“Papa, umer Ded Moroz” (“Papà, è morto Babbo Natale”) – Evgenij Jufit, 1991
Perchéèstato sottovalutato: È un film rebus, appartenente alla stravagante corrente artistica del necrorealismo; troppo complicato, ruvido e spaventoso.
Chi dovrebbe guardarlo: Chi ama il genere zombie-apocalittico e ritiene che la morte sia qualcosa di bello.
Un biologo arriva in un villaggio sperduto e si accorge che gli abitanti sono ossessionati da strane idee e possono modificare la psiche degli altri con atti sadomasochistici.
Il regista Evgenij Jufit (1961-2016), “padre” del necrorealismo, era ossessionato dall’idea della morte. Ha dato interviste su come siano deliziose, da un punto di vista estetico, le deformazioni post mortem del corpo, e girò nel periodo della fine dell’Urss opere trash ai confini con l’arte contemporanea. Con un simile cinema d’autore postmoderno, all’epoca era in grado di rapportarsi solo un ristrettissimo gruppo di esteti. Il Kommersant ha scritto nel suo necrologio, nel 2016, che era “il più solitario, impenetrabile e sconcertante regista russo”.
Di sé Jufit diceva: “In nessun modo non sento di far parte del contesto del cinema russo contemporaneo; esisto suo malgrado. L’establishment cinematografico russo tiene le distanze da me perché finora resto incomprensibile”. La vera fama Jufit la ottenne solo in Occidente. Tutti i suoi lavori sono nelle collezioni dei più grandi musei mondiali, compreso il Moma di New York.
Con i sottotitoli in inglese lo trovate qui
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“Okraina” (titolo per l’estero: “The Outskirts”) – Pjotr Lutsik, 1998
Perchéèstato sottovalutato: Vi è stata vista, più di tutto, un’utopia sociale, carica di pericolosa agitazione politica.
Chi dovrebbe guardarlo: Chi non ha paura del sangue e vuole conoscere meglio “il grande e terribile” spirito di rivolta russo.
Storia anarchica su come gli abitanti di un villaggio degli Urali sono stati privati della loro terra e sono andati a cercare la verità, lasciandosi dietro una scia di sangue. La sete di giustizia li conduce a Mosca, da un oligarca del petrolio…
“La favola nera” di Pjotr Lutsik (1960-2000) al momento dell’uscita fu poco compresa e male accolta in Russia, a eccezione di qualche critico: le posizioni di sinistra erano allora estremamente impopolari. Il film fu definito una “provocazione”, un “invito ai forconi”. Cercarono di vietarlo e al cinema fu distribuito solo in due città in cui i comunisti erano ancora maggioranza: Kursk e Voronezh.
In “Okraina”, in effetti, c’è un gran numero di violenze alla Tarantino. Si tagliano teste, e ci sono persone morse a sangue.
“Mi ricordo quando andai da Lutsik alla casa di produzione, mi misi a sedere nel suo studio e lessi lo scenario. Mi disgustò, mi fece ritorcere le budella; avevo i brividi”, ha ricordato Anatolij Koshcheev, attore del film. Lutsik a quel tempo rispose: “È normale, è la vita”. E aveva ragione.
Questo capolavoro sui vendicatori popolari con il tempo ha conquistato lo status di classico contemporaneo, sebbene sia ancora per cinefili e poco conosciuto al grande pubblico. L’unico film come regista dello sceneggiatore Lutsik (che morì due anni dopo) ha conquistato il premio Finpress al festival di Chicago e il premio nazionale della critica.
Con i sottotitoli in inglese lo trovate qui
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“Moskvà” (“Mosca”) – Aleksandr Zeldovich, 2000
Perchéèstato sottovalutato: Era troppo avanti per il suo tempo e il suo contesto, e appariva snob e separato dalla realtà.
Chi dovrebbe guardarlo: Chi sente il bisogno si uno sguardo dall’alto valore estetico sulla Russia criminale della fine del XX secolo.
Libera interpretazione delle “Tre sorelle” di Chekhov su sceneggiatura di Vladimir Sorokin. Vi si narra un episodio criminale tratto dalla vita di un gestore di un locale notturno di Mosca. “All’epoca tutto il business russo era sul limite della criminalità, perché il sistema giudiziario non funzionava e non c’era un modo legale di risolvere i conflitti, ma solo regolamenti di conti”, ha detto Sorokin.
Questa “Mosca” lenta, senza tempo, con i suoi quadri simbolo, persone vestite in modo strano e strani dialoghi, è stata definita lo sguardo più estetico sulla Russia criminale. Il film di Aleksandr Zeldovich (1958-) ha rispecchiato un momento non solo di completa rottura per la società nel suo complesso, ma anche di attiva ricerca di nuove vie espressive per il cinema russo.
Come ha notato Sorokin, “è un film molto bello, che ha persino spaventato molti per la sua bellezza.”
Con i sottotitoli in inglese lo trovate qui
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“Rossija 88” (titolo per l’estero: “Russia 88”) – Pavel Bardin, 2009
Perchéèstato sottovalutato: Ha toccato il tema tabù del fascismo russo.
Chi dovrebbe guardarlo: Chi vuole saperne di più sulla realtà dei nazionalisti russi.
Gli skinhead vivono negli scantinati, nascondendosi dalla polizia, e allo stesso tempo usano il potere costituito per i loro torbidi fini. Molti di loro sono ancora in età scolare. E nessuno può rispondere qualcosa di chiaro alla domanda “Come sei diventato fascista?”. A porla è l’uomo con la camera (il film è girato nello stile del mockumentary, lo pseudo documentario).
Quello di Pavel Bardin (1975-) è un film sulla vita quotidiana degli skinhead nelle più tristi periferie di Mosca, con rappresaglie, campi di addestramento e un cruento epilogo. E ancora sul colossale divario tra le radici teoriche del nazionalismo russo e la sua messa in pratica.
“Russia 88” ebbe un travagliato percorso per arrivare al pubblico, tra una lunga e tribolata vicenda in tribunale e il divieto della procura. L’intervallo tra la première mondiale alla Berlinale e l’uscita nelle sale si allungò fino a un anno intero. Il tutto, a quanto pare, perché era troppo realistico. Al posto dei titoli finali, c’è la lista delle vere vittime dei fascisti russi, per ricordare che questa non è solo finzione cinematografica.
Dal blockbuster sportivo al dramma bellico, tre film russi sopravvalutati