Andrej Tarkovskij Jr: “Presto apriremo un museo a Firenze dedicato a mio padre”

Cultura
YULIA SHAMPOROVA
Il figlio di Andrej Tarkovskij (1932-1986) ha parlato a Russia Beyond dei suoi progetti per il futuro, del documentario che ha girato sul grande regista (utilizzando sue vecchie registrazioni audio), di come il papà non si sentisse un dissidente e del perché per i russi l’arte non sia meno importante dell’aria per vivere

“Tarkovskij lo conoscono ovunque. Sono rimasto stupito, in Italia, che persino l’impiegato della posta, vedendo il mio cognome, abbia esclamato: ‘Tarkovskij! Stalker! Solaris!’”, racconta Andrej Tarkovskij jr., erede del famoso regista, e curatore dell’Archivio Tarkovskij di Firenze.

In un certo qual modo ha seguito le orme del padre: anche lui gira dei film, anche se solo documentari. La première dell’ultimo, “Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera”, si è avuta lo scorso autunno al Festival di Venezia (il documentario sarà distribuito in alcune sale italiane nel febbraio 2020).

Tarkovskij jr, nato nel 1970, parla a Russia Beyond del perché il padre lasciò l’Urss, di come bisogna relazionarsi all’arte e al cinema, e di quando aprirà la casa-museo dedicata al grande regista.

Ha iniziato a girare il film su suo padre nel 2003, ma poi c’è stata una lunga pausa. In questo tempo l’idea di base è cambiata?

Sì, ho ripensato l’idea di base, perché nel corso degli anni sono state fatte e dette molte cose su Tarkovskij, e l’ennesimo film su di lui non avrebbe avuto senso. Una tale abbondanza di informazioni ha portato al fatto che gradualmente l’immagine di mio padre sia iniziata a svanire: le sue parole, la sua visione, la sua personale percezione del mondo, della cultura, dell’arte.

E quando nel nostro archivio ho trovato delle sue registrazioni audio, ho capito che dovevo fare un film non su di lui, ma un film in cui Tarkovskij parlava di se stesso. In questi nastri lui parla della sua vita, del suo punto di vista sull’arte, della sua fede, di quello che per lui è importante. Mi è sembrato che fosse la variante ideale, per, hic et nunc, avvicinare lo spettatore personalmente al regista e dargli la possibilità di incontrarsi di nuovo con lui.

In uno dei capitoli in cui si divide il film, c’è un curioso aspetto politico: Tarkovskij dice apertamente che un ruolo certamente non secondario nella sua decisione di emigrare in Italia fu giocato dalla stroncatura da parte del regista sovietico e Premio Oscar Sergej Bondarchuk, del suo film “Nostalgia” al Festival di Cannes…

Per me era importante non l’aspetto politico, ma il suo sguardo sulle cose, sul mondo; quello che lo preoccupava. Tarkovskij non era un dissidente politico, non si sentì mai tale e reagiva sempre duramente quando lo definivano così. Lui non era un dissidente, era un artista. E l’unica cosa che cercava nella sua vita e l’unico motivo per il quale lasciò la patria era il desiderio di creare. Lui doveva avere la possibilità di girare film. Questa per lui era la cosa più importante, e per questo fu disposto a sacrificare tutto il resto.

Il primo premio che vinse a Venezia, il Leone d’oro per “L’infanzia di Ivan” (nel 1962, ndr), gli dette molto. Ebbe la possibilità di girare i film successivi, ricordate? E lo aiutò anche in seguito, quando iniziarono ad attaccarlo e a fargli pressioni. In Occidente chiedevano “Cosa sta facendo Tarkovskij?”, perché era famoso, lo conoscevano. E lui non aveva l’ambizione di vincere dei premi, una motivazione che invece al giorno d’oggi è molto diffusa.

Nel documentario, mio padre racconta perché rimase a vivere all’estero. È un fatto molto importante, perché si tratta di un grande punto di rottura nella sua biografia; è ciò che ha influenzato il suo destino. Tutto il resto è un suo monologo interiore sull’arte e sulla vita. Purtroppo, hanno iniziato a dimenticarlo. In generale, l’atteggiamento nei confronti dell’arte che avevano lui e le persone di quella generazione non trova più spazio oggi, e mi sembra che sia necessario ricordare ciò per cui viviamo noi e quale fosse invece il significato della vita per persone come Tarkovskij.

Nei monologhi di Tarkovskij si capisce quale importanza avesse per lui il fatto che suo padre era un poeta. Dal momento che tutta l’arte, e prima di tutto i suoi film, lui li percepiva come poesia. Qual è invece la cosa più importante che suo padre ha lasciato a lei?

