La street art? È stata inventata dagli avanguardisti russi di inizio Novecento

Cultura
RUSSIA BEYOND
A cavallo e subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre predicarono il riavvicinamento tra l’artista e il popolo e il rifiuto dell’elitarismo, portando l’arte nelle strade delle città

Il decennio successivo alla rivoluzione bolscevica fu un periodo di grande libertà artistica, perché le autorità sovietiche accolsero le nuove tendenze creative come un modo per distruggere il vecchio ordine borghese.
L’artista, attivista, curatore e ricercatore di arte urbana, Igor Ponosov (nato nel 1980), ha esaminato il potere della street art in Russia esplorando il suo background storico, dai movimenti d’avanguardia del primo Novecento, ai non conformisti e agli actionist del XXI secolo. Russia Beyond pubblica un estratto dal suo ultimo libro, “Russian Urban Art: History and Conflicts” (Mosca, 2018).

***

All’inizio del XX secolo, combattendo la stagnazione accademica, l’arte borghese e la “museificazione”, le avanguardie russe furono tra le prime a proclamare la necessità dell’arte di sporcarsi le mani con la città. Manifesti d’arte e decreti riflettono le loro opinioni sulla “promulgazione” dell’arte borghese, attraverso il trasferimento dei suoi oggetti nello spazio pubblico urbano e la loro successiva contestualizzazione.

Il primo invito rivolto agli artisti ad uscire nelle strade apparve su alcuni annunci pubblicati nel 1912 da Ilijà Zdanevich (Iliazd), che proclamava l’inutilità dell’arte contemporanea e cercava di persuadere gli artisti ad avvicinarsi al popolo e a impegnarsi nella realizzazione di manifesti e opere all’aperto. Tentativi pratici di inserire l’arte nella vita di tutti i giorni furono intrapresi dai futuristi, per mezzo dell’épatage (dall’espressione francese Épater la bourgeoisie; “scandalizzare i borghesi”), cioè in un modo che violava le norme sociali e culturali accettate.

Nel 1913 Ilijà Zdanevich e Mikhail Larionov (1881-1964) pubblicarono un manifesto intitolato “Pochemù my pakrashivaemsja” (“Perché ci dipingiamo [la faccia]”), in cui annunciavano la loro intenzione di dipingere i loro volti con colori vivaci. Gli artisti definirono questa azione “l’inizio di un’invasione”.

Nel 1914, Kazimir Malevich, Aleksej Morgunov (1884-1935) e Ivan Kliun (1873-1943), organizzarono una performance, una cosiddetta “dimostrazione futurista”, in cui gli artisti passeggiarono lungo il ponte Kuznetskij con cucchiai di legno rossi nelle asole delle giacche, per mostrare la loro vicinanza alla gente comune. Dal punto di vista degli artisti, questi cucchiai erano un simbolo del riavvicinamento tra l’artista e il popolo, e un rifiuto dell’elitarismo. Nella Russia pre-rivoluzionaria questo gesto fece grande scalpore.

Tra il 1916 e il 1918, alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, ci furono discussioni all’interno dell’ambiente futurista sul tema della pittura e letteratura di strada e sul ripensamento dell’arte in quanto tale. Mikhail Matjushin (1861-1934), David Burliuk (1882-1967), Kazimir Malevich, Aleksej Kruchenykh (1886-1968), Ilijà Zdanevich, Vasilij Kamenskyij (1884-1961) e altri, furono attivamente coinvolti in questi dibattiti. “Zabornaja zhivopis i literatura”, “Arte e letteratura di strada” è una controversa conferenza di Kazimir Malevich, tenuta insieme ad altri futuristi.

L’aspetto scandaloso dell’evento era l’enfasi posta sulla letteratura e pittura popolare, da cortile (“zabor” significa “palizzata”, “steccato”), un’arte che a quel tempo era associata a qualcosa di sordido e osceno, per esempio, per l’uso di parolacce e elementi salaci. I futuristi cercarono di creare un percorso dall’elitismo alla gente, infrangendo le regole stabilite dell’arte. Le campagne che incoraggiano gli artisti a scendere dalla loro Torre d’avorio possono essere rintracciate anche in diverse poesie di Vladimir Majakovskij (1893-1930), anch’egli attivo in queste discussioni.

La più importante visione dell’arte di ‘invasione’ è il decreto approvato nel 1918 da un gruppo di futuristi russi, tra cui Vladimir Majakovskij, David Burliuk e Vasilij Kamenskij. Nel decreto n. 1, “Sulla democratizzazione dell’arte”, gli artisti stabilirono di “prendere i barattoli di vernice, e con i pennelli della propria maestria, illuminare, dipingere tutti i lati, le facciate e gli angoli delle città, delle stazioni ferroviarie e delle greggi di vagoni ferroviari in moto perpetuo.”

Il decreto contiene una chiara dimostrazione del richiamo a fare una rivoluzione nell’arte del primo Novecento: “D’ora in poi, un cittadino che cammina per strada potrà assaporare ogni istante dell’intensità dei pensieri dei grandi contemporanei, contemplare la luminosità dei fiori di una squisita gioia e ascoltare ovunque la musica – melodie, rimbombi e rumori – di eccellenti compositori.”

“Lasciate che le strade siano un luogo in cui tutti possano celebrare l’arte”: tutto questo è molto in sintonia con gli eventi dell’ottobre 1917 e l’era delle riforme nella Russia zarista. Su questo terreno fertile di rigetto del sistema esistente, possiamo dire senza ombra di dubbio che i futuristi russi dettero il tono per l’arte contemporanea alla nuova Russia socialista, basata principalmente sull’uguaglianza e l’eliminazione dell’elitarismo.

I primi tentativi effettivi di reclamare spazi pubblici da parte di varie tendenze artistiche erano legati, in larga misura, alle celebrazioni dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Nel 1918, a Pietrogrado (Leningrado dopo il 1924, oggi San Pietroburgo) e a Mosca c’era un clima festoso.

A livello ufficiale, nell’aprile del 1918, il Consiglio dei commissari del popolo promulgò il decreto “Sui monumenti della Repubblica”, che si riferisce non solo allo smantellamento dei monumenti della Russia imperiale, ma anche alla costruzione di nuovi, e alla mobilitazione delle forze artistiche ai fini della decorazione artistica della città per le celebrazioni annuali del 1° maggio.

Nel suo taccuino, il commissario del popolo sovietico, Lunacharskij (1875-1933), difende i futuristi e ammira la prima celebrazione del primo maggio a Pietrogrado: “Solo la nitidezza e la potenza della forma generale, così come i colori vivaci, sono stati lasciati da Cubismo e Futurismo, cosa che era necessaria per i dipinti all’aperto progettati per gli occhi di un vasto pubblico di centinaia di migliaia di persone.”

Inizialmente, le celebrazioni rivoluzionarie ricordavano le marce militari, con finte battaglie, esibizioni di trofei e nemici del popolo, cacce a rappresentati dalla borghesia, dalla religione e ai “traditori” della rivoluzione. Nei primi anni di tali celebrazioni, e fino alla metà degli anni Venti, le dimostrazioni si basavano più su spettacoli amatoriali e popolari, che sul coinvolgimento di artisti professionisti.

Nel 1918, questo equilibrio rifletteva il fatto che il 1° maggio non era solo la data della vetrina universale dell’arte contemporanea, o come i pubblicisti di quel tempo scrissero, “la prima mostra d’arte popolare”, ma fu segnato in modo significativo dal coinvolgimento delle persone comuni nella produzione dell’arte stessa.

Per saperne di più: Sette insoliti edifici all’avanguardia del XX secolo a Mosca