Cinque scrittori russi sopravvalutati, da Tolstoj a Brodskij

Cultura
GEORGY MANAEV
È l’ora di togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti di questi autori sempre santificati dalla critica letteraria

1. Lev Tolstoj (1828-1910)

Non a tutti i russi piace Lev Tolstoj, l’autore che viene tanto spesso pomposamente definito “il più grande scrittore russo”. Piaccia o non piaccia, a scuola, in Russia, si è costretti a leggere l’ingombrante edizione in quattro tomi di “Guerra e pace”. Neppure a Tolstoj stesso piaceva questo romanzo. Confessò di essere felice di “non dover scrivere mai più simili sciocchezze di nuovo”, e quando una volta fu elogiato per il romanzo, rispose: “È come se qualcuno dicesse a Edison che è bravo a ballare la mazurka”.

“Guerra e pace” è così pieno di frasi sconclusionate, che ne dimentichi l’inizio quando arrivi alla fine. Ancor di più, per ogni russo le infinite note a piè pagina con le traduzioni dalle paginate scritte in francese, sono semplicemente strazianti. Oh, e poi c’è tutto il quarto volume dedicato al moralismo, alla predicazione e a infantili teorie storiche.

La maggior parte del moralismo di Tolstoj è in netto contrasto con la vita che conduceva. Giocatore irrefrenabile in gioventù, ha trascorso tutta la sua vita da appassionato donnaiolo (anche se si detestava per questo). La maggior parte dei suoi figli odiavano il padre per averli diseredati, e la storia della sua relazione con sua moglie Sophia è piena di liti, lacrime e tradimenti. Sarebbe questa persona a poter insegnare ai suoi lettori l’etica? L’unica verità è che ogni romanzo e racconto di Tolstoj ha un finale moralistico.

2. Fedor Dostoevskij (1821-1881)

Durante la sua vita, Fedor Dostoevskij era considerato uno scrittore di serie B, che mandava in stampa storie criminali (“Delitto e castigo”) e polpettoni sentimentali (“I fratelli Karamazov”). Questo giudizio era in buona parte fondato: sappiamo che Dostoevskij usò la maggior parte dei soldi guadagnati dalla cessione dei diritti d’autore per pagare frettolosamente i debiti del gioco d’azzardo. Ed è per questo che gran parte del suo lavoro è stato scritto in fretta, a dir poco. Spesso con sciatteria.

“Un tavolo ovale di forma rotonda di fronte al divano”. Questo è lui, nel primissimo capitolo di “Delitto e castigo” (una riga modificata timidamente in quasi tutte le traduzioni). L’editore russo del romanzo, Mikhail Katkov, richiamò l’attenzione dell’autore su questo errore. Dostoevskij ci pensò su per un attimo e poi disse: “Lascia stare com’è”.

I traduttori di Dostoevskij del diciannovesimo secolo intervenivano con le cesoie: per esempio, “Il grande inquisitore”, il grande capitolo che mette in relazione il punto di vista dell’autore sulla filosofia cristiana e la vita in generale, era solitamente espunto dal romanzo, perché considerato “eccessivo”.

E gli interminabili discorsi del principe Myskin ne “L’idiota”? Non vi sorprenderete di sapere che sono così lunghi, perché i romanzi di Dostoevskij erano pubblicati su riviste letterarie che lo pagavano un tanto a riga. Quindi allungava il brodo per guadagnare di più. Beh, e non ha neanche scritto la maggior parte di questi testi di suo pugno; era la moglie e segretaria, Anna, a fare il lavoro per lui. Questo non impedì al giocatore d’azzardo Fedor di vendere persino le fedi nuziali e l’abito da sposa di lei per pagarsi i debiti di gioco in Europa.

3. Mikhail Bulgakov (1891-1940)

Durante la sua vita, Mikhail Bulgakov non era certo annoverato tra i migliori scrittori russi. Aveva studiato medicina e lavorava come medico. Strana coincidenza, ma il suo lavoro letterario è iniziato poco dopo aver sviluppato una dipendenza alla morfina durante la Guerra civile russa (1918-1921).

