“Il più grande apostolo della non violenza che l’epoca attuale abbia mai prodotto”; “Un gran maestro che ho a lungo considerato una delle mie guide”. Furono queste le parole utilizzate da Mahatma Gandhi (1869-1948) per descrivere Lev Tolstoj (1828–1910). Nati in paesi diversi e in periodi leggermente diversi, furono i maggiori rappresentanti di più generazioni. Il giovane e ancora sconosciuto Gandhi cercava infatti la saggezza nelle opere del già famoso Tolstoj.
Così come disse in un secondo momento il futuro leader del movimento di resistenza non violento indiano, le opere dello scrittore russo ebbero una grande influenza su di lui. “‘Il regno di Dio è in voi’ di Tolstoj (un saggio scritto tra il 1890 e il 1893, ndr) è stato travolgente. Ha avuto un impatto fortissimo su di me. Di fronte al pensiero indipendente, alla moralità profonda e alla veridicità di questo libro, tutti i libri che mi sono stati dati successivamente... mi sono sembrati insignificanti", scrisse Gandhi.
Queste due grandi menti si “incrociarono” nel 1909. Tutto ebbe inizio nel dicembre 1908, quando il rivoluzionario indiano anti-britannico Tarak Nath Das scrisse a Tolstoj per chiedere il suo sostegno nel processo di indipendenza dell’India dal dominio coloniale britannico.
La risposta di Tolstoj arrivò attraverso una lunga lettera intitolata “Lettera a un indù”, che Das pubblicò sul giornale indiano Free Hindustan. In sintesi, Tolstoj sosteneva che l’unico modo per il popolo indiano di liberarsi dagli inglesi era seguendo il principio dell’amore.
“Non resistete al male, ed evitate ci parteciparvi - scrisse -. Nelle azioni violente dell’amministrazione dei tribunali, nella riscossione delle tasse... e nessuno al mondo vi renderà schiavi”.
Il testo passò di mano in mano e nel 1909 raggiunse il giovane Gandhi. Agli albori della sua carriera da attivista, Gandhi scrisse a Tolstoj chiedendogli il permesso per ristampare “Lettera a un indù” sul suo giornale Indian Opinion in Sudafrica. La corrispondenza tra i due durò un anno, fino alla morte di Tolstoj, nel 1910 (il testo integrale della corrispondenza è disponibile a questo link).
Dopo aver passato decenni alla ricerca delle risposte ai più grandi interrogativi sull’esistenza, Tolstoj condivise le sue riflessioni in alcune lettere inviate a Gandhi. Nei suoi ultimi giorni di vita, il pensatore russo scrisse a Gandhi esaminando i principali falsi miti a cui l’umanità si era ormai abituata. Secondo lui, per migliaia di anni la civiltà umana aveva vissuto e seguito la via della violenza come principio guida per assicurare la propria sopravvivenza. Eppure, questo modo di vivere sarebbe incompatibile con la legge molto più naturale dell'amore.
“Più a lungo vivo - soprattutto ora che sento chiaramente l’avvicinarsi della morte - e più sento il desiderio di esprimere ciò che credo più forte di ogni altra cosa, ciò che a mio avviso è di immensa importanza, ovvero ciò che chiamiamo la rinuncia a ogni tipo di forza: in altre parole, la dottrina della legge dell’amore non pervasa da sofismi. L'amore, o in altre parole, l'impegno dell'animo umano verso l’unità e l’atteggiamento remissivo che ne deriva, rappresentano la legge più alta e unica della vita, così come ogni uomo sa e sente nel più profondo del suo cuore (come vediamo chiaramente nei bambini). Ogni impiego della forza è incompatibile con l’amore”.
La filosofia di Tolstoj ispirò Gandhi a tal punto che egli, insieme all’amico Hermann Kallenbach, intitolò al pensatore russo la sua fattoria in Sudafrica. Gli abitanti della Fattoria Tolstoj vivevano in modo autosufficiente, dedicando il proprio corpo al lavoro manuale e la loro mente agli ideali di verità, amore, non possesso, non violenza e castità.
L'esperienza di Gandhi alla Fattoria Tolstoj contribuì successivamente allo sviluppo del Movimento Swadeshi basato sul principio dell'uso di beni prodotti nel proprio paese (il movimento Swadeshi fu una parte del movimento d'indipendenza indiano nonché una strategia economica volta a rimuovere l'Impero britannico dal governo e migliorare le condizioni economiche dell’India, ndr).
L’idea del duro lavoro manuale nacque infatti dalla convinzione di Tolstoj secondo la quale lo scopo della vita è quello di svolgere un lavoro di sacrificio per gli altri: egli stesso seguì nella pratica questo principio, lavorando la terra. Non bisogna infatti dimenticare che Tolstoj fu uno dei più importanti difensori dei diritti dei contadini e aprì nella sua tenuta una scuola per i figli dei contadini.
“Indubbiamente il conte Tolstoj ebbe una grande influenza su di lui [Gandhi] - scrisse più tardi il reverendo Doke nella biografia sul filosofo indiano -. Il vecchio riformatore russo, nella semplicità della sua vita, nell’intrepidezza dei suoi discorsi e nella natura del suo insegnamento sulla guerra e sul lavoro, trovò in Gandhi un discepolo dal cuore cordiale”.