È un fredda mattina d’inverno. Sto andando verso una famosa palestra di boxe nella parte nordorientale di Mosca, il club Kitek. È un posto alla moda, con oltre 240 mila follower su Instagram. Inconsciamente, mi aspetto di trovare qualcosa di glamour, invece la strada mi porta in una cupa zona industriale fatta di hangar e magazzini. Guardo dubbioso il navigatore sul telefono, pensando che menta. E invece no, è proprio il percorso giusto per il popolare club pugilistico, e passa attraverso il territorio di un mercato ortofrutticolo, dal quale continuamente escono grandi furgoni carichi.
Evitando con attenzione i facchini con carrelli e cassette, finalmente mi imbatto nell’edificio industriale a un piano, sul portone del quale è appeso il cartello BK Kitek.
Appena il tempo di superare la soglia d’ingresso, e il naso è invaso immediatamente dall’odore pungente di sudore maschile, calzini sporchi e scarponi lungamente usati. Uno dopo l’altro nella palestra mi appaiono volti cupi di diversi ragazzi dall’aspetto caucasico.
Ho la sensazione che la palestra sia molto simile al luogo dove si allenava il personaggio di Sylvester Stallone nei film della serie “Rocky”. Ricordate, come là il pugile italo americano, uno sconosciuto, si batte ogni fine settimana sul ring “per la pagnotta” e all’improvviso gli si presenta l’occasione di cambiare la sua vita e combattere contro il campione del mondo? L’energia che si respira in questa palestra è tale che è facile sentirsi parte di quel film. E sembra che qualcosa di simile lo provino pure i ragazzi che se le danno di santa ragione tutto attorno a me. Qui c’è tutto quello che serve per diventare dei veri campioni: dai sacchi da pugilato di tutti i tipi e pesi agli avversari di ogni livello, dai novizi assoluti ai professionisti, e un durissimo allenatore, che sa sempre cosa dire, e parla dritto in faccia, dicendoti cosa fare per migliorare.
Ed eccolo questo allenatore, per il quale qui arrivano folle di giovani con il sogno di sfondare nell’olimpo della boxe. È una bionda, classe 1979, con il tatuaggio di un bulldog sul polso destro. Gli indiani d’America, lo considererebbero il suo totem. Svetlana Andreeva resta incredibilmente femminile, pur essendo pragmatica come un uomo.
Ha labbra e sopracciglia ben scolpite e sotto il cappellino da ragazzaccio spuntano ciocche di capelli con le mèche e pendono orecchini con gemme blu.
Svetlana ci incontra in uno stanzino di due metri per due. Attorno a lei, cibo da fast food, pizze, pirogì dell’Ossezia, khinkali. Dice di non avere né tempo né voglia di cucinare a casa.
Le pareti dell’“ufficio” della più famosa pugile russa (ha circa 110 mila follower su Instagram) sono ricoperte dalle medaglie vinte e dai cartelloni degli incontri dei più famosi boxeur del nostro tempo: Vasil Lomachenko, Manny Pacquiao, Miguel Cotto, Saúl Álvarez “El Canelo” e così via.
Vicino a Svetlana ci sono i suoi più stretti collaboratori: diversi pugili inflessibili che allenano i ragazzi della palestra (il flusso di clienti per la donna allenatrice è così grande che tutti combattono spalla a spalla, ed è necessaria un’intera squadra di aiutanti per seguire tutti). Lei si gira continuamente tra le mani uno stecchino da denti e all’inizio ci guarda con un certo sospetto.
Il suo percorso sportivo iniziò negli anni Novanta, subito dopo che gli spettatori sovietici e della nuova Russia indipendente avevano conosciuto Bruce Lee, Jean-Claude Van Damme e Jackie Chan.
Svetlana era ancora una bambina quando iniziò a combattere. Un scelta che prese da sola. Tutto iniziò a 11 anni con il Taekwondo, e in seguito alla maestria nella lotta con i calci, decise di voler aggiungere la capacità di battersi con le mani, per passare ai tipi di lotta professionistica, dove si potevano guadagnare dei soldi.
“All’epoca, come del resto adesso, ragazze nel mondo della boxe praticamente non ce n’erano. Bisognava allenarsi e battersi sul ring con i maschi. Verso il 2000 già mi ero trasferita a Mosca e non potevo più pesare sulle tasche dei miei. Bisognava risolvere il problema dei soldi, e visto che gli sportivi di professione allora non ricevevano né uno stipendio né una borsa di studio, iniziai a combattere per soldi per il divertimento del pubblico”, racconta Svetlana.
