Perché in una sperduta città siberiana ci sono le opere dei protagonisti della street art mondiale?

Cultura
EKATERINA SINELSHCHIKOVA
A Bratsk, grazie all’impegno di un artista locale, si possono vedere piccoli capolavori di arte di strada. Abbelliscono un centro industriale piuttosto grigio, ma la gente del posto non sempre apprezza questi tocchi di colore

Per il secondo anno consecutivo, a Bratsk (regione di Irkutsk, oltre 4.500 chilometri a est di Mosca) si svolge il festival di arte di strada “Odín za vsekh” (“Один за всех”; “Uno per tutti”). È organizzato dal trentatreenne artista locale Grigorij Sharov, che fa tutto da solo, senza sponsor, senza un team di supporto e senza aiuto da parte dell’amministrazione locale. Il concetto è semplice e geniale: artisti di altre città e Paesi gli inviano i loro bozzetti e lui realizza questi lavori in città per loro.

Cos’è Bratsk?

“Bratsk è una piccola città industriale, direi, persino, un posto buono solo per la produzione. Ci sono grandi fabbriche, c’è la centrale idroelettrica di Bratsk, e questo è praticamente tutto quello che c’è”, afferma Sharov.

Sharov ha iniziato a interessarsi alla street art quando viveva a Mosca. Il primo lavoro nacque in modo spontaneo, istintivo. Andando al lavoro lessi un annuncio: “Il club di karatè è chiuso”. Il giorno dopo, comprai una cintura nera e la attaccai accanto alla scritta, come se fosse un nastro per listare a lutto.

Grigorij è tornato a Bratsk cinque anni fa, quando suo padre è morto. Allora ha dovuto cambiare molto nella sua vita: quello che stava facendo a Mosca (gestire progetti in uno studio di design e cercare di diventare un attore) a Bratsk non serviva a nulla: “Ho pensato: cosa posso fare? Ho un taccuino dove annoto vari progetti che mi vengono in mente: l’ho aperto e ho visto l’idea di disegnare per strada in modo più consapevole”.

È stato allora che ha realizzato l’opera “Atleti”. L’omaggio all’opera omonima di Kazimir Malevich ebbe un successo inaspettato: tutti i media cittadini e persino alcuni giornalisti di Mosca ne scrissero.

“I miei atleti sembrano esattamente gli stessi di Malevich, ma queste quattro figure sono in posizione accovacciata, quelle tipica dei gopnik”, spiega l’autore.

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“Tutta la mia infanzia l’ho trascorsa in un ambiente del genere”, prosegue. “Bratsk era una città con molta criminalità. Dopo essermi trasferito, mi sembrava che tutto questo ‘strato culturale’ degli anni Novanta fosse scomparso, che non esistesse più da nessuna parte. Ma quando sono tornato, sono rimasto inorridito nello scoprire che nulla era cambiato a Bratsk. Poi ho ideato questo lavoro e si è scoperto che ha toccato molte persone”.

Poi Sharov si è reso conto di un’altra cosa: che a Bratsk era l’unico street artist. E che voleva cambiare la situazione.

L’opzione più comune è quella di andare dall’amministrazione comunale, concordare, richiedere un budget e aspettare (di solito molto tempo). Sharov dice che tutti i festival legali in Russia si svolgono seguendo questo schema. 

“Allo stesso tempo, era chiaro che il budget sarebbe stato modesto e che non avremmo potuto sollevare questioni socio-politiche: ogni lavoro sarebbe stato da concordare con le autorità. Non lo volevo davvero. Ho pensato: ‘E se disegnassi io stesso tutte le opere?’”

“Qui non si trova neanche la vernice, andiamo a comprarla a 600 chilometri”

Al primo festival “Uno per tutti”, nel 2020, c’erano solo opere di artisti russi. “Avevo paura a scrivere agli artisti e a chiedere schizzi: la maggior parte li seguivo solo su Instagram. Ma sorprendentemente, nessuno ha trovato strana questa idea.

Per iniziare, Sharov scatta foto di luoghi e oggetti interessanti, li mostra agli artisti e questi inviano schizzi. Lui non interviene nel processo.

“A Bratsk però ci sono problemi anche con i materiali. Oggi avevo bisogno di vecchi striscioni, ho chiamato tutte le agenzie pubblicitarie, ma mi hanno detto “non c’è ancora niente, ripassa dopo le elezioni”, dice. Più di una volta Sharov è dovuto andare fino nella “vicina” città di Irkutsk (620 chilometri) per comprare le bombolette di vernice, perché non le trovava a Bratsk. Fino a lì è necessario andare anche per altre necessità, come le piastrelle.

