Cinema, il Non Amore di Zvyagintsev e quell'omaggio a Bergman

Director Andrey Zvyagintsev

Director Andrey Zvyagintsev

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Nel suo ultimo film “Nelyubov” (Non amore), il regista russo esplora il dolore familiare alla vigilia di un matrimonio ormai finito. E in esclusiva a Rbth racconta: “Mi piacerebbe che venisse confrontato con ‘Scene da un matrimonio’ di Ingmar Bergman”. Anche se le riprese non sono ancora finite, tutti i paesi europei l’hanno già acquistato per distribuirlo

Il regista Andrej Zvyagintsev. Fonte: APIl regista Andrej Zvyagintsev. Fonte: AP

Nel mercato del cinema di Berlino il nuovo fim di Andrej Zvyagintsev, “Non amore”, ha registrato un record di vendite: tutti i paesi europei l’hanno acquistato per distribuirlo.

“A Berlino sono stati firmati contratti con società inglesi, spagnole, danesi e finlandesi e sono stati venduti i diritti di distribuzione su tutto il territorio europeo. Restano solo da concludere alcune transazioni con società dell’Asia e dell’America Latina”, dice il produttore Aleksandr Rodnyanskij.

Tuttavia, i distributori non hanno visto nessuna scena della nuova opera del regista russo premiato ai festival di Cannes e Venezia. Il film non è ancora pronto e non si sa se Zvyagintsev riuscirà a ultimarlo entro la seconda metà di maggio. Si dice che la prima mondiale dovrebbe aver luogo al concorso principale del Festival di Cannes.

A illuminarci è lo stesso Zvyagintsev che in un’intervista concessa a Rbth racconta com’è nata l’idea del film e quali sono i suoi timori rispetto agli esiti.

Di cosa tratta il suo nuovo film?

È la storia di una famiglia che nella sua esistenza si trova ad affrontare un momento doloroso, la separazione tra moglie e marito. Io e lo sceneggiatore Oleg Negin, mio collaboratore da sempre, abbiamo pensato che potesse essere interessante esplorare la vita di una famiglia in crisi che dopo 10-12 anni di matrimonio si rende conto che non è più possibile convivere. Mi piacerebbe che questo film potesse essere confrontato con “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman. Lì in tutti i sei episodi della durata di 45 minuti a essere in scena solo due attori: Erland Josephson e Liv Ullmann e si rimane incatenati allo schermo. I due protagonisti riflettono sull’esistenza, dialogano. Lei, com’era di moda negli anni Sessanta, tiene un diario da cui legge a lui dei passi. E tutte le scene, prese nella loro totalità, sono la testimonianza di come la loro intelligenza, la capacità di analisi e lo spessore intellettuale non riescono a salvarli da una catastrofe terribile. L’idea di “Non amore” scaturisce proprio da qui.

In quale fase si trova la lavorazione di “Non amore”?

Entro la primavera le riprese dovrebbe essere già concluse, ma, ahimé, il tempo di Mosca ci ha costretto a modificare i nostri ritmi. L’azione del film si svolge a Mosca nella bella stagione. Abbiamo cominciato a girare in agosto e speravamo di ultimare le riprese entro la fine di ottobre. Ma verso la metà di ottobre ha cominciato a nevicare e la neve è rimasta. Così abbiamo dovuto congelare le riprese. Tutto questo, purtroppo, ci ha procurato una serie di difficoltà, ma non abbiamo il diritto di sforare sui tempi. Per questo ho dovuto occuparmi del montaggio, anche se finora non l’avevo mai fatto fino a riprese concluse. Monto sempre i miei film in modo consequenziale, dalla prima all’ultima scena, perché dal montaggio dipende il ritmo narrativo e il ritmo è la forma musicale di un film.

Dai suoi film si ha l’impressione che lei non sia uno di quei registi che lasciano molto liberi gli attori. È così?

Spesso gli attori amano tirare la coperta verso di sé e sovrastimare le proprie idee. Durante le riprese di “Leviathan” è successa tutta una storia quando per caso mi sono lasciato sfuggire che due personaggi del film avevano fatto il militare insieme per tre anni. “Ah, tre anni sotto le armi insieme… Allora questo cambia tutto!”, mi ha detto un attore. A quel punto l’ho provocato: “Va bene”, gli ho detto “Allora adesso giriamo due volte questa scena. Nella prima tu sai che avete fatto il militare insieme. Nella seconda lo ignori”. Le abbiamo girate e non c’era nessuna differenza. Questo non vuol dire che gli attori non debbano provare, esercitarsi. Devono farlo, certo. Ma tutto ciò che si esige da loro dopo che è stato dato il “ciak” è di essere credibili lì e in quel momento, senza pensare agli sviluppi del loro personaggio e a quello che gli accadrà due minuti dopo. In teatro un attore è un coautore a tutti gli effetti. Al cinema è tutt’altra storia. Io mi arrogo anche il diritto di non dare da leggere agli attori il copione per intero. Se dipendesse da me, gli darei solo le singole scene che si girano giornalmente.

Leì è sicuramente il regista russo più celebre oggi nel mondo. Per questo le capita a volte di venir definito da certi giornalisti russi un “regista da esportazione”. La cosa non la irrita? 

Cerco di non leggere niente, ma certo non riesco a isolarmi completamente. Una volta mi è capitato in onda durante un talk-show di essere accusato di non essere un regista russo perché a volte prendo posizioni contro il mio Paese, ma è una totale assurdità. E nello stesso talk show sono stato costretto a dichiarare che mi sento cittadino del Paese che prende il nome di cinema. Non ritengo che la categoria della nazionalità sia un tratto distintivo per il cinema. Proprio per questo motivo non m’interesso a quanto accade nel cinema russo così come in quello americano, francese o tedesco. Mi interessano i registi che fanno del buon cinema indipendentemente dalla scuola nazionale a cui appartengono. Ciò che distingue un regista di qualità è la sua dimensione universale. I suoi film verranno capiti in Russia, in America e dovunque. Il fatto che i miei film vengano accolti e compresi in Occidente dimostra che riesco a dialogare con spettatori di varie nazionalità usando la stessa lingua. Ciò a mio avviso è assai più importante che cercare d’inserirsi in categorie anguste ed essere fieri della propria “russicità”.    

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