“Così ho imparato ad amarmi per come sono”: le ragazze russe e il body positive

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EKATERINA SINELSHCHIKOVA
Un flashmob su Instagram ha fatto partire in Russia una nuova ondata di testimonianze di persone che hanno finalmente smesso di inseguire modelli irreali e iniziato a vivere a pieno la loro vita senza complessi

Da bambina, Natalja Zemljanukhina aveva molti complessi e a un certo punto decise di voler perdere un paio di chilogrammi. Ma quando iniziò, non riuscì più a smettere. Aveva 12 anni. Perse 21 chili. La diagnosi fu presto chiara: anoressia. Più tardi, pensò: “Ho perso peso, ma non ho glutei tonici”. E nella sua vita apparve un nuova fissazione: tanto esercizio fisico, e cibo “eccezionalmente sano” (a suo modo di vedere, ovviamente). Quindi l’anoressia si trasformò in ortoressia nervosa.

Ora ha 16 anni. Il suo sogno d’infanzia è diventato realtà. È una ragazza molto popolare su Instagram, dove la conoscono come Tusja, con 1,2 milioni di follower. Le stories sulla dolorosa lotta per accettarsi le hanno portato molta popolarità. Di recente ha lanciato un flashmob, con l’hashtag #СоМнойВсеТак (qualcosa del tipo: “Non c’è niente che non va in me”) e migliaia di ragazze hanno iniziato a raccontare le loro storie: su come nascondevano le cicatrici sotto i vestiti, applicavano tonnellate di cosmetici, indossavano parrucche, rimuovevano nei e voglie e soffrivano, soffrivano, soffrivano. Molte hanno pubblicato per la prima volta fotografie “della vera me stessa”. Ecco alcune delle loro storie.

Anna Ionova: “Il primo giorno in parrucca sono andata a scuola come al patibolo”

“I miei conoscenti mi chiedono di tanto in tanto: dove ti tingi i capelli? Come sei riuscita a ottenere un colore così bello? Come ti lisci/ ti arricci i capelli? Di solito, in risposta, borbotto qualcosa su un conoscente che mi fa la tinta. Ogni 2 settimane.

Ma ecco il mio grande scheletro nell’armadio: non sono capelli miei, sono parrucche. Le indosso dall’età di 14 anni quando i miei capelli hanno iniziato a cadere. In un mese ne sono caduti così tanti che è diventato evidente a tutti. “Ma sei calva?”, mi ha chiesto un compagno di classe. Dopo questo fatto, mi hanno rasato tutti i capelli e mi hanno comprato una parrucca.

Mi hanno fatto la diagnosi: alopecia. Si tratta di una malattia in cui i capelli ti cadono e nessuno sa perché. Ora ci sono molti centri sanitari, ma allora a Cheboksary [670 chilometri a est di Mosca, ndr] non c’era niente del genere. Per me è stata la fine del mondo. Pensavo che nessun ragazzo al mondo mi avrebbe mai amata. Mia madre aveva paura che potessi suicidarmi.

Il primo giorno in parrucca, sono andata a scuola come se andassi al patibolo. Odiavo la scuola. E anche se nessuno mi ha colpito o ha cercato di togliermi i capelli, avevo paura. Non davo mai le spalle alle persone, cercavo di non chinarmi e di non muovere troppo la testa. Ho quasi smesso di parlare con gli altri. Poi mi sono un po’ rilassata. Mi sono fatta i primi amici, si è formata la compagnia con cui uscivamo. Ma non ho mai detto a nessuno del mio problema.

Ma ero così stanca di avere paura! E alla fine sono riuscita a metterla da parte. E sì, ora a volte mi presento in pubblico così, senza capelli. Voglio essere me stessa, e non quello che ho cercato di essere per anni, preoccupandomi di cosa potesse pensare la gente”.

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Sasha: “A un certo punto non ti guardi più allo specchio”

“Sei un’adolescente, hai l’acne. Ti dicono che passerà quando sarai grande. Di non preoccuparti troppo, ma inizi a usare il fondotinta della mamma e due strati di cipria. Entro i vent’anni hai tempo di provare tutto. Divieti alimentari, detergenti, creme. Reagisci male ai commenti degli estranei sulla diatesi o sul loro amico, uno zio Kolja qualsiasi, che l’acne se l’è portata dietro fino ai quarant’anni.

A un certo punto, l’acne diventa sempre più un motivo per restare a casa. Ti prescrivono 3 mesi di antibiotici. La pelle più perfetta della tua vita. Fai un sacco di selfie e video. Ma non appena si ripristina il normale equilibrio di batteri nel corpo, la situazione diventa peggiore di prima. A un certo punto odi così tanto l’acne che non ti guardi più neanche allo specchio. E non ti trucchi, tanto non aiuta.

