Mollo tutto e mi rifaccio una vita: perché tanti russi fanno downshifting

Lifestyle
KSENIA ZUBACHEVA
Colpa del clima? Delle facce grigie in metropolitana? Dello stress della vita moderna? In tanti scelgono di mettere in affitto il proprio appartamento e di andarsene. Su qualche spiaggia da sogno o nel profondo della campagna russa o della foresta siberiana

La “semplicità volontaria” (o downshifting, per dirla all’inglese), ovvero l’autoriduzione dell’impegno lavorativo, e del salario, per avere più tempo libero per sé stessi, non è una novità in Russia. Lo stesso Lev Tolstoj ne era un cultore. E basta guardare queste foto per capire quanto fosse hipster. Ma certo, la tendenza è diventata più diffusa da quando la cultura consumistica ha rafforzato la sua presa sulla società post sovietica. I russi, che hanno iniziato ad aderire a questa tendenza globale negli anni Duemila, all’inizio sognavano principalmente di condurre una vita semplice vicino alla spiaggia in luoghi come l’India e la Thailandia, dove il costo della vita è più economico che in patria.
Già nel 2008 i sondaggi mostravano che quasi il 30 per cento dei russi preferiva inseguire la realizzazione di sé piuttosto che le ambizioni di carriera, se avessero avuto la possibilità di scegliere. Il freddo, le facce scontrose sulla metropolitana, lo stress, uno stile di vita malsano e una routine frenetica… questi sono solo alcuni dei motivi citati per giustificare la voglia di mollare tutto e andarsene da qualche altra parte.

“C’è stato un tempo in cui i russi avevano grandi aspirazioni materiali e di carriera, ma poi sono stati colpiti dalla crisi. Pochissimi hanno realizzato il sogno di arricchirsi e il resto è rimasto deluso e stanco. La maggior parte dei russi non considera il lavoro quotidiano in patria come qualcosa per cui vivere, ma piuttosto qualcosa con cui sopravvive. Quindi sono pronti a sacrificare il loro status sociale per il privilegio di una vita hic et nunc”, spiega Oksana Dombrovskaja, che di mestiere fa la life coach.

Vero e falso downshifting
Coloro che hanno deciso di “scalare la marcia” sono spesso professionisti di successo che mettono in affitto i loro appartamenti in città e che, grazie a quella rendita, possono permettersi di vivere in un altro Paese. Una volta partiti, o iniziano a lavorare come freelance a distanza o si trovano un lavoretto nella loro nazione adottiva: chi fa l’istruttore di surf, chi di yoga, chi di meditazione.

“Il vero downshifting è quando una persona di successo e già arrivata decide di agire contro le consuetudini, a favore di libertà e creatività”, dice Aleksander Doroshenko, uno psicologo russo. “Il falso downshifting è quando una persona, che in realtà non è nessuno ed è quasi orgogliosa di questo, predica il rifiuto di ciò che non possiede.”
Ci sono molte storie di persone che non avevano nulla in patria e che semplicemente sono andate all’estero in cerca di un’opportunità. Sono insomma più emigranti che downshifter. Quelli con più spirito imprenditoriale hanno poi iniziato a offrire lezioni di life coaching e di ritiro spirituale a turisti occidentali (e soprattutto russi) in Asia.

Le difficoltà e i sogni infranti
La crisi economica del 2014-2015, e la conseguente svalutazione del rublo, hanno reso più difficile la vita dei downshifter russi. Alcuni hanno deciso di tornare a casa dopo che i loro fondi si erano esauriti. Non sono mancate le brutte sorprese. Ad esempio, una famiglia che tornò in Russia dalla Thailandia dopo la caduta del rublo nel 2014 trovò l’appartamento che aveva dato in affitto praticamente distrutto dagli inquilini.
Un’altra storia più tragica è accaduta a Podolsk (una quarantina di chilometri a sud di Mosca) due anni fa: un uomo ha ucciso i suoi due bambini e ferito gravemente la moglie, a causa dei problemi che la famiglia ha dovuto affrontare mentre cercava di rifarsi una vita dopo il rientro in patria.

