La morte del fondatore di Playboy Hugh Hefner ha spinto molti a parlare della sua eredità e del suo impatto sul mondo dello spettacolo, un po’ in tutto il mondo. Ma nella società russa la rivista da lui fondata ha avuto un ruolo davvero speciale.
Niente sesso, siam sovietici
Negli Stati Uniti, la morte di Hefner ha guadagnato le prime pagine, e anche in Russia della sua morte si sono occupati sia i media liberali che quelli conservatori.
Alcuni commentatori hanno elogiato il suo atteggiamento aperto verso il sesso, impensabile ai tempi estremamente moralisti dell’Unione Sovietica, altri lo hanno accusato di aver giocato, con la sua rivista, un ruolo non secondario nella distruzione dei valori morali del Paese.
Se il pubblico della Russia profonda fino agli anni Novanta non conosceva nemmeno il nome di Hefner, quasi tutti in Unione Sovietica conoscevano invece il nome della sua rivista.
Proprio come la maggior parte delle riviste straniere, Playboy non era disponibile in Unione Sovietica e solo alcuni ricercatori di sociologia e di altre scienze sociali potevano ottenerlo con permessi speciali nei dipartimenti di biblioteche specialistiche.
Tuttavia, il nome della rivista era spesso citato nelle pubblicazioni satiriche sovietiche come esempio dello “stile di vita occidentale marcio e corrotto”. Nel 1972, la pubblicazione del ministero dell’educazione sovietica “Lotta ideologica e cultura moderna” scriveva che Playboy era diventato una pubblicazione di successo perché era in grado di “stimolare la sensazione di lussuria tra i suoi lettori”.
Un sacco di lettori famosi
È interessante notare che i detrattori sovietici spesso non menzionavano Playboy con il suo nome, ma russificandone la testata in “Povesa”. Una parola presente nel famoso capolavoro di Aleksandr Pushkin, “Eugenio Onegin”. Onegin, un giovane nobile, viene appunto definito nel poema “povesa”, ovvero playboy.
Anche ai tempi dell’Urss, la rivista aveva un sacco di fan, tra cui il noto scrittore sovietico Vasilij Aksënov (1932-2009), che aveva accesso a Playboy grazie all’aiuto di un diplomatico statunitense.
Lo scrittore ha anche scritto in uno dei suoi libri, di aver cercato anche lui di trovare l’equivalente in russo per la parola Playboy, ma che gli era venuto solo “stiljaga”. Parola che era usata per identificare quei giovani dandy che amavano più vestirsi bene, ballare e bere, che lavorare duro in una qualche fabbrica di macchine utensili.
Tuttavia, mentre Aksënov, uno scrittore dissidente, che ha trascorso quasi 20 anni di emigrazione, avrebbe potuto diventare testimonial per Playboy, alcuni degli ammiratori della rivista provenivano da un contesto totalmente diverso e inaspettato.
Il famoso fisico sovietico Pëtr Kapitsa addirittura si abbonò a Playboy. Tuttavia, secondo i documenti del Kgb, la polizia segreta sovietica, le riviste inviate a un amico di Kapitsa negli Usa furono confiscate dalle autorità dopo che questi cercò di spedirle a Kapitsa in mezzo a un pacco di pubblicazioni scientifiche.
Il nome di Playboy poté iniziare a circolare solo con la politica di apertura di Mikhail Gorbachëv, e Garry Kasparov, il noto campione di scacchi, fu il primo cittadino sovietico a essere intervistato da Playboy, nel 1990. Un anno prima della sincera intervista di Kasparov a Playboy, un altro cittadino sovietico era apparso sulla copertina della rivista. Era Natalja Negoda, la star del film più famoso dell’epoca della perestrojka, “La piccola Vera” del regista Vasilij Pichul (1961-2015), una storia di una teenager in lotta con i suoi rozzi genitori in una remota città russa, primo film nella storia sovietica a contenere una scena di sesso.
Il Playboy àla russe
L’amata creatura di Hugh Hefner, Playboy, è arrivata in Russia solo nel 1995, troppo tardi per far colpo sui russi, che a quel punto erano già a conoscenza di tutti i frutti proibiti della cultura occidentale.
Ma Rem Petrov, ex direttore dell’edizione russa di Playboy, ha sottolineato che la rivista patinata era molto più che corpi nudi: “Playboy Russia è riuscita a fornire esattamente ciò che il suo creatore americano aveva promesso nel motto: intrattenimento per gli uomini. Scritta in modo intelligente, ben progettata e illustrata, ha aperto una nuova era per le riviste maschili di matrice occidentale in Russia. Men’s Health, GQ, Esquire, sono tutti sono venuti dopo; Playboy è stato chiaramente un pioniere”, ha detto a Russia Beyond.
Il critico poetico e letterario Vladislav Vasukhin ha detto a Russia Beyond che, a suo avviso, per il pubblico russo “Playboy era più un modo di dire che una rivista. Un cliché, codificato dall’espressione ‘apparire su Playboy””.
Vasukhin ha affermato che durante quel periodo preferiva leggere il settimanale russo Ogonjok o Novij Mir, una rivista letteraria in lingua russa, invece di Playboy. Ironia della sorte, alcuni lettori russi di Playboy, scherzando, chiamavano il Playboy russo proprio “Novij Mir con contenuti di sesso”, perché il suo primo direttore, il critico musicale Artëm Troitskij era noto per pubblicare giornalismo di qualità e racconti di famosi scrittori russi.
In un’intervista con la rivista “Republic magazine” del 2010, Troitskij stesso ha confessato che, volendo che il Playboy russo contenesse storie di qualità, resistette anche agli standard delle Playmate stabiliti da Hefner. “Penso che sia un peccato sparare le donne con tette di silicone su Playboy. Era una politica guidata da un uomo solo, Hugh Hefner, e io ho resistito come ho potuto. Ma è difficile battersi con Pamela Anderson”, ha detto.
Durante la direzione di Troitskij, anche una giovane studentessa di giornalismo è finita su Playboy, la bionda Dana Borisova, figlia di un ufficiale di polizia di Norilsk, nella Siberia Occidentale e di una casalinga. Sembrava una delle ragazze di Hefner, ma senza seno rifatto.
Playboy dette alla Borisova la spinta nella carriera che stava sognando: “Tu starai seduto in pantofole con tua moglie su un divano sfondato mentre io sarò già una stella”, aveva scritto con rabbia al suo ragazzo dei tempi dell’università un anno prima dei suoi scatti su Playboy. Forse Hefner avrebbe amato queste parole.
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