In Unione Sovietica c’erano molte fabbriche automobilistiche, eppure ottenere un’auto non era facile per niente, e non solo per una questione di soldi. Alcuni sono persino convinti che la produzione fosse deliberatamente limitata per paura che il possesso delle macchine desse ai cittadini sovietici troppa libertà di movimento.
Nei primi anni dell’Unione Sovietica, la produzione automobilistica interna russa era misera e la gran parte del parco auto era composto da auto straniere “nazionalizzate” (compresi i veicoli del garage imperiale) che venivano usate per scopi ufficiali. Mentre era facile prendere la patente di guida (le scuole guida aprirono in tutto il Paese, presso le sedi del Dosaaf, l’Associazione volontaria per la cooperazione con l’esercito, l’aviazione e la flotta) l’acquisto di un’auto era qualcosa di straordinario.
Uno dei primi cittadini sovietici a possedere un’automobile fu il poeta Vladimir Majakovskij (1883-1937). Nel 1928, con il permesso del Commissariato per il commercio estero e interno dell’Urss, portò una Renault NN dalla Francia per la sua amata Lilja Brik. Majakovskij in realtà non guidava, ma la Brik desiderava molto mettersi al volante. E divenne la prima donna in Unione Sovietica a ottenere la patente di guida. Venne raggiunta un paio d’anni dopo dalla cantante lirica Antonina Nezhdanova (che nel 1931 guidava una Ford A), e dalla star del cinema Ljubov Orlova (che aveva un Packard-120). Naturalmente, per acquistare un’auto di fabbricazione straniera si doveva andare all’estero poiché non c’erano rivenditori di auto in Urss.
Negli anni Trenta, l’Urss iniziò a sviluppare la propria industria automobilistica. Ma, prima di tutto, il Paese aveva bisogno di camion, trattori e autobus, nonché varie auto di servizio (per la polizia, i taxi, ecc.) A poco a poco, la leadership sovietica iniziò a pensare anche a un’auto cittadina che potesse essere acquistata per uso personale. Vennero così prodotti diversi lotti sperimentali delle prime GAZ-A e KIM 10-50, ma poi la Seconda guerra mondiale frenò questi progetti.
Dopo il conflitto, apparvero nell’Urss un gran numero di Opel e Mercedes, come “auto trofeo di guerra”, e le fabbriche automobilistiche nazionali le copiarono per produrre i propri modelli. Di conseguenza, a metà degli anni Cinquanta, il popolo sovietico ebbe l’opportunità di acquistare auto nuove. Se non che, la domanda per questo miracolo tecnologico si rivelò molto più grande di quanto il Gosplan (il comitato di pianificazione statale) avesse previsto, e acquistare un’auto significò passare anni in una lista d’attesa. L’acquisto veniva fatto direttamente alla fabbrica. “Hai risparmiato [abbastanza], e hai comprato l’auto!”, era uno slogan popolare all’epoca. In russo fa la rima: “Nakopìl – i mashinu kupìl!”.
Le persone dovevano affrontare due grosse difficoltà al momento dell’acquisto di un’auto: risparmiare abbastanza denaro ed entrare in lista d’attesa (e non tutti avevano il diritto di farlo). Lo stipendio di un lavoratore medio era di 800 rubli al mese e una Moskvitch 401 costava 8.000 rubli, mentre un Pobeda 16.000 rubli. L’attesa per queste auto era di circa quattro anni, quindi era abbastanza realistico risparmiare abbastanza denaro prima che il proprio modello fosse disponibile. Poi arrivò la riforma monetaria negli anni Sessanta e i prezzi cambiarono.
Lo stipendio medio divenne 170 rubli al mese, mentre una Moskvitch costava 5.000 rubli e una Volga due volte tanto. E sempre più persone volevano comprare un’auto. Negli anni Sessanta furono immatricolate un totale di 150.000 automobili a Mosca, e negli anni Settanta ce n’erano mezzo milione sulle strade della capitale, tra auto private e di servizio.
Anche il sistema per accedere alla lista d’attesa cambiò. All’inizio degli anni Sessanta, le persone potevano fare domanda solo attraverso il loro posto di lavoro, e le automobili erano distribuite in modo non uniforme: un’impresa poteva ricevere due auto all’anno, mentre un’altra ne riceveva decine. Il sindacato decideva chi era degno di essere inserito nell’elenco e lo usava come una sorta di premio di produzione. In media, si aspettavano sei o sette anni. Sebbene in Unione Sovietica fosse possibile acquistare determinati beni a credito, le auto potevano essere acquistate solo in contanti.
Quando, dopo quella che sembrava un’attesa senza fine, finalmente si riceveva il documento che ti consentiva di acquistare l’auto, la ricevuta aveva questo aspetto: un pezzo di carta con la data e l’ora in cui era possibile ritirare l’auto e il prezzo da pagare. Per esempio quello qui riprodotto in foto diceva: 22 settembre 1977 tra le 08:00 e le 14:00. Per una macchina VAZ 2106 del costo di 7.930 rubli. Il colore era invece una sorpresa. Non si poteva scegliere, e dipendeva da quale colore la fabbrica automobilistica avesse prodotto nel suo ultimo lotto.
