Non è certo il caso di idealizzare l’infanzia sovietica e come i bambini venivano educati al tempo dell’Urss. C’erano molti punti negativi e molte delle regole imposte erano presumibilmente discutibili. Prendiamo per esempio la più celebre: “Se non sai te lo insegniamo, se non vuoi te lo imponiamo” (in russo: “Не можешь — научим, не хочешь — заставим”; “Ne mozhesh – nauchim, ne khochesh – zastavim”). Ma non è nemmeno il caso di demonizzare tutte le pratiche di allora.
Molti principi dell’educazione sovietica furono fissati negli anni Trenta dal leggendario pedagogo Anton Makarenko (1888-1939). In quegli anni in Russia c’era un numero enorme di bambini abbandonati, che spesso finivano per delinquere. Le autorità li toglievano dalle strade e li mettevano negli orfanotrofi, ma trasformarli in ragazzini per bene ormai era molto difficile. In questi istituti per minori, Makarenko lavorò a lungo e con successo, per recuperare pienamente alla società questi giovani, e far sì che condividessero nel profondo i valori della società e le sue norme etiche.
Molto di quello di cui fece esperienza in questo lavoro di frontiera finì nei manuali sovietici di pedagogia, e molte delle sue prescrizioni furono messe in pratica nel sistema educativo. Eccone alcune.
Molta attenzione veniva data all’orario (il “rezhim”; “regime”) fin dalla prima infanzia: tutto doveva accadere ogni giorno a orari fissi e sempre identici: sia i pasti che i riposini e il sonno.
Si riteneva che se il bambino si metteva a piangere negli intervalli tra le poppate prestabilite non si dovesse dargli il latte dal seno per “calmarlo”. I pediatri sovietici andavano a visitare quotidianamente le puerpere e controllavano con estrema attenzione quanto peso prendeva da una volta all’altra il neonato (anche su questo c’era inflessibilità nella cultura sovietica; dalle tabelle del peso non si doveva sgarrare).
Questa disciplina continuava a essere imposta anche in seguito. L’allattamento veniva organizzato in contemporanea per tutti negli asili nido e nelle scuole materne, e alle madri veniva consigliato di non dare da mangiare ai bambini tra una poppata e l’altra.
L’aria fresca era ritenuta ottima per rafforzare il sistema immunitario e in generale la salute del bambino, motivo per cui le mamme persino alle temperature più gelide andavano a spasso con le carrozzine anche per ore. E il sonnellino diurno molti bambini se lo facevano proprio all’aperto, anche se il termometro era ben sotto lo zero.
Questa pratica era adottata anche negli asili, dove i bambini venivano messi a dormire fuori, anche per evitare varie epidemie.
Uno spettacolo a parte era la pratica della “tempra” (in russo: zakàlivanie): frizioni e abluzioni con acqua fredda all’aperto, anche durante l’inverno. Si riteneva che questo fosse molto salutare, anche per il cuore. E uno dei principali motti dell’Urss era “В здоровом теле – здоровый дух”, “V zdorovom tele – zdorovyj dukh”, nient’altro che la traduzione in russo di “Mens sana in corpore sano”.
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In tutte le scuole la pratica sportiva era obbligatoria e cambiava in base alla stagione: d’inverno i bambini venivano portati a fare sci di fondo, d’estate a correre in luoghi freschi. In primavera e in autunno le lezioni di educazione fisica avvenivano in palestra, dove si praticavano sia varie specialità dell’atletica leggera che sport di squadra.
Per spingere bambini e adulti a fare più esercizi, il più noto cantautore sovietico, Vladimir Vysotskij compose persino una piccola canzoncina scherzosa sull’importanza della ginnastica mattutina, “Utrannaja Gimnastika”.
I bimbi venivano mandati all’asilo e al nido fin dalla più tenera età (ancora quando venivano allattati), innanzitutto per permettere alle donne di poter tornare al lavoro, perché nella società socialista questo era considerato molto importante. E poi perché così il bambino si abituava a socializzare fin da piccolissimo. Doveva infatti imparare a vivere e lavorare nella collettività e a sentirsi responsabile di fronte al proprio gruppo.
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Un po’ di responsabilità collettiva sarebbe probabilmente d’aiuto anche oggi nella lotta contro il crescente problema del bullismo nelle scuole.
Lo psicologo statunitense Urie Bronfenbrenner (1917-2005; nato in Russia, ma trasferitosi con i genitori negli Usa all’età di sei anni) negli anni Settanta studiò approfonditamente in modo comparato come educavano i figli nelle due superpotenze e pubblicò il libro “Two Worlds of Childhood: U.S. and U.S.S.R”. In esso cita anche un’insegnante di scuola sovietica, che spiega come lotta contro i cattivi comportamenti in classe.
“Facciamo l’ipotesi che Vova, dieci anni, tiri per la coda dei capelli la piccola Anja. Io lo richiamo, Una volta, due, tre. Lui lo rifà. Allora chiedo alla classe di prestare attenzione al comportamento di Vova. Adesso posso stare tranquilla. Durante l’intervallo lo prenderanno da parte i suoi coetanei rappresentanti dei Pionieri (i membri dell’associazione comunista per bambini dai 9 ai 14 anni, ndr) e gli ricorderanno che la sua mancanza di disciplina peserà sul voto in condotta di tutta la classe”.
