Il cinema della Jakuzia: quattro film sottotitolati in inglese da vedere subito

Le pellicole di questa repubblica russa sono diventate un fenomeno internazionale; se ne parla nei festival di tutto il mondo. I registi jakuti hanno vinto una valanga di premi, ma al grande pubblico i loro film restano sconosciuti. È ora di colmare questo gap!

Il cinema della Jakuzia, la regione più fredda, e ora anche la più cinematografica della Russia, sta avendo un grande successo. I registi locali battono Hollywood al botteghino regionale, vantano numerosi premi dei festival internazionali, centinaia di migliaia e anche milioni di visioni in rete, come nel caso del film di guerra “Cheerin” (“Рядовой Чээрин”, 2021). C’è però un grosso problema: i loro film non sono doppiati, persino i film più visti su YouTube non hanno sottotitoli inglesi. Ma come sempre accade, ci sono delle eccezioni fortunate. Vi proponiamo 4 film che potete vedere subito, di cui uno ha ricevuto una nomination al premio Oscar. Preparatevi a vedere fantasmi, ruote panoramiche, trichechi e tanto altro!

1 / “Ferrum” / “Феррум” (2015) 

“Sakhawood”, come viene scherzosamente chiamato l’universo del cinema jakuto (“Sakhá è il nome in lingua locale della Repubblica), non delude il suo pubblico. La ricchezza dei generi è davvero hollywoodiana: commedie, horror, drammi. I film risentono anche dell’influenza del cinema asiatico. Per esempio, “Ferrum” è un dramma mistico che inizia come un thriller coreano tra raffinate inquadrature, suspense e risate.

Un giovane killer vestito lussuosamente interroga un suo ex collega per sapere dove questi abbia nascosto la cassa della gang. Non vuole sporcarsi le mani: ci sono altri due che, con visibile piacere, torturano lo sfortunato, tenendogli la testa sott’acqua e poi facendolo riemergere. Non volendo lo uccidono, prima che l’uomo confessi dove ha nascosto i soldi. Quel ch’è fatto è fatto, il protagonista si reca personalmente nella foresta per nascondere il cadavere. A questo punto, cominciano le diavolerie: strane visioni, strani compagni di viaggio. Quello che era iniziato come un thriller coreano, diventa un road movie alla Jim Jarmusch (“Dead Man”).

Gli jakuti sono tuttora legati alle loro radici pagane, per questo i loro film contengono spesso una dimensione mistica. Se nelle scene girate in città i personaggi di “Ferrum” parlano in russo, lingua della civiltà urbana, quando s’inoltrano nella foresta, passano alla loro madrelingua, perché la foresta vive secondo le proprie leggi primordiali. Persino le cose più banali,  nella foresta, assumono un significato particolare. Le caramelle, che il killer stressato continua a masticare, sono presagio di un imminente appuntamento con l’aldilà, la ferrovia (“ferrum” in latino significa appunto “ferro”) diventa metafora del destino.

Come la maggioranza dei film prodotti in Jakuzia, il primo lungometraggio del giovane regista Prokopij Burtsev ha avuto un budget bassissimo: “Ferrum” è costato soltanto 10 000 dollari!

2 / “Bonfire” / “Костер на ветру” (2016) 

Oggi Dmitrij Davydov è forse il regista jakuto più conosciuto oltre i confini della repubblica, ma non tanto tempo fa insegnava in una scuola rurale di cui era anche dirigente. Il cinema lo faceva nei periodi delle vacanze scolastiche. Il suo primo film, il dramma “Bonfire”, l’ha girato ad Amga, suo paese natale. Tutti gli attori sono suoi compaesani, e alcuni già recitavano nel locale teatro amatoriale. Proprio questo film, anch’esso, in sostanza, amatoriale, ha lanciato il cinema jakuto nell’arena internazionale. Il film è stato premiato al festival ImagineNATIVE in Canada, è stato selezionato per il concorso del festival di Pusan, in Corea, e ha avuto la nomination di Asia Pasific Screen Award.

