Una ragazza piccola e apparentemente indifesa si gira in varie direzioni e con la mano cerca di tastare il muro di marmo della stazione della metropolitana di Mosca. Nell’altra mano regge un bastone, che periodicamente urta le scarpe delle persone di passaggio.
Elena ogni giorno parte da Mosca e va a lavorare a Troitsk (45 chilometri a sudovest della capitale) e cerca sempre di evitare l’ora di punta. All’inizio potrebbe sembrare che sia per il timore di essere travolta dall’infinito flusso di moscoviti che corrono al lavoro. Ma vale la pena prenderle la mano e andare con lei verso l’uscita e così si capisce che lei sorpassa tutti senza problemi, e se serve li spinge anche. È così veloce e sicura, che sembra di essere condotti in quel flusso di persone da Wonder Woman.
Ma Lena (così in Russia si abbrevia il nome Elena) rifiuta la definizione. Lei è semplicemente una donna che lavora come direttrice del Centro di aiuto ai non vedenti, alleva suo figlio e ad aprile ha corso la sua prima mezza maratona…
“Mi sembra che 12 anni sia l’età migliore tra quelle in cui puoi perdere di vista”, dice Elena con voce calma, mentre sediamo in un bar animato. Proprio a quell’età, lei ha iniziato ad avere problemi agli occhi a causa del distacco della retina. L’origine della malattia non si conosce, e al momento non si sa come curarla. All’inizio Elena era convinta che la vista le sarebbe presto tornata, o per lo meno credeva che presto avrebbero inventato qualche nuova tecnologia che l’avrebbe riportata alla sua solita vita. Ma con il passare del tempo, ha dovuto abituarsi a vivere e a studiare in un modo nuovo; in una scuola speciale per non vedenti.
Ci portano il menù e propongo di leggerglielo ad alta voce. Ma Elena dice di volere solo un cappuccino, e di non voler ascoltare una lista di 15 bevande. Cala un po’ di gelo. Poi lei riprende il racconto.
“A 12 anni avevo già un sistema di immagini nella mia testa, conoscevo le espressioni facciali e come replicare i movimenti e i gesti. Allo stesso tempo, non ero arrivata alla vita adulta, il che significa che avevo ancora le capacità di adattamento per non soffrire troppo per quello che avevo perso”, argomenta lei.
Ma a cambiare la sua vita non è stata la nuova scuola, né la facoltà di Lettere, né un certificato di massaggiatrice (una professione tipica tra i non vedenti), ma la “Marafòn v temnotè”, la “Maratona nel buio”, un evento organizzato dalla fondazione di beneficenza “Sport dljà zhizni” (“Lo Sport per la vita”), nella quale i volontari, che nella fondazione chiamano “leader”, hanno insegnato ai non vedenti a correre.
“Il primo allenamento lo feci cinque anni fa. Io non amavo lo sport, e anche a scuola avevo sempre avuto un certificato che mi esonerava dalle lezioni di Educazione fisica”, ricorda Elena. “È stato impegnativo dal punto di vista della preparazione. Il cuore mi batteva subito fortissimo, diventavo tutta rossa e avevo un terribile fiatone”.
Due ragazze, dopo essersi legate l’un l’altra per le braccia con uno speciale elastico, corrono nel parco la mattina presto. In un orecchio hanno l’auricolare wireless AirPods, con cui ascoltano una canzone dei Beatles. Al polso di Elena c’è un Apple Watch, che periodicamente annuncia ad alta voce le pulsazioni, la distanza percorsa e altri indicatori. Tali allenamenti si svolgono più volte alla settimana con “leader” diversi.
“I moscoviti sono ancora sorpresi quando si trovano davanti un quadro del genere. Spesso ci vengono dietro, chiedendoci che tipo di ‘manette’ abbiamo, e se ci sentiamo a nostro agio a correre così… A volte si arrabbiano persino, perché non capiscono che è una cosa per non vedenti. Non gli salta nemmeno in testa”, si risente Elena.
Oltre alla corsa si allena su una bici a due posti e pratica il nuoto, anche i quel caso con l’aiuto dello smart watch.
Dopo una pausa durante la gravidanza, Elena si è data l’obiettivo di correre una mezza maratona. Ha scelto Berlino, perché così avrebbe dovuto investire nella preparazione e poi non avrebbe avuto la tentazione di tirarsi indietro.
Finisci però per chiederti come un non vedente possa trarre piacere dal viaggiare, visto che anche adesso, per esempio, lei non può vedere le belle foto sui muri del bar o i camerieri con scenici cappelli da cuoco.
Quando glielo domando, Elena mi spiega come a una bambina che ci sono molti musei nel mondo con dipinti in rilievo per non vedenti, e poi ci sono gli amici che possono descriverti tutto ciò che accade intorno… Solo ora noto il mascara con cui si è perfettamente truccata le ciglia. Sono imbarazzata per aver fatto una simile domanda: se si allena ogni giorno, va in metropolitana, cresce un bambino e si trucca così bene, certo anche viaggiare all’estero per lei non deve essere una cosa impossibile.
In strada splende il sole. Siri dice che ci sono 21 ºC. Un clima ideale per una passeggiata o un picnic, ma non per una “corsetta” di 21 chilometri.
Per la mezza maratona si sono date appuntamento non meno di 30 mila persone da tutto il mondo. Della musica da orchestra interrompe gli slogan di chi tifa.
“Dopo 19 chilometri ho iniziato a sentirmi stanca”, ricorda Elena. “Tuttavia, un amico comune mio e della leader ci ha urlato: ‘Forza, forza! Sono rimasti solo due chilometri!’. E questo è stato l’incentivo per correre fino alla fine”.
In futuro, Elena prevede di partecipare a una maratona intera (42,195 km), preferibilmente a Berlino o Parigi. Secondo lei, è molto più interessante andare in un’altra città per gareggiare che non uscire la sera. Si sta anche preparando per una gara di triathlon e vuole completare una corsa ciclistica a tappe di 1.500 km.
In contrasto con questi piani ambiziosi, Elena riceve continuamente domande assurde, quasi peggiori delle mie: per esempio perché cammina senza un cane guida, perché non ha ancora eseguito l’operazione, perché la lasciano uscire da sola di casa…
“Le persone in metropolitana, vedendo che uso un iPhone con il display oscurato, dicono costantemente qualcosa tipo: “Sta cercando un tasto?”, oppure “Il suo telefono è spento, la batteria deve essere scarica.” Devo spiegare che è tutto a posto, economizzo sulla batteria, tanto lo schermo non mi serve, e l’assistente vocale mi dice tutto quello che succede”, si lamenta Elena.
E di nuovo mi sorge spontanea una domanda stupida: userà mica Instagram? Pubblica forse le immagini della maratona? Lena tira fuori un iPhone con le cuffie aggrovigliate e armeggia sullo schermo con le dita. Mi invia un link al suo profilo, a cui ha dato il nome di Snork Maiden, un personaggio dei Mumin.
“Che lo si voglia o no, succede che, basandosi su una singola persona, la gente spesso trae conclusioni su tutti gli altri ‘simili’. Con i gruppi di disabili questo fenomeno è molto forte. Basta che conoscano una persona cieca che non esce di casa e immediatamente immaginano che tutti i non vedenti siano così”, dice la maratoneta.
“Tu sei come le persone vi vedono con la tua forma di disabilità. Nel mio caso, quello che faccio non è solo uno spreco di tempo e fatica. Questo è il modo per creare una società inclusiva, e per fare in modo che ci siano meno domande stupide sui ciechi”, conclude Elena.
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