Oltre alla responsabilità collettiva, i bambini dovevano comunque, ovviamente, rispondere dei propri comportamenti individuali. Inoltre, fin dall’infanzia, venivano, tappa dopo tappa, educati alla vita adulta. Il bambino doveva sempre aiutare i grandi e i genitori erano tenuti a insegnargli tutte le cose di casa: a cucinare, a fare le pulizie e a svolgere piccoli lavori manuali.
“Fin dalla quinta elementare avevo il compito di fare le pulizie di casa nei giorni di festa e di andare all’alimentari. Lo facevo sempre e non immaginavo neppure che potesse essere in modo diverso. Allo stesso tempo, fin da piccola la mia sorella gemella cucinava per tutta la famiglia. I nostri genitori o erano al lavoro o riposavano”, racconta sulla sua infanzia il 62 enne moscovita Sergej.
A scuola c’era anche una materia specifica: “trud” (“lavoro”). Bambini e bambine imparavano cose differenti; le femmine a cucire e cucinare, e i maschi a piantare i chiodi, piallare, segare, saldare e persino a svolgere certi semplici lavoretti elettrici.
Il bambino sovietico doveva essere sempre impegnato in qualcosa e non avere tempo per l’ozio. E capire che più cose si hanno da fare e più si riesce a farne. Così lo preparavano al lavoro e a una vita sociale attiva nelle cellule del partito comunista.
Ogni bambino dopo la mattinata in classe e il pranzo, o rimaneva a scuola per il tempo pieno o frequentava un circolo. C’era un’offerta enorme di Case della creatività infantile, scuole musicali e istituti sportivi. Molti bambini frequentavano più di un corso alla volta. Oltre allo sviluppo del piccolo, questo alleggeriva la vita dei genitori, che potevano stare sereni mentre erano al lavoro: il pargoletto era impegnato e in buone mani.
Come spesso accade, i genitori volevano che i figli potessero permettersi quello che per loro era stato impossibile fare nell’infanzia. Per cui erano disposti a spendere somme importanti per appoggiarli nella partecipazione a varie competizioni.
In particolare, si raccomandava vivamente ai genitori di non coccolare e viziare troppo i propri figli, per non far crescere dei signorini e degli scansafatiche. Questo è uno dei motivi per cui i bambini sovietici non avevano un numero enorme di giocattoli, a differenza dei bimbi di oggi, né una tale varietà di vestiti, né alcun oggetto di lusso (anche se influiva pure la carenza di beni nei negozi). L’uomo sovietico, fin dalla giovane età, doveva essere spartano e non avere troppe pretese per la vita di tutti i giorni.
Si credeva che i bambini viziati e i maschietti non allevati virilmente sarebbero certamente diventati elementi antisociali, o addirittura criminali!
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Come avrete già capito, i bambini sovietici trascorrevano molto tempo all’aria aperta. Molti circoli svolgevano le loro attività nella natura, e molto popolari erano i corsi di botanica e zoologia. C’erano interi gruppo di giovani naturalisti, che studiavano le caratteristiche morfologiche della zona dove vivevano. I bambini e i ragazzi venivano poi portati a fare trekking nei boschi, e si insegnavano loro i rudimenti di alpinismo e a condurre un kayak.
Anche i genitori spesso portavano i figli in campagna e insegnavano loro a pescare e a raccogliere i funghi, riconoscendo quelli commestibili.
Molta attenzione veniva prestata in generale all’etica. Il famoso poeta Majakovskij ha scritto la poesia per bambini “Cos’è il bene e cos’è il male” (titolo originale russo: “Shto takoe khoroshò i shto takoe plokho”) che divenne molto popolare. In assenza di religione, ai bambini venivano spiegate le regole di condotta non attraverso la Bibbia e le tradizioni cristiane, ma attraverso gli standard morali dell’uomo sovietico e del costruttore del comunismo. Tuttavia, non erano poi così diversi dai Dieci comandamenti.
Era molto importante vivere non per se stessi ma per gli altri, non lottare per il guadagno e l’arricchimento personale, non mentire, mantenersi puliti, rispettare gli anziani lasciando loro il posto sui trasporti pubblici e aiutandoli ad attraversare la strada o a portare borse pesanti.
Uno dei valori più importanti che veniva instillato nel bambino era crearsi una famiglia, perché la famiglia era un’unità fondamentale della società sovietica.
Questo è il motivo per cui le ragazze fin dall’infanzia erano preparate a diventare madri e a gestire la casa (allo stesso tempo non si diceva che questo fosse il loro unico dovere. Si coltivavano anche le qualità professionali). Ai ragazzi, invece, veniva insegnato a fare i “lavori da uomini”, che richiedevano più sforzo fisico. Era molto importante passare attraverso il servizio militare.
“Semplicemente ridevamo di chi per un motivo o per l’altro non aveva fatto il militare. Persino le ragazze non volevano uscire con loro”, racconta Ivan, 75 anni.
E, naturalmente, la lealtà e l’amore per la patria erano il valore principale per il bambino sovietico (e anche per gli adulti, a dirla tutta). Per questo era necessario conoscere la storia, la cultura, la geografia, nonché il grande ruolo politico dell’Urss nella liberazione del proletariato di tutto il mondo dall’oppressione dei capitalisti.
Come si divertivano i bambini ai tempi dell’Unione sovietica?
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