Nel 2009 Stella Kesaeva ha tenuto la sua prima mostra a Venezia e, a Ca’ Rezzonico, ha esposto i pregevoli pezzi di arte contemporanea russa della sua collezione personale, nel contesto del programma parallelo alla Biennale. Poi, dal 2010 al 2015, ha praticamente vissuto in Laguna in pianta stabile: era infatti il commissario del Padiglione russo alla Biennale di Venezia. Con il sostegno della sua fondazione, la Stella Art Foundation, ai Giardini della Biennale si sono tenute mostre dei principali rappresentanti del concettualismo moscovita: Andrej Monastyrskyj e il gruppo “Kollektivnye dejstvija” (“Azioni comuni”) Vadim Zakharov e Irina Nakhova.
Quest’anno la Kesaeva torna a Venezia con un nuovo progetto in collaborazione con il Museo Pushkin di Mosca, “C’è un inizio alla fine…”, nella chiesa di San Fantin (dal 10 maggio al 10 settembre). Prima dell’inaugurazione, la collezionista e mecenate ha raccontato a Russia Beyond le sue impressioni sulla Biennale, sulla politica nel campo artistico, e sul lavoro con l’esponente di primo piano dell’arte povera Jannis Kounellis (1936-2017).
Lei ha vissuto in Italia quasi sette anni, quando era commissario del Padiglione russo a Venezia. Che ricordi ha? È diventata un po’ italiana?
Oh no! Penso, che italiana non lo diventerò mai! (ride)
Il fatto è che quello a Venezia per me è stato un periodo molto duro, sia a livello morale che finanziario. Sentivo su di me il peso di una enorme responsabilità. Ogni volta, due anni prima e dopo la Biennale, il cervello non mi smetteva di lavorare un secondo: pensavo a come mostrare il nostro Paese in modo degno, con rispetto; e cosa fare affinché il nostro Padiglione si aggiudicasse il Leone d’oro…”
Non risparmiavo nessuno sforzo finanziario, utilizzando tutte le possibilità. La nostra squadra lavorava compatta, a più non posso. Ma i ragazzi facevano le loro ore di lavoro e poi potevano riposare. Io ero attiva ventiquattr’ore, perché ci mettevo la faccia, si trattava del mio nome, e la responsabilità era enorme. Non potevo permettermi di rilassarmi.
E a ogni inaugurazione del Padiglione ero praticamente in uno stato di sonnambulismo, ero quasi assente!
Si può dire che solo dopo il termine del suo incarico da commissario ha visto Venezia?
Proprio così! Ricordo che quando era ormai finito il mio periodo da commissario, sono andata alla Biennale e, con le scarpe da ginnastica ai piedi, me ne andavo in giro, guardavo le mostre… e mi sentivo così bene!
Adesso lavoriamo al progetto con il Museo Pushkin. Pensate forse che la Biennale riuscirò a vederla? Ancora una volta non potrò, perché c’è una fila lunga così di impegni ufficiali nel quadro della mostra, e incontri e colazioni e pranzi e cene di lavoro…
Invece a volte avrei voglia solo di andare a Venezia e godermi questa magnifica città. La amo in ogni caso: con la pioggia, con l’acqua alta e con il sole. Mi fa piacere stare là. Ma quando sono in Laguna per lavoro, non posso permettermi di godermela.
Quest’anno il suo progetto realizzato con il Museo Pushkin non è stato ammesso a far parte del programma parallelo della Biennale. Hanno detto no anche ad altre istituzioni russe, e nessuno dei nostri artisti fa parte del programma principale. Nei corridoi si vocifera della russofobia dell’attuale curatore. Lei ritiene che la russofobia esista alla Biennale, e quanto pensa che la politica faccia ingerenze nelle questioni artistiche?
Non lo posso affermare con sicurezza. Posso solo dire che il nostro padiglione del 2013 fu accolto con calore dal pubblico e dai professionisti del settore, e che molti visitatori vennero alla Biennale appositamente per vedere il nostro progetto ‘Danae’. Ce ne siamo resi conto quando per motivi tecnici abbiamo dovuto chiudere il Padiglione per una mezza giornata e la direzione della Biennale è stata sommersa di lamentele.