Un giovane ubriaco si mette ai comandi del suo trattore e per caso uccide un suo compaesano, con il quale aveva bevuto. Disperato, si suicida, lasciando il burbero Ignat, suo padre, a tu per tu con la vergogna. Il paesino è minuscolo, tutti si conoscono. Ignat non ha mai fatto del male a nessuno, non ha mai rubato, non si è mai comportato con viltà, ma ora è disonorato per sempre. È rimasto solo contro tutto il paese. Tuttavia l’incontro con un ragazzo fuggito di casa aiuta l’uomo a ritrovare il senso della vita. Ignat lascia il ragazzo in casa sua e gli insegna l’intaglio su legno. Poi, malgrado l’età avanzata, trova anche un nuovo amore! Il falò della vita, che sembrava quasi spento, si riaccende con una forza nuova. Non tutti però si rallegrano della felicità di Ignat. 

Il rigore della natura e degli uomini rievocano i capolavori di Ingmar Bergman, mentre il contagio del male fa eco al cinema di Martin MacDonagh.

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3 / “The is no god but me” / “Нет бога кроме меня” (2019) 

Dopo “Bonfire” Davydov ha diretto un altro toccante film drammatico,  quasi per intero ambientato in città. Ruslan di mestiere fa il tagliaboschi, ma i suoi compaesani premono su di lui, affinché se ne vada dal paese. Il problema non riguarda Ruslan, che è rispettato da tutti. È che sua madre sta male. È malata di Alzheimer, non riconosce più i suoi parenti, fa paura ai bambini e una volta, addirittura, si è intrufolata in casa altrui con un fucile. Bisogna portarla in città, dove ci sono i medici. Ruslan e sua madre partono. In città Ruslan affitta un appartamento, trova un lavoro, ma non si decide a far ricoverare la madre, lo sconvolge l’idea che lei sarà affidata a persone estranee. Tuttavia, le condizioni della donna continuano a peggiorare, e tutti cercano di persuadere Ruslan che sarà meglio per tutti se sua madre andrà in ospedale.

Davydov può essere paragonato ad Asghar Farhadi. Come il classico del cinema iraniano (due premi Oscar per “Una separazione” e “Il cliente”), Davydov affronta problemi morali che non hanno soluzione e che in maniera lenta, ma inesorabile, mettono in crisi persino i più forti. Da questo punto di vista, “There is no god but me” è particolarmente vicino al cinema di Farhadi. Meno premiato rispetto al suo primo lungometraggio, questo film è una prova inconfutabile della crescita professionale del giovane regista. Il minimalismo dei mezzi espressivi e la semplicità delle metafore (ruota panoramica – simbolo del futuro impossibile) ne fanno quasi un documentario.

4 / “Haulout” / “Выход” (2022) 

Quest’anno, per la prima volta, il cinema della Jakuzia è entrato in orbita del premio Oscar. “Haulout” di Maksim Arbugaev e di sua sorella Evgenija, nati a Tiksi, in Jakuzia, ha ottenuto la nomination come miglior cortometraggio documentario. Il film, che dura 25 minuti, è un cineritratto del biologo Maksim Chakilev che osserva i trichechi sulla costa del Mare di Okhotsk. Film bellissimo, il documentario è anche una terribile testimonianza degli effetti devastanti dei cambiamenti climatici.

Il Capo Serdse-Kamen della penisola dei Ciukci sta vivendo una vera invasione dei trichechi. Non essendoci più ghiaccio, questi animali a migliaia si ammassano vicino alla costa e muoiono schiacciati da altri della loro stessa specie. Durante le riprese, durate tre mesi, il biologo Chakilev e gli Arbugaev per ben 3 volte sono rimasti asserragliati dentro una capanna: la massa dei trichechi era tale che non erano semplicemente in grado di aprire la porta. Il documentario può essere visionato sul canale YouTube del periodico The New Yorker.

Evgenija Arbugaeva, fotografa, è conosciuta per i suoi lavori per le maggiori testate occidentali (Time, National Geographic, ecc.), suo fratello Maksim è operatore di ripresa, già premiato al Sundance Film Festival per il film “Genesis 2.0” dello svizzero Christian Frei, che racconta la storia di un gruppo di cacciatori di zanne di mammut. In questo momento Arbugaev sta realizzando il suo primo lungometraggio come regista. “L’estate sta per finire” (“Кончится лето”), girato a quattro mani con Vladimir Munkuev, che vede Jurij Borisov come attore protagonista, uscirà entro la fine dell’anno.

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