C’era però chi poteva saltare la fila e comprare subito una macchina. Ad esempio, un utente su un forum automobilistico russo scrive: “Mio nonno, che lavorava per l’impianto di estrazione e lavorazione di Norilsk, ottenne una Lada 21013 dopo cinque anni di attesa. I vicini offrirono di prenderla in cambio del loro appartamento in centro; ma la nonna si oppose, insistendo sul fatto che fosse un regalo per suo nipote. L’ho guidata per circa 15 anni e ora si sta arrugginendo in un vecchio garage.”
“Il Gosplan non teneva conto delle entrate crescenti dei cittadini e il numero di automobili prodotte era strettamente in linea con le istruzioni ricevute dall’alto, nonostante il fatto che avrebbero potuto esserne costruite molte di più”, ricorda un altro membro del forum. “Mio nonno acquistò una Volga per 9.500 rubli nel 1975; era un colonnello con le conoscenze giuste e andò alla fabbrica di automobili Gaz per ritirare la sua auto dopo una telefonata. La rivendette nel 1985 per 18.000 rubli. In altre parole, la macchina aveva 10 anni e il suo prezzo era aumentato a causa della carenza di auto in vendita. Si comprò una nuova Volga per 11.000 rubli.”
A quel tempo, divenne popolare anche una lotteria chiamata Sportloto, che dava alla gente la possibilità di vincere una macchina. Nel 1972, ad esempio, la madre di Vladimir Putin ebbe fortuna e vinse una Zaporozhets bianca.
Ma l’acquisto di un’auto era in realtà solo l’inizio dei tuoi problemi. Fare benzina era un’avventura (c’erano pochissimi distributori), per non parlare della difficoltà di trovare pezzi di ricambio. E poi bisognava iniziare a pensare a ottenere un garage, poiché l’auto poteva rovinarsi, se lasciata sempre in strada.
Persino all’estero si diffusero barzellette sulla difficoltà di comprare un’auto (e non solo) in Unione Sovietica. Ad esempio, il presidente americano Ronald Reagan raccontò questa, nel 1988:
“In Unione Sovietica, c’è un’attesa di dieci anni per comprare un’auto. Arriva un acquirente, paga l’anticipo e il responsabile gli dice:
– Ok, è tutto: torni tra dieci anni a ritirare la sua macchina.
– Di mattina o pomeriggio?
– Ma è tra dieci anni: che differenza fa?
– No, è perché la mattina mi viene l’idraulico”.
È noto che il primo uomo nello Spazio, Jurij Gagarin, possedeva due Volga () (ne acquistò una lui, e l’altra fu un regalo della leadership sovietica) e un’auto sportiva futuristica, la Matra-Bonnet Djet VS, che ricevette in regalo durante un visita in Francia. E in tempi diversi il musicista e attore Vladimir Vysotskij guidò una berlina Mercedes Classe S W116 blu e una Mercedes SLC coupé marrone. Gli attori spesso acquistavano auto straniere durante i tour all’estero, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalla dirigenza del Paese.
Ma questo non era l’unico modo per ottenere un’auto rara. I politici stranieri spesso davano ai leader sovietici veicoli fabbricati all’estero come regali, e furono anche introdotti modelli stranieri per le ambasciate straniere. Negli anni Sessanta e Settanta a Mosca (e poi in altre grandi città) c’erano centri d’auto usate che vendevano auto straniere incidentate al prezzo di auto di fabbricazione sovietica. Compravano questi mezzi rottami, poi bisognosi di restauri pazienti, non solo coloro che volevano disperatamente possedere un’auto di fabbricazione straniera, ma anche le persone che semplicemente non avevano il diritto di entrare in lista d’attesa per acquistare un’auto sovietica. I proprietari di tali auto le avrebbero poi dovute riparare da soli, e talvolta l’opera richiedeva anni. Alcuni furono fortunati e poterono acquistare automobili che non richiedevano alcuna riparazione, ma tale “fortuna” spesso aveva più che altro a che spartire con il fatto di avere le mani in pasta o i giusti contatti.
L’attore sovietico Ivan Dykhovichnij (1947-2009) raccontò poi dell’acquisto di un’Alfa Romeo “diplomatica” che era appartenuta alla moglie dell’ambasciatore argentino. “All’inizio, l’Alfa venne valutata per me al prezzo di una Zaporozhets, ma il trucco non funzionò, perché anche qualcun altro voleva acquistarla, quindi dovetti pagare il prezzo di una Zhigulì”. L’attore fece poi amicizia con un meccanico che lavorava presso l’ambasciata italiana. “Mi ha aiutato a riparare l’auto e un giorno mi fa: ‘Se vuoi, posso portarti una Ferrari Dino’. Naturalmente, ho detto di sì. È venuto con la macchina. Ma per essere portata in uno di quei centri che vendevano le auto, la Ferrari doveva essere danneggiata in un incidente stradale. Ora immaginate la scena seguente. Anni Settanta. Circonvallazione dei Giardini di Mosca. Ci sono solo poche macchine sulla strada. Ed ecco che arriva la Ferrari e colpisce un camion che procedeva assolutamente senza colpa, e al cui autista per poco non vennero tutti i capelli bianchi un tale fatto inatteso.”
Nel 1985, l’Unione Sovietica aprì alle importazioni di massa di auto straniere usate: Škoda cecoslovacche, Zastava jugoslave e Trabant della Germania orientale. Cominciò un boom automobilistico, e quando l’Unione Sovietica crollò, c’erano già un milione di automobili nella sola Mosca.
“Robuste e a buon prezzo”: il successo delle auto sovietiche in Occidente
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