I suoi primi incontri “commerciali, la ventenne li tenne nel club Tropikana, nel pieno centro di Mosca, sulla Arbat.
“Pagavano in modo favoloso per quei tempi: 200 dollari a incontro. Per fare un paragone, allora si poteva prendere in affitto un piccolo appartamento a Mosca per 100 dollari. Per questo due o tre volte al mese, e sempre nei giorni festivi, salivo sul ring e mi guadagnavo i soldi per mantenermi”, prosegue Svetlana.
Erano combattimenti senza regole legate alle singole discipline di lotta (alcuni anni dopo, questo tipo di incontri, grazie alla Ufc, l’ Ultimate Fighting Championship, avrebbero dato vita alla categoria dell’Mma, le Arti marziali miste).
“Toccò anche combattere per strada. Ma qui di bei racconti non ce ne sono. Per una di queste risse arrivai a un passo dal carcere. Divenne chiaro che non sempre gli uomini si comportano ‘virilmente’. A volte, dopo averne prese da una ragazza, correvano a far denuncia alla polizia”, racconta Svetlana.
Le circostanze, a quanto racconta, erano assolutamente comuni, di quelle in cui può imbattersi qualsiasi persona in qualche fase della vita.
“Per esempio, una volta, durante le festività di maggio, siamo andate a fare gli shashlyk in campagna e ci è piombato addosso un gruppo di ubriachi del posto. Hanno iniziato a infastidire mia sorella, volevano fare conoscenza, bere assieme ecc. Lei diceva di no, ma loro non volevano capire l’antifona. Così intervenni io. Uno di quegli ubriaconi mi dette una spinta e iniziò a offendermi. Io lo avvertii di non farlo di nuovo, ma quando lui alzò di nuovo le mani nei miei confronti, lo stesi con un pugno in faccia”, racconta Svetlana.
Allora lui, con i suoi amichetti, corse all’ospedale, dove gli misero a posto la mandibola e poi dalla polizia dove sporse denuncia per lesioni personali gravi.
“La mia reazione alla vicenda non fu per niente seria. Ma come; un maschio denuncia una ragazza alla polizia? Dice che lei gli ha spaccato la mandibola? In Russia? Tutto questo mi sembrava semplicemente surreale, fino al momento in cui sul treno, durante un viaggio verso una competizione, la polizia mi fermò dicendo che ero nella lista dei ricercati federali”, ricorda la ragazza.
Da quel momento cominciò un periodo difficile della sua vita, che terminò solo per una coincidenza di circostanze: si arrivò al giudizio solo dopo che il reato era caduto in prescrizione. “Sono stata fortunata che durante quel periodo della mia vita ero sempre in viaggio da una parte all’altra del Paese per degli incontri. Altrimenti, sarei finita probabilmente in galera per aver picchiato un ragazzo ubriaco “, dice.
Già da diversi anni Svetlana allena uomini nel suo club di pugilato. Dice che i ragazzi vengono e seguono ciecamente tutte le sue indicazioni, perché hanno con cosa confrontare gli allenamenti.
“Possono esserci sfiducia e diversi ‘malintesi’ all’inizio. Ma quando una persona viene da altri club e formatori pseudo esperti, si rende conto che quello che trova in questa palestra è esattamente ciò che stava cercando. Fortunatamente, c’è una pagina Instagram, dove posso mostrare le mie capacità di coaching e rispondere per le rime a leoni da tastiera e falsi esperti. Tanti vedono quelle risposte e decidono di venire qui ad allenarsi”, racconta la ragazza.
A quanto dice, i due profili Instagram sono cresciuti fino a 240 e 110 mila follower senza aiutini. “Se i contenuti sono interessanti, le persone seguono il profilo e poi vengono pure in palestra”.
Adesso il suo club, come dicono i russi, “è così pieno che una mela non avrebbe un posto dove cadere”. Aggirandosi per la palestra sembra di poter beccare inavvertitamente un pugno da qualche direzione, tanto fitti sono in ogni metro quadro combattimenti e allenamenti.
Ma non sono forse proprio la più dura concorrenza e l’allenamento quotidiano a far diventare campioni?
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