Si poteva possedere un’azienda in Unione Sovietica o l’impresa privata era completamente vietata?

Russia Beyond (Foto: Sputnik; B.Kolesnikov/Sputnik; Nikolaj Nikitin/Tass)
Come ha fatto un Paese che disprezzava il commercio e la proprietà privata a produrre (carenze dell’ultimo periodo a parte) tutto ciò di cui milioni di persone avevano bisogno? È vero che il business in quanto tale non esisteva in Urss? Chi c’era dietro ai numerosi negozi, botteghe, atelier e altre piccole imprese? E cos’erano gli artel? Diamo un’occhiata più da vicino al mondo imprenditoriale sotto il comunismo

I commercianti sono sempre esistiti in Russia: nelle città in passato erano chiamati “lávochniki” (“bottegai”) e “kuptsý” (“mercanti”), nei villaggi invece “korobéjniki” (“mercianti”; “ambulanti”), perché vendevano “iz kóroba”; ”dal corbello”.

Mosca, 1921-1925, venditori ambulanti in piazza Smolenskaja

La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 mise fine per un po’ al commercio privato. I bolscevichi dichiararono che gli imprenditori di ogni tipo erano un relitto del sistema borghese contro cui avevano combattuto con tanto accanimento. Ma il divieto non durò a lungo.

Si poteva avere un proprio business in Unione Sovietica? 

Il mito diffuso secondo cui il commercio privato era totalmente vietato sotto i comunisti è vero solo in parte. Se parliamo dell’intero periodo di circa settant’anni della storia sovietica, risulta che anche sotto il regime bolscevico gli imprenditori hanno avuto una loro “età dell’oro”. E non accadde molto tempo dopo l’instaurazione del sistema comunista.

 Requisizione del grano, 1920 - 1924

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Afflitta dalle rivoluzioni e dalla Guerra civile, la Russia sovietica si trovò ad affrontare crisi industriale, carestie, disoccupazione e criminalità diffusa. La decisione di risollevare il Paese dalla rovina fu presa con l’aiuto delle riforme: con l’avvio della cosiddetta Nuova Politica Economica. La Nep (dal russo: “Nóvaja Ekonomícheskaja Politika”) non solo permetteva l’impresa privata, ma prevedeva anche agevolazioni ed esenzioni fiscali. Le autorità dovettero temporaneamente chiudere un occhio sulle contraddizioni ideologiche pur di rilanciare rapidamente l’economia, prima che il popolo si ribellasse. 

Ad esempio, un agricoltore poteva ora vendere il grano rimasto dopo aver pagato un’imposta. Era un forte incentivo a produrre di più.

 Venditori di salsicce al mercato di Sukharev, 1922

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Fu abolito anche il decreto sulla completa nazionalizzazione dell’industria: un imprenditore privato poteva ora possedere piccole imprese, raccogliere capitali stranieri, prendere in affitto grandi imprese dallo Stato o dare in affitto le proprie strutture. In totale, un imprenditore poteva impiegare fino a 100 persone. Invece del pagamento in natura, i lavoratori iniziarono nuovamente a essere pagati in denaro. Per questo i bolscevichi ripristinarono persino il sistema bancario. Anche la pratica dello scambio senza contanti e del baratto tra città e campagna cedette alle regole del mercato. I cosiddetti “nepmany” (gli “imprenditori della Nep”) erano attivamente impegnati a rivendere i prodotti delle campagne nelle città e i beni industriali nei villaggi.

E molti artigiani formarono anche delle associazioni dette “artél” (артель; al plurale: “артели”, “artéli”). E proprio l’artel divenne il motore dell’economia per molti anni.

Che cos’era l’artel? 

Un artel era un’associazione di artigiani che volevano conquistare una maggiore quota di mercato grazie allo sforzo comune. “All’epoca gli artel erano formati tanto da appassionati del loro mestiere quanto da persone attratte dall’odore del denaro. Il nuovo governo incoraggiava queste imprese, che saturavano il Paese con beni e servizi e davano lavoro a persone che avrebbero avuto difficoltà a trovare impiego nelle organizzazioni statali”, afferma Aleksandr Khrisanov, ricercatore dell’industria sovietica.

1934. Kaljazin, Regione di Kalinin. Le sarte della cooperativa Udarnik al lavoro per cucire alcuni abiti

I fondi dell’artel avevano come base la “skládchina”, ossia la “cassa comune” e la messa in comune dei mezzi di produzione. “Se, ad esempio, dei falegnami avessero allestito un artel, avrebbero portato ognuno la propria sega e il proprio martello e dei fondi. Se erano necessarie attrezzature complesse, venivano acquistate con prestiti bancari. Il denaro guadagnato veniva distribuito durante un’assemblea generale; non c’era un tetto massimo per i guadagni”, spiega Khrisanov. 

L’11 ottobre 1931 un decreto vietò il commercio privato. Questo decreto, tuttavia, non si applicava agli artel.

Chi gestiva il business in Unione Sovietica? 

Un artigiano esperto di intaglio del legno insegna ai bambini il suo mestiere. Studio di pittura Khokhloma, villaggio di Semjonovo, Gorkij (oggi, Nizhnij Novgorod). 1937

Alla fine degli anni Venti, il Paese annunciò l’avvio dell’industrializzazione a tappe forzate, ovvero lo sviluppo massiccio di imprese industriali. La crescita del capitale privato era ormai considerata più dannosa che utile al sistema sovietico, che si era consolidato. Ma l’artel si inseriva bene nel percorso verso il socialismo e il comunismo. Lo Stato decise di prendere gli artel sotto il suo controllo. 