Tuttavia, nonostante le difficoltà finanziarie e altre sfide (l’ambiente culturale diverso, la burocrazia, le barriere linguistiche e la nostalgia per i familiari lasciati a casa, per citarne alcune) non tutti i downshifter sono tornati in Russia. Molti sono rimasti, hanno trovato nuovi modi per guadagnare soldi sul posto, o semplicemente hanno cambiato Paese. Altri hanno optato per una vita nomade, senza mai stabilirsi in un posto troppo a lungo.
“Quando lasci [la tua routine di casa] capisci che questa è la vita reale, che tutti questi Paesi sono nelle tue mani”, dice Masha Shults, una copywriter di 28 anni che ha viaggiato in più di 30 nazioni lavorando da remoto. “Se non hai un lavoro a distanza, puoi trovarne uno sul posto. Se non parli inglese, puoi facilmente impararlo mentre viaggi. Questo è quello che ho fatto io. La cosa fondamentale è partire.” Alcuni poi fanno del viaggio la loro fonte di reddito, scrivendo storie e filmando video, come la giovane coppia russa formata da Anastasia e Nikita Kuimov. Loro spiegano che per loro si tratta di perseguire uno stile di vita alternativo, piuttosto che di fare downshifting, perché in realtà da quando hanno iniziato a viaggiare lavorano ancora più duramente di prima. “È un modo di vivere più consapevole: inizi a valutare la tua vita non attraverso la quantità di denaro o il valore dei beni che possiedi, ma per le esperienze e i momenti che hai avuto, e per cose come l’opportunità di vivere al mare, di condividere i tramonti con la persona amata e lavorare quando vuoi.”

Utopia? I critici non mancano
Se ci sono molti che supportano questa tendenza, altri non sono così a favore. Lo psicologo Vladimir Vakhrameev pensa che il downshifting possa anche essere un indicatore del desiderio di una persona di rimanere un bambino, a livello psicologico.
“Quando non si vuole affrontare la dura realtà, si sceglie una realtà alternativa, un’utopia di fatto. Si va a Goa, a intrecciare braccialetti, usando droghe, ci si presenta come una persona amichevole e positiva quando in sostanza si è rimasti bambini, conservando tutta l’immaturità. Poi alcuni tornano dopo questa pausa, avendo capito che la vita in città, la famiglia e gli amici e le attività per adulti sono più importanti. Alcuni, invece, rimangono nel limbo di questa infanzia socialmente accettata”.
“Un altro fattore che i downshifter devono riconoscere è che in un altro Paese rimarranno per sempre degli outsider”, sostiene il blogger Alexbrainer che ha vissuto in Thailandia. “In un altro Paese, per quanto bello e interessante possa essere in termini di cultura e condizioni di vita, uno resta pur sempre un ospite. Questo vale non solo per l’India o la Thailandia - la lista potrebbe continuare all’infinito”, ha scritto.

Il downshifting in patria

“Il downshifting è un’esperienza che cambia la vita e che ti aiuta a scoprire talenti e desideri che sopprimeresti conducendo una vita normale”, sostiene Sofia Zolotovskaja, un’insegnante inglese che viaggia con suo figlio di cinque anni. “Ad essere onesti, ti cambia la vita. Senti di essere veramente vivo”.
Inoltre, negli ultimi anni, il downshifting ha acquisito nuovi significati e non richiede più di trasferirsi all’estero. Ora il termine può essere usato per coloro che semplicemente cambiano professione per dedicarsi a qualcosa che hanno sognato a lungo, e non per questione di status o di retribuzione. Come Alena, ex insegnante di inglese e redattrice, che alla fine è diventata ballerina. Si è trasferita a San Pietroburgo, è entrata alla prestigiosa Accademia Vaganova di Balletto e ora lavora a progetti di danza moderna. La paga non è molto alta ma Alena è felice: “Non voglio vivere in un altro modo. Questa è una storia di felicità. Altrimenti si scambia la libertà con il denaro”.
E ci sono anche quelli che la felicità la vanno a cercare nelle campagne della Russia, tra agricoltura e vita semplice. (Volete anche voi aprire un’azienda agroalimentare in Russia? Scoprite come fare). “Adesso sempre più persone lasciano le grandi città, ma non per coltivare patate come negli anni Novanta, quando molti hanno sperimentato la fame, e non per sdraiarsi su una spiaggia in Thailandia come negli anni Duemila, quando molte persone si erano stancate di stare in questo Paese, ma per il desiderio di trovare un senso alla propria vita”, afferma Ksenia Galaktionova, organizzatrice di eventi di San Pietroburgo che si è trasferita in campagna (a 170 chilometri dalla città) con la sua famiglia. “Per soddisfare questo desiderio, le persone iniziano ad andare nella campagna russa, che ha tutto: terra che può nutrirli, significato spirituale e radici profonde. Inoltre, c’è l’opportunità di lavorare e avviare un’impresa che può essere ereditata dai tuoi figli, al contrario di qualsiasi lavoro d’ufficio.”
E infine c’è la storia di una coppia siberiana che ha deciso di cambiare radicalmente la propria esistenza, rinunciando alla vita urbana e andando a vivere in una capanna nella taiga.