Poi scopri la comunità dell’acne su Instagram. Finalmente non ti senti più sola: sono proprio tanti quelli come te. Ma tutti gli account sono in inglese. In russo si contano sulle punta delle dita. In tutto questo tempo fai un lavoro interiore. Impari a non arrabbiarti più del fatto che tutti ritengano loro dovere darti consigli non richiesti. Metodi che peraltro hai già provato senza successo. Accetti i sentimenti degli altri. Sai che non sono passati attraverso quello hai passato tu. [Di conseguenza] vai lontano e ti immergi in una cultura in cui non hai paura di parlare apertamente di molte cose. Senti di vivere finalmente nel XXI secolo, al punto di rivalutare molte cose. E diventi abbastanza forte per essere quella che di acne ne parla. Non c’è niente che non vada in me”.

Julia: “Odio le fiabe sulle principesse. Le principesse sono sempre perfette”

“Ho scritto un post sul fatto che non mi considero bella. E sul fatto che ciò non influisce sulla mia autostima. Un paio di settimane fa, mi sono resa conto che mi stavo prendendo in giro quando ho visto per caso usare per descrivermi l’epiteto “super-bitorzoluta” per via della mia pelle. Ho visto e pianto a dirotto per 20 minuti.

Ho singhiozzato per il risentimento, e poi per la rabbia nei miei confronti: “Ma vaffanculo, ho 36 anni, sono felicemente sposata da quasi 10 anni, aspetto il terzo bambino, faccio il mio lavoro preferito, in giro da qualche parte ci sono una medaglia scolastica e un diploma di laurea con il massimo dei voti… Perché sto frignando per una sola parola detta da una persona che non è nessuno per me?!”

Perché dal momento in cui questo problema è apparso, ancora oggi non riesco ad accettare completamente questa cosa di me… Perché ogni giorno vedo persone ideali con una pelle perfetta nelle pubblicità, nei film, sui poster e sulle riviste…

Sai, odio le fiabe sulle principesse. Le principesse sono sempre perfette. Senza difetti e imperfezioni. E mi sono sempre resa conto che non ero una principessa. Per ora non ho una ricetta per accettarsi e amare se stessi. Questo post è solo il mio piccolo passo in questa direzione”.

Inna: “Un ciclo potentissimo di radioterapia per guarire il mostro”

“Il mio Instagram ha tutto tranne le mie foto d’infanzia… perché sono nata così: con una voglia color barbabietola che copriva tutto un occhio. Un emangioma, per dirla in modo scientifico. L’occhio era completamente chiuso, non ci vedevo. Sulle voglie c’è la credenza popolare che siano un “bacio dell’angelo / della cicogna”. Non male, vi dirò, ero stata baciata. Mi definirono “mostro”. In ospedale consigliarono ai miei genitori di non riconoscermi. “Che ve ne fate di una bambina del genere?” Lasciatela in orfanotrofio…

Anni Novanta, voli continui a Mosca, dai 2 mesi ai 3 anni. Più di una dozzina di sedute di radioterapia con irradizioni potentissime all’occhio sinistro. È terribile immaginare cosa abbiano attraversato i miei genitori in quel momento, ma così ora vivo una vita quasi normale. È accaduto un miracolo o forse le preghiere di mia madre hanno aiutato. Ma il mio occhio si è aperto, la macchia praticamente se n’è andata, ho riacquistato la vista, anche se non al cento per cento. Tuttavia, ci sono conseguenze della radioterapia, ho meno capelli sul lato sinistro della testa, non ho quasi sopracciglia e ciglia, se non mi trucco sembra che mi abbiano fatto un occhio nero, le pupille sono diverse, insomma, in generale, sono ancora un bel fenomeno da baraccone.

Ero sempre in imbarazzo per le mie foto d’infanzia, avevo paura di essere presa in giro all’asilo e a scuola. Mi inchino ai miei genitori e ai genitori che non hanno abbandonato i loro figli malati. Siete proprio bravi e degni di rispetto.”

Katja: “Ehi brutta scrofa! Smetti di mangiare!”

“Ricordo l’odio per me stessa. E il pensiero “Scrofa; cicciona! Smetti di mangiare!”, ogni volta che passavo davanti a uno specchio!

Ricordo come, quando pesavo 58-60 chilogrammi, rimandavo sempre l’acquisto di bei vestiti. “Perderò peso e li comprerò”, mi dicevo. E i giorni passavano. Ricordo come sceglievo i ragazzi. Non quelli che piacevano a me, ma quelli a cui piacevo io! Ricordo come mi sentivo a disagio in un costume da bagno!

Tutto questo avveniva con una ragazza che si allenava molto, aveva un bell’aspetto, ma ciononostante si odiava! “Gambe, fianchi, guance grasse.” Ma ora non è assolutamente importante!

Ora, con 20 chilogrammi in più, mi accetto! È impossibile amare la vita, gli altri, e conoscere il vero amore se non si ama la persona più importante: se stessi!”


Come trattano in Russia le persone sovrappeso?