Come Dostoevskij ha influenzato l’arte di Edvard Munch

Cultura
ALEKSANDRA GUZEVA
Il norvegese amava lo scrittore, e anche quando è morto aveva un suo libro sul comodino. Una grande mostra dei suoi dipinti alla Galleria Tretjakov di Mosca (dal 17 aprile al 14 luglio) è l’occasione per approfondire il tema dell’influsso dell’autore russo sul pittore che ha dipinto “L’urlo”

Il 17 aprile, alla Galleria Tretjakov di Mosca ha aperto le porte la prima grande mostra in Russia dell’artista norvegese di fama mondiale Edvard Munch (1863-1944). Nonostante qui la sua opera non sia nota come in Occidente, i quadri di Munch hanno forti connessioni con la Russia, più di quanto non si possa immaginare. Il suo mito e ispiratore era infatti Fjodor Dostoevskij (1821-1881) e il suo dipinto più noto, “L’urlo” (in tre versioni: 1893, 1895 e 1910) sembra quasi un personaggio de “I Demoni” finito sulla tela.

La direttrice della Galleria Tretjakov, Zelfira Tregulova, che ha condotto una trattativa lunga anni con il Museo Munch di Oslo, ha sottolineato come Munch abbia fatto nel campo della pittura quello che Dostoevskij ha fatto nella letteratura: “Ha rivoltato l’anima umana e mostrato tutte le profondità e gli abissi delle passioni che dilaniano l’uomo e la complessità della sua natura”. 

Munch ammirava il talento letterario di Dostoevskij 

La bohème norvegese degli anni Ottanta dell’Ottocento, di cui il giovane Munch faceva parte, si viveva come un insieme di giovani artisti anarchici, e leggeva avidamente le opere di Dostoevskij, che allora erano già state tradotte in norvegese. 

“Qualcuno un giorno potrà forse descrivere quei tempi? Servirebbe Dostoevskij, o quantomeno un mix di Krohg [Christian Krohg, 1852-1925, pittore, scrittore e giornalista norvegese, che influenzò molto Munch, ndr], di Jæger [Hans Henrik Jæger, 1854-1910, scrittore, filosofo e anarchico, ndr] e forse anche di me, per fare in modo così convincente, come riuscì a Dostoevskij nel caso di una città siberiana, la descrizione di quanto vegetasse Kristiania [nome di Oslo dal 1878 al 1924, ndr] non solo allora ma anche oggi”, scrisse Munch.

L’opera preferita? Il racconto “La mite” 

È un lavoro di Dostoevskij poco noto (o comunque messo in ombra dalla fama di altre opere) quello che maggiormente influenzò Munch. Si tratta del racconto del 1876 “La mite” (a volte tradotto in italiano anche come “La mansueta”; titolo originale in russo: “Krotkaja”). Si tratta della storia di una ragazza infelice che si suicida, dopo che, per sfuggire alla povertà, ha accettato di sposare uno strozzino che disprezza e che la tratta con cattiveria.

Gli esperti ritengono che uno dei più celebri autoritratti di Munch, “Tra l’orologio e il letto” (1940-43), nel quale sullo sfondo è rappresentata una ragazza nuda, sia una sorta di illustrazione per “La mite”. 

Il debole artistico nei confronti dei pazzi e delle ragazze povere è un tratto che accomuna Munch e Dostoevskij. Uno dei dipinti più celebri di Munch, in sei versioni realizzate tra il 1885 e il 1927, “La fanciulla malata” (noto anche come “Bambina malata”), che suscitò una raffica di critiche perché considerato “un abbozzo non finito”, rappresenta il lutto del pittore per la morte di tubercolosi dell’amata sorella.

E come diceva Raskolnikov in “Delitto e castigo”: “Non so perché mi fossi così legato a lei, probabilmente perché era sempre malata. Se fosse stata zoppa o gobba, mi sembra che le avrei voluto ancora più bene”. 

I quadri di Munch hanno sofferto come i protagonisti di Dostoevskij

Il biografo di Munch, Rolf Stenersen (1899-1978) ha descritto lo strano metodo per il quale il pittore, considerando i suoi dipinti come suoi figli, riteneva di dover “punire” quelli che non erano riusciti come voleva. Li esponeva alla pioggia, al vento, alla neve e li rimetteva dentro solo dopo del tempo. È noto con certezza che così l’artista si comportò con “Separazione” (1896), e questa tela ne ha molto sofferto. Delle chiazze comparse per caso, tra cui degli escrementi di uccello, sono diventati parte dell’opera. 

Questo insolito procedimento era chiamato da Munch “hestekur”; cura da cavallo. Gli esperti ritengono che si tratti di un rimando al sogno di Raskolnikov, nel quale il protagonista, da piccolo, vede come un contadino picchia la sua debole cavalla solo perché è “sua”. E la folla grida di dargliene fino ad ammazzarla.

Munch associava se stesso allo scrittore russo

È probabile che Munch abbia praticato quella che oggi chiameremmo “fan art” (opere create dai fan di un artista, o ispirate alle sue creazioni e ai suoi personaggi). In uno dei suoi tanti autoritratti, una litografia del 1895, il pittore norvegese si raffigurò con un braccio di scheletro. C’è l’ipotesi che questo lavoro sia stato ispirato da un ritratto di Dostoevskij realizzato in quello stesso anno in xilografia dal pittore svizzero Félix Vallotton (1865-1925).

Munch fu trovato morto con accanto un libro di Dostoevskij 

Nella mostra alla Galleria Tretjakov c’è anche un libro appartenuto a Munch. È in una teca assieme a una lettera al pittore dell’impresario teatrale Sergej Djagilev (1872-1929). Il libro è la traduzione norvegese de “I Demoni” di Dostoevskij. Proprio con questo libro sul comodino, Munch fu trovato morto nella sua tenuta di campagna, poco fuori Oslo, il 23 gennaio 1944, all’età di ottant’anni.

 

Russia Beyond ringrazia per il prezioso aiuto nella preparazione di questo articolo la giornalista e autrice esperta di arte Anastasija Chetverikova