“Che il tempo si fotta!” Perché i russi non amano fare due chiacchiere di cortesia

Aleksandr Kislov
In America lo small talk è di regola. Mentre siete in fila in un negozio, o di fronte al barista o alla cassiera scambiarsi qualche parola sul meteo o sul prossimo weekend è la norma. In Russia no!

L’ultima volta che sono andato in America, mi sono fermato a bere un caffè in un bar. Mentre aspettavo lo scontrino del pagamento con la carta, la donna dietro il bancone mi ha sorriso e mi ha detto: “Che programmi ha per il fine settimana?” 

E io ho risposto: “Uh, non so”. 

“Il tempo è bello, eh?” 

“Certo,” ho risposto. 

Questo è un esempio di quello che in inglese chiamiamo “small talk”, le piccole chiacchiere di cortesia per riempire i tempi morti. È la versione orale del tamburellare con le dita. 

Un tentativo di fare due chiacchiere di cortesia in Russia

Tornato in Russia, ho incontrato la mia amica Elena per un caffè. 

“Perché hai scritto in uno dei tuoi ultimi articoli che, se sei amichevole con loro, i russi si spaventano e pensano che li ucciderai e li mangerai?”, mi ha chiesto.

“Perché è così! Se provi ad attaccare bottone per fare due chiacchiere…”

“Non è vero!”, ha detto.

“Sì che lo è! Specialmente se lo fai con gli estranei.” 

Lei ha scosso la testa e alzato gli occhi al cielo. 

“Intendo, per esempio, quando sei in fila al negozio. Come reagiresti se uno sconosciuto iniziasse a parlarti a caso di qualcosa di banale, se iniziasse a raccontarti della sua giornata, o ti dicesse quanto gli piace la tua camicetta, o si mettesse a discutere del tempo.” 

“Nessuno lo farebbe mai,” ha detto. 

Ho riso. “Oh, oh sì, in America lo fanno.”

Mi ha guardato, sospettosa, come se avessi appena detto: “Sai, in America, la gente mangia le proprie dita dei piedi con il ketchup”. 

Il fatto è che, l’unica volta in cui uno sconosciuto mi ha detto volontariamente qualcosa per le strade della Russia, è stata una anziana cieca che mi ha gridato: “Oh, non sei un bel ragazzo”, prima di voltarsi verso uno spazio completamente vuoto a fianco a me dicendo “…e neanche tu!”. 

Cosa pensano i russi dello small talk 

Ho chiesto ad alcuni russi cosa pensassero delle chiacchiere di cortesia e ho ottenuto risposte come: 

“Personalmente odio chi lo fa: perché mai mi stanno parlando? Sono davvero interessati al mio umore? Non possono guardare le previsioni del tempo su internet? Vorranno chiedermi qualche favore? Che se ne vadano o mi dicano quello di cui hanno bisogno senza giri di parole!” 

O: 

“I russi non vedono davvero la ragione di parlare di cose ovvie e banali, è solo noioso e non fa parte della nostra cultura”. 

Un altro russo con cui ho parlato ritiene che la geografia influenzi le chiacchiere: “Incide molto”, ha detto. “Penso che tutto dipenda dal tempo: semplicemente non è un buon argomento di discussione in un posto dove vedi solo neve e oscurità per otto mesi. Puoi parlarne all’infinito dove splende il sole tutto il tempo e il vino costa poco.” 

Il verdetto sembrava triste. 

Ma non volevo solo registrare passivamente cosa pensassero i russi di questo argomento. Desideravo sperimentare un po’. Così ho deciso di uscire e provare ad attaccare bottone con degli sconosciuti. C’è un negozio in fondo alla strada con un piccolo bar in cui prendo il caffè al mattino. I gestori mi conoscono, ma ho deciso che questa volta avrei detto a uno di loro “Ciao amico mio” e all’altro “Come va?”. Chiaramente non mi aspettavo nessuna risposta, che in effetti non c’è stata. Così, mentre aspettavo il mio caffè, mi sono rivolto all’uomo dietro al bancone e gli ho detto in russo: “Che tempo oggi, eh!”

Mi ha guardato accigliato, poi ha guardato alle mie spalle la pioggia pungente e i marciapiedi ghiacciati della San Pietroburgo primaverile e ha detto:

“Che si fotta il tempo!” 

“Stai parlando con me?” 

Questo invece l’ho fatto alla presenza del mio amico Ivan in un bar. La signorina dietro il banco mi aveva appena consegnato il mio macchiato e io le ho detto: “Sarà un bel fine settimana, ha qualche piano per il weekend?”