La maggior parte delle sue opere erano racconti e opere teatrali, e la fama gli arrise per la prima volta quando a Stalin piacque il suo spettacolo, “I giorni dei Turbin” messo in scena nel 1926. Ma negli anni Trenta, le cose iniziarono a girare male per lui. Bulgakov cercò nuovamente di lusingare il dittatore, scrivendo un’opera teatrale dedicata alla sua gioventù, ma a Stalin non andò a genio, e ordinò che venisse cancellata. Successivamente, la salute di Bulgakov si deteriorò rapidamente, portando alla sua morte prematura nel 1940.

Durante gli anni Trenta, Bulgakov lavorò segretamente al romanzo “Il Maestro e Margherita”, mentre continuava ad abusare di morfina: macchie di droga sono persino state trovate sul manoscritto, decenni dopo. Il romanzo divenne famoso solo quando Bulgakov era già morto da un po’, e oscurò le sue altre opere. La maggior parte dei lettori in giro per il mondo non ricorda il suo “I racconti di un giovane medico”, un resoconto della vita di un medico drogato; o “Cuore di cane”, una storia sulla genetica intrecciata con la politica nei primi anni dello Stato sovietico. Quanto a “Il maestro e Margherita”, nonostante tutte le lodi che ha ottenuto nel corso degli anni, è un romanzo con una trama sconclusionata, che si basa pesantemente su immagini “mistiche” logore, apparentemente ispirate allo stato delirante dello scrittore. Il romanzo attinge pesantemente dalla letteratura espressionista tedesca, in particolare dai romanzi di Gustav Meyrink, uno degli scrittori preferiti di Bulgakov.

4. Sergej Dovlatov (1941-1990)

Uno dei tanti scrittori russi/sovietici che non venivano pubblicati in Unione Sovietica a causa della profonda ironia dei suoi lavori, che mostravano l’assurdità della realtà sovietica, Sergej Dovlatov divenne più famoso quando emigrò negli Stati Uniti. Grazie agli sforzi dei suoi amici e di editori esteri, la sua fama crebbe rapidamente e alla fine degli anni 2000 era diventato “uno dei più famosi scrittori degli anni Settanta”, cosa che negli anni Settanta non era mai stato.

Dovlatov non ha scritto romanzi. I suoi racconti, forse meglio dire “schizzi”, sono estratti della sua vita quotidiana, conditi con umorismo amaro, e tristi ricordi del passato e del presente di un perdente. Nel regno della letteratura russa del XX secolo, ci furono imprese molto più grandi in quel campo, a cominciare da Mikhail Zoshchenko, autore di sketch umoristici che erano straordinariamente popolari tra i russi per la loro arguzia e la finezza stilistica.

In russo, la prosa di Dovlatov è interessante per lo slang del suo tempo, che si perde o diventa meno intrigante nelle traduzioni. Tuttavia, anche in lingua originale la sua prosa è ormai obsoleta, perché la realtà che ha descritto non è più rilevante. Quindi, Dovlatov è la cosa migliore per chi ama il suo stile, ma difficilmente può essere percepito come uno scrittore che definisce la letteratura russa.

5. Iosif Brodskij (1940-1996)

Premio Nobel nel 1987, e poeta che ha definito lo sviluppo della lingua russa della fine del XX secolo, Iosif Brodskij ha goduto di elogi eccessivi anche in vita. Nel 1991 fu nominato Poeta laureato degli Stati Uniti; di un Paese cioè in cui si parla inglese, che non era certo la lingua madre di Brodskij. Alla fine, non riusciva proprio a fare i conti con l’inglese. E le sue traduzioni delle sue opere in inglese, così come la sua prosa e le sue poesie scritte in inglese, sono goffamente russe nella sintassi.

Allontanandosi dalla materia lirica delle sue poesie, negli anni successivi il poeta “americano” Joseph Brodsky (amava identificarsi come tale, e aveva persino cambiato l’ortografia del suo nome originale, Iosif) trasformò le sue poesie in una rete intricata di sottostesti e oscure allusioni (si vedano “Vertumno” o “Centauri I-IV”), difficilmente decifrabili per un lettore meno competente di letteratura mondiale di quanto lo fosse Brodskij stesso; e questo significa quasi ogni lettore! Ma la poesia non è una lezione sulla storia della letteratura, e Brodskij questo fece. Per questa ragione amiamo tutti i suoi primi, sinceri e sentiti poemi, più che il personaggio lirico stanco del mondo dei suoi ultimi anni.

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