Questa donna instancabile fin da bambina fu soprannominata “Nadja la cosacca”, per le sue prodezze e il suo coraggio. Nacque nel 1904 in un villaggio vicino a Vitebsk (oggi in Bielorussia) in una famiglia povera. Suo padre era un venditore di vodka, sua madre una tessitrice che allevava nove figli. Vivevano una vita da contadini. Nadja ricordò più volte come passava le sue giornate nel campo a scavare patate e le notti a dipingere; un talento quest’ultimo che aveva scoperto in tenera età. Già allora si era prefissata l’obiettivo di diventare un’artista.
Da adolescente, dopo aver letto su un giornale di Parigi, “città dove vivono tutti gli artisti”, fuggì di casa per raggiungerla in treno. Venne riconosciuta in una stazione vicina e fu fatta tornare a casa. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, la famiglia si dovette spostare molto, e le basi dell’educazione artistica la ragazza le ricevette in provincia. A 15 anni scappò di nuovo, stavolta con destinazione Smolensk, dove stavano aprendo i “Laboratori d’arte dello Stato libero”, dove la talentuosa artista autodidatta venne subito presa. Per molti anni visse praticamente “a pane e acqua”. E a Smolensk, finché i suoi insegnanti di laboratorio non le dettero ospitalità, passava le notti in una vecchia carrozza sui binari di riserva della stazione ferroviaria. I primi esperimenti artistici di Nadja si situano nel campo dell’astrazione pura, poi, dopo l’incontro con Kazimir Malevich, passò al Suprematismo.
Nadja Léger
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Ormai già conosciuta come artista d’avanguardia, si trasferì in Europa, in Polonia (ma l’obiettivo finale restava Parigi). In Polonia Nadja si ritrova nelle radici polacche di suo padre, cambia fede (si converte al cattolicesimo) e, come rifugiata, trova ospitalità a Varsavia, nel 1921. Il suo obiettivo è l’Accademia di Belle Arti, dove entra per concorso. Le condizioni di vita qui sono le solite di sempre per lei: prima un dormitorio, poi ottiene un lavoro come tata a domicilio e, dopo essere entrata all’accademia, lavora come modista in un negozio di cappelli. Questa donna è sempre stata notevole non solo per il suo coraggio e il suo spirito d’avventura, ma anche per la sua fenomenale efficienza e resistenza alla fatica. Ha ricordato che nella sua gioventù poteva facilmente dormire per un’ora sola al giorno, e non si stancava mai.
Nadja Léger. Suprematismo, 1972-73
Museo di PushkinLa grande svolta fu il matrimonio e il trasferimento a Parigi. Anche il suo primo marito Stanisław Grabowski studiava all’Accademia. Veniva da una famiglia ricca e i due giovani non vissero certo in povertà a Parigi. Nel 1924, la coppia si iscrisse a un’accademia d’arte privata fondata dall’idolo di Nadja, il modernista Fernand Léger. Più tardi ricordò di aver letto per la prima volta di lui in un giornale durante gli anni della sua formazione, quando il Suprematismo non le andava più a genio e non vedeva una nuova strada. Fu proprio l’estetica di Léger e i principi di ritorno alla forma che lui predicava a diventare per lei una rivelazione, una nuova base.
A Parigi, Nadja non solo studiò, ma cominciò subito a fare conoscenze nel mondo dell’arte e a vendere i suoi lavori, e presto iniziò a guadagnare bene. Suo marito non ebbe lo stesso successo, iniziarono dei dissapori, e la coppia divorziò. Nadja rimase con una figlia piccola a carico e la vita spartana tornò: si fece assumere come cameriera nella pensione dove in precedenza aveva occupato le stanze migliori. Ma nonostante le difficoltà e la vita dura, continuò a studiare senza sosta. Trovò persino il tempo di pubblicare una rivista d’arte contemporanea con i suoi modesti mezzi.