Sharov impiega un mese e mezzo per i preparativi e, come detto, fa tutto da solo, rifiutando i soldi delle sponsorizzazioni e la pubblicità. Ma i suoi amici lo aiutano: qualcuno porta le scale, qualcuno lo aiuta ad incollare enormi stencil fino a sera o si reca nella città vicina per i materiali. “A ‘Uno per tutti’ i lavori sono sempre molto concettuali. Spesso sono brutti, antiestetici: non si tratta di una facciata di un edificio dipinta con illustrazioni carine, ma di idee piccole e molto graffianti. E l’indipendenza qui è molto importante”.

Nei guai con la polizia, dice, non è mai finito. Una volta stava lavorando in un incrocio trafficato e la polizia è venuta tre volte, sempre con domande diverse. Si sono dati pace solo quando ha mostrato loro un servizio che parlava di lui alla tv locale: “Hanno deciso che poiché una persona viene mostrata in tv, allora va tutto bene”.

Perché agli stranieri piace Bratsk

Con il secondo festival, la geografia dei partecipanti è stata ampliata in modo deciso: dalla sola Russia a tutti i continenti. “La sera mi sedevo davanti al computer e digitavo sui motori di ricerca cose come ‘street art Chile’ e guardavo com’era lo stato dell’arte in Cile. E così un numero infinito di volte, fino a quando ho trovato persone che facevano al caso mio e che erano diverse l’una dall’altra».

“Naturalmente, nessuno di loro aveva davvero idea di dove fosse Bratsk. Mi sono preparato una lettera con la spiegazione: che questa è una piccola città, è in Siberia, non è molto lontana dal Lago Bajkal, ecc.”.

Si è scoperto che Bratsk ispira gli stranieri. Molti dicono che un giorno vorrebbero venire qui. 

“Forse Bratsk ha qualcosa di speciale. Se parliamo di grandi città, ad esempio Mosca, tutto è super ordinato, specialmente le strade centrali pedonali. A Bratsk, invece, ci sono un sacco di posti strani e malmessi. Ora sto parlando con te dall’ufficio [Sharov fa anche due lavori: si occupa di marketing in un’azienda di carburante e fa lo speaker radiofonico] e guardo fuori dalla finestra un lampione: è tutto arrugginito, la plafoniera è caduta. Mi è chiaro che qualcuno di questo lampione potrebbe sicuramente fare un’opera d’arte”.

Gli hater e la reazione della gente del posto

Per molto tempo, Sharov ha creduto che la reazione della gente del posto al festival fosse inequivocabilmente positiva. Ma poi gli hanno inviato i link alle discussioni sui social network. Si è scoperto che molte delle opere sono definite “atti vandalici”. E qualcuno promette persino di denunciarlo alla polizia.

“Una volta avevo un mio lavoro con un riferimento all’Ultima Cena. Era alla fermata dell’autobus. Una donna ha scritto nei commenti che ho letto da qualche parte che se ti fai un selfie sullo sfondo dell’Ultima Cena, morirai rapidamente. E che lei non prendeva nemmeno più l’autobus da questa fermata”, ricorda Sharov.

Lui è tranquillo rispetto al tema hater: inizialmente era cosciente che non tutti avrebbero capito quest’arte, così come il fatto che la maggior parte delle opere non sarebbe vissuta nemmeno un anno (ad esempio, la vecchia casetta con il cervo è stata semi abbattuta nell’inverno per ricavarne legna da ardere). Ma per strada, almeno finora, chi lo riconosce e lo ferma, lo fa solo per esprimere gratitudine e non ha subito alcuna aggressione. Quest’estate Sharov è stato nominato per l’Innovation Prize, uno dei principali premi russi nel campo dell’arte contemporanea, organizzato dal Museo Pushkin di Mosca.

“Ma a quest’ultimo festival, per qualche motivo, molte opere hanno cominciato a scomparire subito nel momento in cui le pubblico su Instagram con la geolocalizzazione. E capita che le distruggano ancor prima della pubblicazione! Ho messo due lavori la sera, e la mattina sono tornato per fotografarle. Ed entrambe le opere erano già distrutte: calpestate e abbandonate sul posto. È piuttosto strano”.

Sta parlando del “razzo” dell’australiano Michael Pederson e di un cuore di compensato dell’artista francese oakoak. Mentre la panchina sull’asfalto crollato ha fatto intervenire l’amministrazione comunale. La panchina è stata spostata in un punto pari, ma il buco non è stato riparato.


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