Era un uomo eccezionale, che che mi ha instillato il gusto, nell’arte e nella vita. Lui non insegnava mai nulla a nessuno: riteneva che non si potesse insegnare ai bambini, ma si dovesse mostrare loro ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che è bello e ciò che è brutto, ciò che è intelligente e ciò che è stupido. Sapeva come modellare la personalità di un bambino senza schiacciarlo con il peso dell’autorità e dell’insegnamento.

Mio padre mi metteva i dischi di musica classica: abbiamo ascoltato insieme Bach da quando avevo tre anni. E il mio primo ricordo d’infanzia musicale è la “Passione secondo Matteo”. Amava molto la pittura del Medioevo e del Rinascimento e mi mostrava album di quadri, mi insegnava a percepire la bellezza. Forse in quel momento il bambino non capisce tutto, ma qualcosa ti rimane in testa, e ritorna fuori quando cresci.

Parlava sempre con i bambini come con gli adulti. Gli piaceva dire: “Se non capisci ora, capirai”. E quando sei un bambino, vuoi capire o sentire che tuo padre è contento di te. Da lì appare il desiderio di stare in punta di piedi, di tirarti su, di saltare più in alto per guadagnati il suo rispetto. Anche questo è un tipo di scuola: qui nessuno insegna a nessuno, non educa, ma parla con te su un piano di parità, e responsabilizza ed educa il carattere di un uomo.

E nella scelta della professione, l’ha in qualche modo indirizzata?

Mio padre vedeva per me un futuro nel cinema, voleva che lavorassi con lui nel prossimo film, in parole povere, voleva che imparassi questo. Ma io ho protestato. Studiavo Fisica all’università di Firenze, e poi ho studiato anche Storia e Archeologia… Tuttavia, sono tornato al cinema, perché tutte le sue lezioni non sono passate invano. Nel 1996, ho realizzato il primo breve documentario su mio padre per Pervij Kanal, e da allora ho iniziato a occuparmi dell’Istituto Andrej Tarkovskij.

Sono 25 anni che si occupa dell’archivio di suo padre. Progetta di aprire un museo?

L’istituto venne fondato subito dopo la morte di mio padre, nel 1987. Nel 1995 vennero riuniti qui tutti i materiali di Tarkovskij, in quella che era stata la sua casa fiorentina. Si tratta di una quantità enorme di pezzi: più di centomila tra video, audio, foto, carte, disegni, scenari. Abbiamo un catalogo che si aggiorna continuamente, perché il lavoro di archiviazione è ancora in corso.

L’archivio è sotto la protezione del Ministero della Cultura della Repubblica Italiana, come patrimonio di particolare interesse, e ha sede nella casa dove viveva mio padre e dove adesso vivo io. Il Comune di Firenze è pronto ad ampliare la sede e a farne un museo. Il luogo in sé è molto interessante: qui c’è lo studio dove Tarkovskij lavorava, e qui montò il suo ultimo film, ‘Sacrificio’. Tutto si è conservato com’era allora”.

Questa casa venne concessa dal Comune di Firenze a Tarkovskij a titolo gratuito, e dopo la sua morte così è rimasta, perché rappresenta un valore e un prestigio per la città. Per il novantesimo anniversario dalla nascita di mio padre, nel 2022, progettiamo di aprire il museo.

Lei ha vissuto la gran parte della sua vita in Italia. Si sente più russo o più italiano?

Un russo rimane sempre russo. Me ne sono andato che avevo 15 anni, ed è un’età già abbastanza consapevole, nella quale si hanno già definiti punti di vista sulla vita. Sono tornato in Russia per la prima volta nel 1996, e poi ho iniziato a tornarci spesso, anche perché avevo vari progetti russi. E se non vivo in Russia questo non significa che non sono russo e non voglio viverci. 

C’è la possibilità che torni a vivere in patria per sempre?

Io vivo in due Paesi e posso tornare in ogni momento. Di tanto in tanto vivo in Russia, ma non progetto di tornare a viverci stabilmente. Almeno per ora… Questo non significa che io non ami la Russia. La Patria si può amare anche a distanza. Vedete, la visione del mondo di un russo, la nostra essenza spirituale, è così particolare e forte che difficilmente può essere cambiata, anche se una persona vive in un altro Paese.

La nostra visione del mondo, gli obiettivi, la ricerca della verità, il valore che attribuiamo all’arte: è qualcosa di particolarmente russo. In Occidente, l’arte è un’appendice, i valori materiali sono molto più importanti, mentre per i russi le verità spirituali sono al primo posto. E l’arte per noi è necessaria come l’aria.

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