“Tutti gli artigiani furono obbligati ad aderire ai sindacati di categoria, a presentare relazioni finanziarie e a calcolare i salari in base a un tariffario. Agli artel più numerosi fu ordinato di organizzare una sezione del Komsomol e una del partito”, racconta Khrisanov. A capo di questi artel vennero messi degli estranei al collettivo; funzionari del Partito e della nomenclatura. 

Nello stabilimento automobilistico Molotov di Nizhnij Novgorod, 1932

All’inizio degli anni Cinquanta, in Urss c’erano 12.660 artel industriali. Ma chi vi lavorava non si poteva certo definire un imprenditore. Lo Stato fissava i prezzi per i beni degli artigiani ed emetteva un piano per la quantità e il tipo di produzione da realizzare. Ad esempio, nel 1941 il Partito decise che i beni prodotti dagli artigiani degli artel non potevano costare oltre il 10% in più rispetto a quelli di produzione statale. Durante il periodo bellico furono emanati ben 6 decreti per stabilire quanto dovesse costare un cucchiaio di legno intagliato prodotto dagli artel per l’esercito! 

Cosa accadde alle cooperative di maggior successo? 

Con le nuove regole del gioco, molte aziende chiusero i battenti, mentre le cooperative di maggior successo vennero trasformate in imprese statali dalle autorità sovietiche. “Negli anni Trenta e Quaranta, gli artel rimasero solo in quei settori dove il partito e il governo permisero loro di operare”, dice Khrisanov. “Vi erano aree in cui non era redditizio creare organizzazioni statali. Ad esempio, nei teatri c’erano artel dei guardarobieri. E poi c’erano interi settori nei quali lo Stato organizzava vere e proprie fabbriche basate sul modello dell’artel”. 

Operai assemblano cannoni antiaerei in uno stabilimento negli Urali, 1942

Queste aziende producevano un gran numero di prodotti, anche tecnologicamente sofisticati. Per esempio, la fabbrica “Radist”, che produceva gli apparecchi televisivi sovietici, aveva un passato da artel. O l’artel “Primus”, che produceva armi automatiche per il fronte, fu trasformata in fabbrica solo nel 1944, e divenne totalmente statale. Durante gli anni della guerra furono i lavoratori degli artel a rifornire il fronte: cucendo cappotti, realizzando fusoliere per aerei, producendo munizioni o beni di consumo per le retrovie. Di fatto, tutti gli artel vennero posti agli ordini dello Stato, servendo la sfera sociale e occupandosi dei principali “cantieri del comunismo”. Il 60% dei loro profitti veniva dato allo Stato sotto forma di tassa, mentre il restante 40% veniva “reinvestito” per espandere la produzione, per dare bonus ai lavoratori o migliorare le loro condizioni di vita. 

Quando venne vietata qualsiasi forma di business in Urss? 

Ma anche per gli artel di maggior successo la vita era estremamente difficile. Erano capri espiatori per i funzionari del blocco economico. Le cooperative venivano regolarmente criticate, a volte per non aver raggiunto gli obiettivi governativi, a volte per la scarsa qualità, e a volte per non aver pensato agli interessi dello Stato. E la loro vita era resa sempre più difficile.

Nella fabbrica di cucito

Ecco come era la vita in uno degli artel del settore dell’abbigliamento: “Mia nonna divenne contabile in una fabbrica di cucito alla fine degli anni Quaranta e mi ha raccontato come doveva arrangiarsi con stoffa, filo e lana. Lo Stato forniva agli artel materie prime molto scarse, sulla base degli avanzi di magazzino. Così alcuni materiali, spesso rubati, dovevano essere acquistati in cambio di denaro al nero. L’artel guadagnava denaro contante vendendo prodotti non contabilizzati [rifiutati e scartati] nei mercati. E di tanto in tanto i presidenti degli artel venivano incarcerati per questi ’affari privati’”, spiega Khrisanov.

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Alla fine prevalse l’opinione che negli artel girassero troppi soldi. Nel 1960 furono vietate tutte le cooperative rimanenti (che non erano state nazionalizzate in precedenza), ad eccezione di quelle create dagli invalidi e dai minatori. Le conseguenze furono la stagnazione economica e la scarsità di bene di consumo, in quanto senza artel molte filiere produttive vennero distrutte. Da quel momento in poi ci fu un solo imprenditore nel Paese: lo Stato. 

Quando l’imprenditoria tornò a essere legale? 

Durante la perestrojka, negli anni Ottanta, comparvero per strada i “fartsovshchik”, ricettatori e venditori di merce occidentale: ragazzi che scambiavano merci straniere (sigarette, distintivi, penne, accendini, dischi, jeans, ecc.) con vodka sovietica, caviale, ecc. Queste merci venivano vendute ai sovietici al mercato nero con un forte ricarico. Spesso i fartsovshchik guadagnavano in una settimana più di quanto i loro genitori guadagnassero in un mese. Questa attività clandestina fu resa possibile dalla parziale apertura della cortina di ferro, sebbene fosse ancora illegale.

Togliatti. Beni confiscati agli speculatori 1989

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Nel 1986 venne approvata una legge che consentiva alle persone di guadagnare un reddito parallelo nel loro tempo libero dal lavoro statale. Tuttavia, questo poteva essere basato “solo sul lavoro personale dei cittadini e delle loro famiglie”, senza assumere dipendenti. È così che dare ripetizioni agli scolari o usare la propria macchina come un taxi privato divenne possibile nel Paese. Ma le cooperative erano ancora considerate come nemici di classe. Solo il 26 maggio 1988 venne approvata una legge che permetteva loro di svolgere qualsiasi attività non vietata dal codice, compreso ormai anche il commercio.


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