Ma se devo dire se il Padiglione russo conquisterà un giorno il Leone d’oro, devo ammettere che non penso che avverrà presto. Non so perché, ma sono molto più frequenti i ‘Leoni’ per la Russia al Festival del Cinema di Venezia.
Se parliamo per esempio del progetto di Vadim Zakharov ‘Danae’. Lei ritiene che meritasse il Leone?
Assolutamente sì. Era una mostra fantastica!
Almeno così penso io. E quando ho realizzato che non avevamo vinto, mi sono persino messa a piangere. Ero incredibilmente offesa, perché il sostegno era stato colossale. Può darsi che noi dobbiamo ulteriormente migliorare il nostro livello professionale e imparare a fare delle mostre ‘da festival’. E allora inizieranno ad accorgersi di noi…
Alcuni anni fa lei iniziò anche a sostenere progetti teatrali. E scenografo di una della messe in scene al Teatro di Perm fu il famoso artista greco-italiano Jannis Kounellis (1936-2017). Nel corso di questa Biennale ci sarà una grande mostra in sua memoria alla Fondazione Prada. Che ricordi ha del lavoro con questa personalità dell’arte mondiale?
La sua scomparsa è stata una grande perdita per noi e per l’arte. Era un uomo assolutamente non comune. Quando siamo andati nel suo atelier di Roma, che occupava praticamente tutta la sua casa, lui e la moglie ci accolsero molto affettuosamente. Io ero meravigliatissima di come tutti quei sacchi di carbone, quelle mantelle, quei pezzi di legno che usava per i suoi lavori fossero là, in giro ovunque per casa. Kounellis ci viveva letteralmente in mezzo! Era un uomo molto buono, senza nessuna puzza sotto il naso, aperto e saggio.
Siamo andati da lui per discutere della collaborazione con il nostro fondo e per parlare del lavoro per l’opera ‘Nosferatu’. Lui ci ha detto che avrebbe fatto tutto in modo molto spettacolare. E il risultato è stato eccezionale! Lo avete visto?
No, purtroppo…
‘Nosferatu’ è semplicemente un capolavoro! Io all’inizio non riuscivo del tutto a immaginare come sarebbe stato il risultato. Avevo sentito dire che il noto regista greco Teodoros Terzopulos avrebbe fatto parte del progetto. E che la musica sarebbe stata del giovane e brillante compositore Dmitrij Kurljandskij. Alla fine è venuta fuori una messa in scena senza precedenti al Teatro di Perm, sotto la direzione musicale di Teodor Currentzis; un’opera lirica unica, in cui i testi non erano cantati, ma recitati.
E quando siamo andati alla prima, siamo rimasti a bocca aperta vedendo come tutto fosse fatto al più alto livello. Ho la pelle d’oca ancora adesso, al ricordo.
Quest’anno durante il periodo della Biennale, Lei organizza la mostra “C’è un inizio alla fine…”. Come è nata l’idea di questo progetto in collaborazione con il Museo Pushkin?
Abbiamo incontrato la direttrice del Museo Pushkin Marina Loshak e la curatrice Olga Shishko e ci hanno parlato di questo progetto, dedicato al Tintoretto, con la partecipazione di artisti contemporanei internazionali. E che avrebbe partecipato Irina Nakhova, una cui mostra io avevo organizzato al Padiglione russo del 2015, e il regista cinematografico Dmitrij Krymov. E io ho subito risposto ‘Ben volentieri! Siamo felici di partecipare”. Perché era un progetto sulla mia linea d’onda, legato all’arte concettuale, che amo. E perché il nostro fondo ha un’enorme esperienza con i lavori a Venezia, così abbiamo stretto un’alleanza ideale con il Museo Pushkin.
Un primo sguardo al Padiglione russo alla Biennale di Venezia curato dall’Ermitage