Fernand Léger
Legion MediaNel 1939, poco prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, Fernand Léger offrì all’allieva di talento un posto come suo assistente, ma la guerra rimandò quell’unione. Léger, membro del Partito comunista francese, era nelle “liste nere” fasciste, fu costretto a emigrare negli Stati Uniti e tornò nel 1945, mentre Nadia rimase a Parigi. Sotto l’influenza di Léger, si iscrisse al partito comunista e con l’inizio della guerra entrò in clandestinità e collaborò con la Resistenza. Si diceva che avesse anche una piccola pistola. Anche se fu principalmente coinvolta nella creazione e nell’affissione di volantini di propaganda. Dopo il ritorno di Léger, Nadia venne reintegrata come sua assistente, ma continuò anche a fare arte in modo indipendente. Il suo genere preferito erano i ritratti, che esteticamente assomigliavano all’espressionismo postbellico del messicano David Alfaro Siqueiros. Nel 1951, la moglie di Léger, con la quale il pittore aveva vissuto per più di trent’anni, morì. E un anno dopo l’artista fece una proposta di matrimonio alla sua assistente di lunga data, sulla quale era abituato a contare in tutto e per tutto. Lui aveva 70 anni, Nadja 50. Gli ultimi anni della sua vita, Léger li passò al fianco di Nadja Khodasevich, ora Khodasevich-Léger.
Fernand Léger. Ritratto di Nadja Léger, 1948
Museo di PushkinL’artista morì nel 1955, il matrimonio durò solo tre anni, ma Fernand disse che non era mai stato più felice. Léger lasciò alla sua vedova una considerevole eredità. Finalmente Nadja poté dimenticare per sempre la parola “povertà”. Oltre ai soldi e a diverse case, fu enorme la sua eredità artistica, che Nadja decise di rendere un museo, nel sud della Francia, nella città di Biot, dove poco prima della sua morte, la coppia aveva acquistato una casa di campagna. Per il resto della sua vita, Nadja si dedicò soprattutto alla promozione di Léger, anche in Unione Sovietica, dove l’artista di sinistra fu accolto con favore.
Fernand Léger. Ritratto di Nadja Léger, 1949
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Subito dopo la guerra, Nadja si unì all’Unione dei patrioti sovietici, un’organizzazione di emigrati russi in Francia. Nel 1945, sotto l’egida dell’Unione organizzò una mostra di beneficenza e un’asta di artisti contemporanei (Léger, Braque e Picasso) per raccogliere fondi per gli ex prigionieri di guerra sovietici. Dopo la morte del marito, grazie alla sua conoscenza di figure di spicco del Partito comunista francese, strinse legami con le loro “controparti” russe, in particolare con il ministro sovietico della Cultura, Ekaterina Furtseva. Questo le permise di visitare l’Unione Sovietica per la prima volta nel 1959 e di assistere attivamente allo scambio culturale tra l’Urss e la Francia. Gli anni del Disgelo giocavano a suo favore: l’iniziativa dei comunisti francesi era vista con favore a Mosca.
Nadja Léger, 1964
Reporters Associes/Gamma-Rapho/Getty ImagesNel 1963, tenne la prima mostra monografica di Léger in Russia, e poi portò ripetutamente i suoi lavori a mostre collettive, oltre a donare le opere del marito ai musei sovietici. Promosse gli scrittori e i registi russi in Occidente (in particolare Konstantin Simonov, di cui era molto amica). Nel 1972 venne insignita dell’Ordine della Bandiera Rossa del Lavoro “per l’importante contributo alla cooperazione franco-sovietica”.
Nella foto, da sinistra: Nadja Léger, il ministro sovietico della Cultura Ekaterina Furtseva e la ballerina sovietica Maja Plisetskaja a Mosca, 1968
Aleksandr Konkov/TASSOggi, molte delle sue opere si trovano nel Museo Nazionale d’Arte della Bielorussia, a cui le ha donate nel 1967 come omaggio alle sue radici. I musei del Cremlino conservano anche una collezione dei suoi gioielli in oro, platino e diamanti, che regalò al governo sovietico nel 1976. E, inoltre, chiunque lo voglia, può vedere i mosaici di Nadja a Dubna, nella regione di Mosca, che abbelliscono la via che collega due centri culturali cittadini. L’artista ha realizzato una serie di ritratti a mosaico di figure culturali e scientifiche russe come regalo alla città della scienza sovietica.
Nadja Léger. Spilla a forma di luna, 1970
Musei del Cremlino
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