Lei mi ha ignorato senza battere ciglio e io mi sono voltato, vedendo un Ivan cupo, che un po’ spaesato mi ha chiesto “Stai parlando con me?”.

“No! Stavo cercando di fare due chiacchiere, sai… con la barista.”

“Ma tu non hai una ragazza?” 

“Che cosa? Sì! No, solo due chiacchiere, sai, parlare di qualcosa di completamente inutile per il gusto di conversare.” 

Ci ha pensato un po’ su e poi, mentre tornavamo verso casa mia, ha detto: “A volte vorrei che si facessero anche qui due chiacchiere a vuoto; i miei amici o stanno zitti o parlano sempre di cose filosofiche.” E poi ha aggiunto, “Ma a volte capita. In un negozio l’altro giorno stavo per dimenticarmi di comprare un accendino e la donna dietro al bancone mi ha detto che per tutta la mattina, prima di venire al lavoro, ne aveva cercato uno e non riusciva a trovarne uno che funzionasse e credeva ormai di essere vittima di una maledizione.” Poi Ivan mi ha chiesto: “È davvero comune in America chiacchierare in questo modo?” 

Ho detto: “Sì, specialmente nel Sud. E molto spesso, nei negozi, si parla del tempo che fa, delle notizie principali o di qualche sciocchezza.”

“Forse, così le persone sole possono nascondersi meglio. Se parli sempre, come fai a sapere chi è solo?”. 

Grandi chiacchiere profonde 

Se esistono russi che amano lo small talk, allora io non li ho incontrati.

Al contrario, ai russi piacciono le grandi profonde conversazioni e a volte molto personali: è facile incontrare un russo, specialmente sul treno o in un bar, che ti racconti tutta la sua vita in qualche ora. 

Mi sono imbattuto in questo caso nella mia ricerca di small talk, nello squallido Pushkin Bar. Stavo scegliendo che birra bere. C’era solo un altro uomo nel locale, oltre al barista, e si è fermato al banco e mi ha fissato. Ora, in America, avrei potuto rivolgermi a lui e dire “Come va?” E lui avrebbe annuito, sorriso e detto qualcosa come “Non male, non male, anche il tempo è buono”. E io avrei risposto: “Yeah.”

Ma quando mi sono rivolto a quest’uomo, che in seguito (molto più tardi) ha saputo che si chiamava Tim e ho detto: “Come va?” È successo qualcosa di molto diverso. 

Cinque ore dopo ero seduto alla festa di compleanno del migliore amico di Tim in un “bar sovietico”. Sapevo che il padre di Tim era stato un generale nell’esercito e che molte persone in città rispettavano la sua famiglia per via di suo padre. Sapevo che Tim sapeva recitare Shakespeare, e lo ha fatto, e che sua madre aveva lasciato suo padre quando era molto giovane e si era trasferita in un altro appartamento e che suo padre ora era morto. Sapevo che viveva ancora con sua madre e che sicuramente a lei io sarei piaciuto e sicuramente sarei stato il benvenuto a cena e ospite per la notte. “Oh, a proposito, mi chiamo Tim”, ha detto dopo qualche ora di monologo. 

Il fatto è che lo small talk non è un modo di parlare con qualcuno, sono chiacchiere fini a se stesse, senza profondità e senza scopo. Sono come una goffa danza liceale negli ultimi trenta secondi di una brutta canzone senza ritmo. Sono noiose, e i russi tendono a essere tutt’altro che noiosi. Più tardi, mentre camminavo per la strada con un Tim sbronzo, aveva appena cominciato a raccontarmi del suo periodo a New York, quando siamo stati fermati da una donna anziana.

“Mamma!”, ha gridato lui.

“Questa è mia madre”, mi ha detto. 

La donna mi ha fissato e poi ha afferrato Tim per la giacca. 

“Sciocco, ma cosa fai in giro con questo freddo? E sei ubriaco!!”, lo ha sgridato, avvolgendogli poi la sciarpa attorno al collo. Tim ha ondeggiato un po’, prima di liberarsi per andare a vomitare in un mucchio di neve lì vicino.

Ho guardato sua madre, lei ha guardato me. 

Mi sentivo a disagio. Ho detto, “Che tempo, eh!?” 

Lei si è accigliata: “Ma che si fotta il tempo!” 

Benjamin Davis è uno scrittore americano che vive in Russia ed esplora vari argomenti, da quelli più  frivoli a quelli più  profondi, attraverso conversazioni con i russi. Se avete qualcosa da dire o se volete che Benjamin esplori un particolare argomento, scrivetecelo nei commenti qui sotto o su Facebook.

 

Ma insomma, cosa pensano davvero i russi di Trump? 

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