr’ore ci sono stati su tutto il territorio nazionale 954 nuovi malati. Finora il numero delle vittime è di 47, e i guariti sono 406. Qui trovate tutti i dati aggiornati e la suddivisione regionale. () Ecco le testimonianze di alcuni medici su come è cambiata la loro vita professionale e privata a causa della pandemia.

Svetlana, medico internista in ospedale

Hanno mandato me e altri dottori in servizio a Sheremetjevo per accogliere le persone che arrivavano da altri Paesi. All’aeroporto eravamo di turno per 12 o 24 ore, e allo stesso tempo restava da svolgere il normale lavoro all’ospedale.

All’inizio, quando il traffico aereo tra i Paesi non era ancora chiuso, aspettavamo i passeggeri provenienti dalla Cina, principalmente studenti che tornavano dalle vacanze. La temperatura la misuravano già a tutti in aereo. Quindi passavano i controlli di frontiera ed entravano nella zona medica, lì li fotografavamo tutti, facevamo loro il tampone per il virus, e a ciascuno veniva assegnato un codice di identificazione dopo aver compilato un questionario con i dati, il numero del volo e il numero della carta d’imbarco.

Consegnavamo a ciascuno un promemoria sulle regole di condotta in caso di sintomi, avvertivamo della necessità di mettersi in auto-isolamento volontario per 14 giorni e li lasciavamo andare.

All’inizio c’erano ancora grandi voli, con 200-300 persone su ciascuno: durante la notte dovevamo occuparci di 3-5 di questi voli, e durante il giorno ce n’erano ancora di più.

Alle persone che venivano dall’Italia (la prima persona con il coronavirus a Mosca è arrivata dall’Italia il 23 febbraio, ndr) invece gli facevamo solo le foto e riempivamo i questionari con i dati, ma senza fare tamponi. Ma gli aerei dall’Italia erano ormai vuoti, quindi non era un gran lavoro.

Tuttavia, poi persone provenienti da Germania, Spagna e Francia hanno iniziato a tornare da noi in massa. C’erano molti voli e tutti gli aerei erano pieni di gente.

Le persone erano stanche, nervose, con bambini, e tutto questo avveniva alle 3-4 del mattino. Non c’era un minuto per riposare o bere un sorso d’acqua, e comunque nella zona con potenziale infezione ci era proibito farlo. Allo stesso tempo, faceva molto caldo nelle tute, ed era difficile respirare con le mascherine con filtro.

Non si poteva nemmeno andare al bagno, perché per farlo era necessario togliersi la tuta, i dispositivi di protezione, lasciare l’area di ispezione, disinfettare le mani…Toccava sopportare.

Dopo aver ricevuto tutti i voli principali, siamo stati rimandati dall’aeroporto negli ospedali, ma a questo punto a Mosca avevano introdotto il regime di auto-isolamento (il 30 marzo per tutti).

Abbiamo smesso di ricoverare pazienti con polmonite: venivano inviati a reparti speciali di altri ospedali. Anche tutti gli appuntamenti programmati sono stati cancellati, e abbiamo iniziato ad accettare solo pazienti di emergenza. Quasi a tutti facciamo il test per il coronavirus, ma fortunatamente, per ora sono tutti negativi.

La situazione in ospedale è diventata più tesa. Sia i medici che i pazienti sono in preda al panico, nessuno sa cosa aspettarsi.

I pazienti terrorizzati hanno paura di contrarre il coronavirus. Assicurano loro stessi che la febbre e la tosse secca che hanno è solo un semplice raffreddore. Alcuni iniziano a dare in escandescenza; bisogna fare un lungo lavoro di persuasione per farli entrare nei box speciali dei sospetti Covid-19.

Anche i medici sono tesi. Comprendiamo tutti bene che il coronavirus è poco conosciuto. Non sai mai dove e come puoi essere infettato.

In un turno di lavoro ricevo da 80 a 200 persone, e dopo torno subito a casa a dormire. Tuttavia, adoro il mio lavoro. L’unica cosa di cui ho paura è di ammalarmi e di non essere più in grado di aiutare i miei pazienti. Spero che tutto questo finisca presto.

Svetlana, medico internista in ospedale

La mia giornata di lavoro sembra orribile. Sono due settimane che faccio il doppio turno, ricevendo 40-50 persone, dal momento che non abbiamo abbastanza medici. Uno dei colleghi non poteva sopportare lo stress e si è dimesso nel bel mezzo della pandemia, un’altra collega è andata in congedo di maternità. Di conseguenza, siamo due internisti per 10 mila persone.

Abbiamo anche un pronto soccorso, ma non ce la faceva a reggere in numero di richieste, quindi dal 1º aprile sono stata spostata lì. A reggere al flusso di pazienti ci aiutano le ricette e i documenti precompilati per le malattie più comuni, come per esempio le infiammazioni virali delle vie respiratorie.

La richiesta più comune tra i pazienti è di eseguire il tampone del coronavirus. Molto panico c’è soprattutto tra i giovani. Tuttavia, siamo autorizzati a fare il test solo a pazienti con polmonite o a chi è rientrato dall’estero o è venuto in contatto con persone rientrate. Spieghiamo che questo è un ordine preciso e che, se non hanno sintomi, possono fare un test a pagamento, se sono preoccupati per la loro salute.

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Negli ultimi tempi, dopo ogni turno, mi bevo una bottiglia di vino. Capisco che ciò possa essere sbagliato, ma nella situazione attuale non riesco ad affrontare lo stress in nessun altro modo.

