Cento anni fa nasceva Solzhenitsyn, lo scrittore che ha fatto conoscere al mondo i Gulag

Cultura
GEORGY MANAEV
Era l’11 dicembre del 1918 quando a Kislovodsk, 1.600 chilometri a sud di Mosca, venne alla luce un uomo che avrebbe poi sempre criticato ogni forma di potere, da quello dell’Urss a quello della Russia postsovietica, dove è morto, dopo un lungo esilio, nel 2008

1. Da leninista criticò il governo sovietico 

Solzhenitsyn fu arrestato per la prima volta, a 26 anni, nel 1945, mentre prestava servizio nell’esercito sovietico, a causa di alcune lettere che scrisse dal fronte a un suo amico. In quel periodo era ancora un accanito sostenitore delle idee di Lenin e criticò Stalin per aver tradito l’ideologia socialista. Nel farlo, sapeva di cosa stava parlando, essendo molto preparato a livello intellettuale e politico. Ecco perché fu considerato estremamente pericoloso e condannato a otto anni nei campi di lavoro.

2. Sopravvisse ai Gulag e si prese il rischio di scriverne

Solzhenitsyn iniziò a scontare la sua pena ai lavori forzati costruendo case a Mosca per un anno. Successivamente, trascorse due anni in una sharashka, i laboratori segreti di ricerca e sviluppo nel sistema dei campi di lavoro sovietici, popolati dalle menti migliori finite in prigionia. Solzhenitsyn era un matematico e condusse lavori scientifici con altri detenuti politici. Ma dopo un conflitto con i guardiani, fu trasferito in un campo di lavoro duro nel nord del Kazakistan, dove fu testimone di alcune delle più brutali condizioni di vita nel Gulag.

Questa esperienza ha permesso a Solzhenitsyn di descrivere in seguito le terribili e spesso mortali condizioni dei campi di lavoro sovietici nella sua prosa, e, alla fine, di raccontarlo al mondo. Nel 1953, la sua condanna fu sospesa, ma rimase esiliato in Kazakistan.

3. Era così pericoloso che il Kgb cercò di ucciderlo

Dopo la denuncia del culto della personalità di Stalin, le accuse contro Solzhenitsyn furono abbandonate e poté tornare nella Russia centrale. Nel 1957 fu riabilitato e riprese il suo lavoro. Le sue storie sui campi di lavoro, in particolare “Una giornata di Ivan Denisovich”, furono pubblicate su riviste e furono accolte con stupore della società sovietica e occidentale. Il libro fu persino nominato al Premio Lenin per la letteratura.

Quando furono pubblicate altre storie, non meno ostili al regime sovietico, il Kgb riprese però la sua pressione. Nel 1965, l’archivio dello scrittore venne posto sotto sequestro. Le opere di Solzhenitsyn furono nuovamente bandite quando Leonid Brezhnev divenne Segretario Generale del Partito Comunista, nel 1964. Il Kgb organizzò persino un’unità speciale per la sorveglianza di Solzhenitsyn, che venne espulso dall’Unione degli scrittori, mentre la stampa scatenò una campagna contro di lui. A quel tempo, tuttavia, era già stato pubblicato all’estero, nominato per il premio Nobel (che poi avrebbe vinto nel 1970), e le sue storie proliferavano in samizdat. Inoltre, aveva fatto molte apparizioni pubbliche, criticando il regime sovietico. Il Kgb gli offrì di lasciare il paese, ma lui rifiutò.

Nel 1968, durante un viaggio di Solzenicyn nella città di Novocherkassk (oltre mille chilometri a sud di Mosca), un agente del Kgb lo seguì e gli iniettò del veleno. Come ricordò Solzhenitsyn, “Non mi resi conto di alcuna puntura, ma nel bel mezzo della giornata la pelle sul lato sinistro del corpo iniziò a dolere. La sera la situazione peggiorò; era come una grande ustione; e al mattino era diventata immensa: l’anca sinistra intera, il fianco sinistro, il ventre e la schiena…” Il tormento durò per tre mesi. Più tardi, una ricerca ha dimostrato che allo scrittore era stata iniettata una dose potenzialmente letale di ricina, ma in qualche modo era riuscito a riprendersi.

4. Parlava in Occidente, ma non sempre a favore delle idee occidentali

Nel 1974, le autorità sovietiche decisero di espellere Solzhenitsyn dal Paese. Fu arrestato e mandato in Germania; alla sua famiglia fu concesso di andarsene un mese dopo. Si stabilirono in Svizzera, a Zurigo, e Solzhenitsyn riprese la sua attività anti-sovietica con incredibile zelo. Tuttavia, non cercò di adulare o conformarsi alle preferenze dei media liberali occidentali. Con il suo mix di idee ortodosse e comuniste, a un certo punto espresse persino il sostegno al regime dittatoriale di Franco in Spagna, il che fece infuriare la stampa liberale. Criticò poi vari colleghi dissidenti e scrittori anti-sovietici. Solzhenitsyn non fece compromessi in favore di nessuno. Ora disprezzato anche dai giornalisti occidentali, emigrò negli Stati Uniti e si stabilì nel Vermont, dove visse in solitudine.

5. Non ha smesso di criticare il governo russo anche quando Eltsin e Putin lo hanno riverito

Nel 1990, Solzhenitsyn ha riottenuto la cittadinanza russa e molte delle sue opere hanno iniziato a essere liberamente pubblicate anche in patria. Nel 1992, Boris Eltsin ha avuto una lunga conversazione telefonica con lui, e nel 1994, lo scrittore è tornato in Russia, ha tenuto un discorso davanti alla Duma di Stato, e gli sono stati dati dallo Stato un appartamento e una dacia a Mosca. Ma quando nel 1998 gli fu conferito l’Ordine di Sant’Andrea, il più alto riconoscimento russo, lo rifiutò perché detestava ancora le autorità russe e le loro azioni, in particolare la privatizzazione delle proprietà statali e la Prima guerra cecena.

Più tardi, durante il periodo in cui Vladimir Putin era già presidente, Solzhenitsyn ha accettato dei premi, incluso il Premio di Stato della Federazione Russa, anche se è sempre rimasto scettico riguardo alla maggior parte delle azioni del governo russo. È morto a Mosca il 3 agosto del 2008.

I libri a lungo proibiti che hanno reso Solzhenitsyn immortale