Aleksandra, epidemiologa presso la stazione di disinfezione di San Pietroburgo

Siamo impegnati nella disinfezione. Quando c’è un focolaio di qualsiasi malattia infettiva, il Rospotrebnadzor [il Servizio federale russo per la difesa dei diritti e della salute dei consumatori] ci invia una prescrizione, in base alla quale andiamo nella zona incriminata. Dobbiamo determinare i confini del focolaio, e controllare il processo di sanificazione con mezzi speciali.

Tutto è iniziato con l’ostello “Severnaja”. Lì viveva uno studente con coronavirus venuto dall’Italia. Dopo che il paziente è stato evacuato, sono subito arrivate all’ostello 4 o 5 brigate, poiché il paziente aveva visitato tutti i piani dell’edificio. Oltre alla disinfezione, abbiamo preso tutti i vestiti, le coperte, i materassi, le lenzuola e gli asciugamani del paziente. Tutto ciò che è entrato in contatto con lui è stato sottoposto a ulteriore trattamento a 60 gradi in speciali camere di disinfezione. Tornando a casa, quel giorno, ero così stanca che mi sono subito addormentata.

Dopo la disinfezione, tutti gli studenti sono stati messi in quarantena per due settimane, e dopo la quarantena siamo tornati là in sei squadre specializzate, per sanificare tutto di nuovo e garantire che non vi fossero possibilità ulteriori di infezione.

Ora c’è molto lavoro, a causa del gran numero di casi confermati di coronavirus. Le squadre sono generalmente composte da vari medici, compresi batteriologi e microbiologi. Non ci sono abbastanza persone e l’area dell’infezione è in aumento. In qualsiasi momento, giorno e notte, possono chiamarci per andare sul luogo di un nuovo focolaio: è molto stancante. In precedenza, effettuavamo disinfezioni a pagamento: ora tutte le prenotazioni sono sospese.

Rano Amirbekova, medico internista

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Публикация от 𝓓𝓻. 𝓐𝓶𝓲𝓻𝓫𝓮𝓴𝓸𝓿𝓪 👩🏻‍⚕️💍💪🏾 (@ranosh_amirbekova)

Oggi, le cliniche russe stanno creando squadre speciali per le ambulanze. I medici sono molto pochi, in particolare gli internisti. Quindi ora reumatologi, chirurghi, neurologi possono fare uscite in ambulanza per malattie non legate alla loro specializzazione. E gli internisti, come me, sono stati impegnati tutti al rilevamento del Covid-19: stiamo andando a casa da pazienti con sospetto coronavirus o da quelli che sono già malati.

Mi hanno inserita nelle squadre Covid-19 il 27 marzo, finora ho fatto solo pochi turni, quindi, ma anche questo breve periodo ha cambiato il mio atteggiamento nei confronti della professione e delle persone.

La mia giornata di lavoro inizia alle 8 del mattino e, nella migliore delle ipotesi, termina alle 20, ma è solo su chiamata, quindi in seguito serve tempo per compilare la documentazione e per la diagnosi.

Abbiamo turni di due giorni di lavoro e due di riposo o di due giorni di lavoro e uno di riposo, ma quando abbiamo il giorno libero, ci occupiamo di nuovo dei documenti. In generale, sono internista, quindi visito intere famiglie. I pazienti più gravi hanno il mio numero di telefono, siamo sempre in contatto con loro, e a volte conduco consultazioni online.

Far fronte al flusso di pazienti nella situazione attuale è certamente difficile. Dato che devi avere il tempo di andare a visitare tutti i pazienti del turno: e possono essere 16, o anche 34. Alla brigata del coronavirus sono state assegnate macchine con autista, inoltre, un agente di polizia viaggia con noi.

A volte mi imbatto in una reazione inadeguata delle persone. Ogni persona che incontri ti chiede: “Che, avete trovato un coronavirus?” O, ad esempio, mentre viaggi sull’automedica, i pazienti possono farsi un selfie con noi: non posso contare quante foto mi sono state scattate su tre turni. Diversi pazienti non credono affatto che il coronavirus esista e non vogliono sottoporsi al tampone. Dicono che tutto ciò è una cospirazione del governo, e dobbiamo lungamente convincerli del contrario.

A causa delle speciali condizioni di lavoro e della tuta e degli altri dispositivi di protezione personale, non possiamo nemmeno applicare una normale crema idratante sul viso e le mie sopracciglia arruffate implorano una sistemata, ma non si può toccarsi la faccia durante il turno. E dopo 12 ore con una mascherina con filtro, il tuo viso ti sembra estraneo. Cerco di non dare troppo peso alle scomodità: faccio solo il mio lavoro.

Abbiamo un solo trucco: se stai attento, risparmierai tempo. La cosa principale qui non è non perdersi. Sei tu e il paziente, e più attentamente e più dettagliatamente fai le domande, più velocemente e con maggiore precisione puoi determinare il suo gruppo di rischio. Diversamente, il lavoro raddoppierà.

Le persone mi motivano. Ieri ho ricevuto una chiamata da un paziente arrivato dall’Indonesia. Alla fine della visita, mi ha detto: “Grazie, dottoressa, la apprezziamo.” Sapete, era, se non sbaglio, il ventottesimo del giorno, e avevo ancora una cartella gonfia di documenti da compilare, e in generale sognavo solo che questa situazione con il coronavirus si rivelasse un brutto incubo da cui risvegliarsi. Ma dopo le sue parole, ero pronta a visitare altre 30 persone.

In generale, spero davvero che, dopo il coronavirus, nel nostro Paese riconsidereranno il loro atteggiamento nei confronti dei medici e dell’assistenza sanitaria in generale, e inizieranno ad apprezzare il nostro lavoro.


È pronto il sistema sanitario russo a reggere al picco dell’epidemia di Covid-19? 

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